The Vince Staples Show: recensione della miniserie su Netflix

Commedia e mix di generi, d'ispirazione in parte autobiografica, The Vince Staples Show arriva su Netflix con suoi cinque episodi (è una miniserie) dal 15 febbraio 2024.

Vince Staples è molte cose diverse, alcune di ispirazione autobiografica, altre (per fortuna) no, in The Vince Staples Show. La miniserie, creata dallo stesso Vince Staples in collaborazione con Ian Edelman e Maurice Williams, è disponibile nella sua (sintetica) interezza a partire dal 15 febbraio 2024. Per gli amanti dell’hip hop, per chi non ha mai sentito parlare di Vince Staples, per chi ama la televisione intelligente, per chi non ha paura di una storia che sa cambiare il suo battito (commedia, thriller, satira sociale, esplorazione di una psicologia) e complicare le cose; The Vince Staples Show è una miniserie orgogliosa della sua coraggiosa (anche se imperfetta) ambizione. Orgogliosa della sua stranezza, una stranezza molto apprezzabile.

The Vince Staples Show: un rapper inseguito dal suo passato

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THE VINCE STAPLES SHOW. Vince Staples as Vince Staples in The Vince Staples Show (Season 1, Episode 5). Cr. Courtesy of Netflix © 2023

Chi è Vince Staples, ci e si interroga la frase di lancio. Domanda per niente retorica e trovare una risposta è molto semplice e incredibilmente complicato; su questa insinuante ambiguità si annidano i punti di forza e tutto quello che di interessante si può raccontare di The Vince Staples Show. La risposta terra terra è che Vince Staples è una celebrità, un apprezzato rapper statunitense originario di Long Beach, California. A fermarci qui, la miniserie non si discosta poi tanto dalla realtà. Anche nel corso dei cinque episodi – durata media ventisei minuti ma ce ne sono anche di più brevi – che ne strutturano il surreale arco narrativo, il protagonista di The Vince Staples Show è un rapper di successo originario di Long Beach, California, la località che fa da sfondo alla storia. Per il resto, ci sono molti cambiamenti.

L’abito su misura che Vince Staples regala al suo alter ego (mini)seriale è quello di un rapper dal discutibile successo – c’è chi lo riconosce, ma la maggior parte della gente non ha idea di chi si tratti – forse ricco e forse no, dal fumoso passato criminale. Un uomo inespresso, che non sa conciliare successo e vita in famiglia (episodio 3), restio ad assumersi un certo tipo di responsabilità (episodio 4) con la fidanzata Deja (Andrea Ellsworth), tormentato dal passato. Il fantasma del passato incalza Vince Staples, ogni volta con una maschera diversa e finisce sempre allo stesso modo: con un’esplosione di violenza per nulla purificatrice. Un vecchio amico lo sorprende durante una rapina in banca (episodio 2), un compagno di classe rancoroso lo costringe a correre per la sua vita (episodio 5), la polizia abusa del suo potere (episodio 1).

Ogni episodio, ogni tappa del cammino che, auspicabilmente, condurrà Vince Staples alla piena consapevolezza di sé – come uomo, rapper, americano e afroamericano – è avvolta in un’atmosfera cangiante, molto fluida. The Vince Staples Show è una commedia nera con accenni di satira sociale, alimentata dalla stoica impassibilità dipinta (con intento evidentemente autoironico) sul volto del protagonista. A complicare la storia, a dare vigore alla sua “stranezza”, le continue intromissioni, sul fondo umoristico, di spinte e suggestioni oniriche, violente, cupe. C’è il thriller, l’horror, il crudo sapore di una vita violenta. Il distacco, la freddezza calcolata con cui il protagonista guarda il mondo – e prova a riflettere sulla sua identità di afroamericano di successo in un mondo ostile – è la risposta più naturale al carattere surreale e inquietante, anche un po’ ridicolo, dell’esistenza.

