The Mandalorian: recensione finale della serie TV Disney+

Un nuovo guerriero emerge dall'universo di Star Wars: Din Djarin, detto il Mandaloriano. Un cacciatore di taglie galattico, con una missione importantissima da compiere: salvare e proteggere un prezioso e fragile carico. Anche a costo della sua stessa vita.

Un dilemma attanaglia i nuovi prodotti legati al multiverso Star Wars, dal momento dell’acquisto da parte della Disney: per portare a casa un risultato soddisfacente, è meglio essere grandi fan della space opera ideata da George Lucas nel 1977 o è meglio invece non conoscerla e mantenere una “giusta distanza” artistica? In altri termini: il troppo amore nei confronti della creatura genera mostri o è all’opposto l’unica via per infondere un’anima ai nuovi progetti dell’immenso franchise? In questi anni abbiamo avuto risposte contrastanti: pensiamo a J.J. Abrams, grande amante di Guerre stellari, che dopo aver letteralmente risvegliato la Forza con Episodio VII dopo un letargo di dieci anni ha maldestramente chiuso l’epopea con un Episodio IX che ha scontentato tutti.

Tutto questo per dire che, forse per la prima volta, in The Mandalorian il fanatismo d’autore ha trovato in tutto e per tutto i giusti canali e i giusti percorsi da intraprendere. Merito dello showrunner Jon Favreau, già attore per (tra gli altri) Scorsese e Schumacher e soprattutto già regista del primissimo Marvel movie Iron Man (2008) e della recente nuova versione di Il Re Leone (2019). Favreau, che da anni voleva realizzare qualcosa attinente a Star Wars, ha ideato uno show estremamente rispettoso e coinvolgente, ben lontano dal caos e dalla superficialità che tanto hanno fatto infuriare il fandom “stellare” della prima ora.

The Mandalorian: il dono della linearità, in una galassia lontana lontana

The Mandalorian, Cinematographe.it

The Mandalorian: 5 cose da sapere di Star Wars per apprezzare al meglio la serie

Uno dei grossi vantaggi di The Mandalorian è quello di essere nato senza eccessive pressioni, senza l’hype e il peso degli episodi ufficiali. La storia del guerriero mandaloriano che si muove fra i pianeti della galassia 5 anni dopo la caduta dell’Impero e 25 prima del regno di terrore del Primo Ordine è, nel senso più veritiero possibile, uno spin-off: una costola, una derivazione, che possiamo seguire anche senza conoscere buona parte dei fatti precedenti e successivi. Ha una vita a sé stante, in modo molto diverso da Rogue One (che si lega a doppio filo a Episodio IV: Una nuova speranza) e a Solo (che racconta la gioventù di un personaggio già ampiamente conosciuto, Han Solo).

The Mandalorian crea da zero e, sfruttando al meglio questo vantaggio, può permettersi una grande semplificazione: complice anche la dilatazione temporale (le 8 puntate corrispondono al’incirca a 4 ore di storia; una narrazione decisamente più “distensiva” se messa a confronto con la compressione di un film che al massimo può durare poco più di 2 ore), sceglie di seguire un unico essenziale plot, concedendosi anche momenti di decompressione e riflessioni in cui succede poco, pochissimo, senza la frenesia di dover riempire a dismisura ogni secondo per il timore di non essere all’altezza.

The Mandalorian: come in un western di Sergio Leone

The Mandalorian, Cinematographe.itSarebbe sbagliato però dire che The Mandalorian (e il suo comparto di registi e sceneggiatori, fra cui spiccano il Taika Waititi di Jojo Rabbit e Bryce Dallas Howard, figlia di Ron Howard) se ne freghi: le scorribande del pistolero solitario Din Djarin, che a bordo del suo Razor Crest solca le galassie col suo preziosissimo carico incontrando Clienti, membri della Gilda dei cacciatori di taglie, ex soldati ribelli e inaspettati alleati, sono fortemente connotate alla mitologia di Star Wars, e rendono benissimo l’idea dell’indipendenza e della leggerezza proprie del primissimo Guerre stellari di fine anni ’70, quando nessuno – ma proprio nessuno: alla sua prima uscita al cinema il film venne sonoramente bocciato sia dalla critica che dal pubblico – si aspettava un successo planetario così massiccio e inscalfibile.

A questo coriaceo erede di Jango e Boba Fett, che si muove lontano dall’autorità della Nuova Repubblica come Clint Eastwood si muoveva nei villaggi desolati dei western di Sergio Leone, è impossibile non volere bene, nonostante il (o forse proprio in virtù del) suo discutibile carattere morale.

E se a far breccia nella nostra nostalgica memoria è stata senza alcun dubbio l’apparizione di Baby Yoda (ovvero “The Child”, il bambino), l’attenzione riservata al tratteggio dei personaggi secondari merita un plauso. Delineare caratteri convincenti con cui entrare in sintonia (l’ex magistrato Greef Karga, il coltivatore di umidità Kuiil, la mercenaria Cara Dune) è ancora possibile. Basta fidarsi dell’intelligenza degli spettatori, dosare con la giusta attenzione sense of wonder e coerenza narrativa e avere chiari fin da subito i proprio obiettivi. Le parole d’ordine di The Mandalorian sono libertà, semplicità e divertimento: ci auguriamo restino le stesse anche nella stesura della seconda stagione.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.4