The Good Fight: la recensione della sesta e ultima stagione

Diane Lockarth e Liz Bousman continuano le loro "giuste battaglie" negli ultimi, appassionanti episodi.

The Good Fight è la serie creata dai coniugi Robert e Michelle King che racconta le battaglie, politiche, sociali e professionali, di uno studio legale di Chicago. La sesta serie è disponibile in italiano su Paramount: le stagioni sono disponibili in abbonamento su Prime Video, Tim Vision e Rai Play.

The Good Wife è stata una delle serie che sono più rimaste nel cuore degli spettatori televisivi; e probabilmente anche una delle più sottovalutate, probabilmente per un certo sospetto nei confronti di un genere (il legal-drama) che ha prodotto numerosissimi prodotti non sempre di qualità. 

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Eppure, nelle sue sette stagioni di vita e nei suoi 156 episodi, si è staccata fin dall’inizio dal suo recinto e dalla comfort zone del genere per parlare di tutt’altro: dalla politica, alla difficoltà delle relazioni interpersonali, fino a come il pubblico interferisca sempre nel privato e viceversa in un unicuum complesso e sfaccettato.

The Good Fight: una battaglia migliore

C’è un passaggio di dialogo in particolare, nella serie con protagonista Julianna Margulies: “Un tempo lei era una persona migliore”, dice ad Alicia Florrick  il collega Cumming; “Lo so: ma chi non viene usato?”, risponde lei.

The Good Wife era (è) bello quanto tremendamente, assolutamente, disperatamente nichilista(e come potrebbe essere altrimenti, se racconta l’oggi?), per quel suo non offrire nessuna speranza di salvezza alla natura umana. Ma che fondava il suo successo anche su un cast di contorno insuperabile, perché poi i personaggi tanto di contorno non erano proprio.

The Good Fight recensione, Cinematographe.it

Una delle caratteristiche più felici del serial dei King era infatti la sua straordinaria coralità, che non tralasciava mai nessun singolo ma che portava avanti le trame del gruppo in maniera coerente e soprattutto coesa.

Al punto che questo cast di comprimari ha avuto bisogno di un’altra serie per continuare la sua esistenza: ed ecco allora The Good Fight,  più un vero e proprio sequel che uno spinoff.

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Se la buona moglie era Alicia Florrick, la giusta causa è quella di Diane Lockhart, interpretata da quell’attrice sopraffina che è Christine Baranski: e la serie allora conserva i personaggi che avevano ancora (molto) da dire eliminando quelli esauriti, proseguendo con quel meraviglioso mix di intelligenza, classe ed ironia colati su trame cervellotiche e labirintiche basate su casi sociali e politici reali.

Perché forse, nonostante Fight rispetto a Wife conservi il mood, a variare è l’impianto narrativo che prende la forma dell’attualità in maniera ancora più stringente del precedente, avvicinando ancora di più lo sguardo sulla politica.

“Gang Goes To War” — Episode #404 — Pictured (l-r): Audra McDonald as Liz Reddick; Hugh Dancy as Caleb Garlin; Stephen Rider as Army Corporal Demarcus Laney of the CBS All Access series THE GOOD FIGHT. Photo Cr: Patrick Harbron/CBS ©2019 CBS Interactive, Inc. All Rights Reserved.

L’America ai tempi di King

The Good Fight è una serie prorompentemente politica: nel momento in cui fotografa alla perfezione l’America di oggi, e tutte le sue vertiginose contraddizioni. Focalizzandosi (ovviamente, in quanto la sua natura di genere resta quella del legal drama) sul versante giudiziario, una delle realtà statunitensi più difficili da inquadrare e incasellare.

Se un serial peraltro ottimo come The Resident riesce a restituire l’ambiguità e la profonda difficoltà in cui versa il sistema medico d’oltreoceano, The Good Fight riflette sulle pericolose lacerazioni etiche di quella giuridico. E si sa che la giustizia è amministrata da chi detta legge: innegabile che allora il raggio d’azione si allarghi a dismisura comprendendo l’era Trump e post Trump, di coraggiosa attualità perché senza peli sulla lingua.

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Quello che è emerso nelle sei stagioni (la sesta è purtroppo l’ultima, King stesso ha dichiarato che la storia, dopo quattordici anni, aveva esaurito la sua spinta: anche qui, scelta intelligente, coraggiosa quanto poco frequente) è un paese impazzito tra scelte morali impossibili, tensioni sociali e razziali sempre sul punto di implodere per poi esplodere, mentre assiste a tutto questo il centro propulsore della narrazione, quella Diane interpretata da una enorme Baranski sulle cui spalle regge il peso dell’intero show.

The Good Fight recensione, Cinematographe.it

The Good Fight è una serie con una drammaturgia complessa e stratificata, un’indagine che si ferma sempre un attimo prima dell’emozione ma che non per questo non è emozionante: tra interrogativi etici di dolorosa risoluzione e le molteplici sfumature dei caratteri,  i personaggi si posizionano su una scacchiera di modo che le loro reazioni, i loro segmenti narrativi vengono poi spontanei.

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Nella quinta stagione era arrivato il giudice Hal Wackner (un incredibile, straordinario Mandy Patinkin), la sesta ne prosegue il racconto intrecciato, com’è consuetudine, ai casi della trama verticale fusi perfettamente alle mille trame orizzontali.

Tra cui anche il rapporto sempre più stretto e controverso di Diane con Liz Reddick (Audra McDonald), il ritorno di Eli Gold (Alan Cumming in gran spolvero e in grandissima forma) e dell’avvocato Elsbeth Tascioni (la sempre vulcanica Carrie Preston), arrivando fino a riallacciare i fili dispersi di The Good Wife – ma non si può dire niente altro per non fare spoiler, rovinando la visione di episodi che sono una gragnola di colpi di scena uno dopo l’altro.

Ma probabilmente, è proprio il giudice Wackner la forza centripeta e centrifuga delle ultime battute della serie: perché con il suo “tribunale popolare” mette alla berlina vizi e virtù della giustizia degli uomini e irride ai movimento populisti e alle richieste di democrazia direttissima, spingendosi fino agli estremi: le derive anarchiche sono dietro l’angolo, e se allora The Good Wife era una serie nichilista, The Good Fight chiude confermandosi anarchica. Bellissima e durissima insieme, la creazione dei coniugi King dimostra ancora una volta di saper leggere l’attualità come poco altro cinema e pochissima altra televisione sanno fare: restando una lezione di regia e scrittura precisa e tagliente come un rasoio, senza nessuna concessione all’easy telling.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.7