Da Atlanta a Long Beach, California. Come la miniserie rilegge un riferimento importante attraverso gli occhi del protagonista

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The Vince Staples Show. (L to R) Andrea Ellsworth as Deja and Vince Staples as Vince Staples in episode 104 of The Vince Staples Show. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

Parzialmente autobiografica, parzialmente satirica, parzialmente adrenalinica, The Vince Staples Show coltiva con cura la sua natura ambigua e sfaccettata, senza curarsi troppo dei limiti che il formato – non solo una miniserie, ma di cinque episodi e basta, durata venticinque minuti l’uno – impone su atmosfera, ritmo e, in definitiva, sulla buona riuscita dell’operazione. Vince Staples sceglie, per fare bene le cose, di farle strane. Le ambizioni sono alte, perché c’è la voglia di legare l’intimo e il pubblico, la fama e il dietro le quinte, la risata e una generale impressione di, magari non malinconia, ma sbigottito stupore per la (tragi)comica assurdità dell’esistenza. Non mancherà, nello spettatore più smaliziato, la voglia di sottolineare ed enumerare le similitudini formali e di filosofia, in questi tempi confusi e focalizzati sulla politica delle identità, che legano la miniserie all’indiscusso capolavoro (seriale) su vita e esperienza afroamericana, Atlanta. Anche in quel caso si trattava di un’artista multidisciplinare (Donald Glover) e di una storia in bilico tra generi e mood, per raccontarci della vita del singolo e dei tormenti dell’identità collettiva.

In realtà, The Vince Staples Show ha la forza di deviare dal modello, quando ritiene necessario farlo. Non se ne allontana, è un pregio, da un punto di vista squisitamente formale; l’eleganza e la forza suggestiva dell’immagine, dannatamente cinematografica, richiamano alla mente le meravigliose sperimentazioni di Atlanta. Vale anche per la fluidità dei toni, per la natura cangiante del racconto che semina senza soluzione di continuità risate e shock repentini. La differenza fondamentale tra i due lavori è nel focus, qui ossessivamente puntato sul protagonista e la sua percezione della realtà. The Vince Staples Show riflette sull’identità nera e sulle storture della società americana, su violenza e sopraffazione, sui meccanismi della fama e sul rapporto tra successo e vita privata, quasi esclusivamente dal punto di vista del suo poliedrico e affamato (di vita, di arte) autore. Non è esattamente l’America, questa. Ma l’America come la vede, la pensa, la deforma e la ricostruisce, a metà strada tra sfacciato autobiografismo e finzione autoironica, Vince Staples.

The Vince Staples Show: conclusione e valutazione

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The Vince Staples Show. (L to R) Vince Staples as Vince Staples, Scott MacArthur as Officer Boucher, and Arturo Castro as Officer Gutierrez in episode 101 of The Vince Staples Show. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

L’identità opaca, sfuggente, del protagonista – bravo a giocare sul crinale sottilissimo tra esposizione di sé e deformazione drammatica – è sorretta dalla fluidità della storia, che scivola con perversa sicurezza tra generi e atmosfere a volte agli antipodi. The Vince Staples Show somiglia a tanta buona serialità contemporanea ma riesce, ugualmente, a trovare una cifra espressiva autonoma, indipendente. Dura troppo poco, pensando ai temi e alle ambizioni che ne compongono il mosaico, perché all’esplorazione dell’identità individuale va legata la satira sociale più ad ampio raggio, all’umorismo si deve contrapporre un’ombra di sincera inquietudine.

Lo squilibrio tra l’ambizione della storia e la sua estrema brevità spiega molto della discontinuità degli esiti. Non sempre ai personaggi è riservato il tempo necessario per valorizzare le rispettive potenzialità, ma il coraggio alla base del progetto, la forza dell’immagine, l’autoironico approccio di Vince Staples fanno della miniserie, nella sua imperfezione, un oggetto difficile da classificare ma molto interessante e vitale. Da vedere.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3

Tags: Netflix