Signora Volpe: recensione della mini-serie Sky

Disponibile su Sky e on demand su NOW dall'1 luglio 2022 la mini-serie in tre episodi Signora Volpe, un giallo-feuilleton dalla drammaturgia (e dall'estetica) soapoperistiche

Sylvia Fox (Emilia ‘sempre’ Fox) – bonariamente ribattezzata Signora Volpe da un poliziotto italiano – è una quarantenne inglese che di professione fa la spia in Medio Oriente. Afflitta da un filo di insoddisfazione per il lavoro e la vita che conduce nel suo Paese, lascia per pochi giorni la perfida Albione per recarsi in Italia, più precisamente in Umbria, con l’intenzione di fare visita alla sorella e alla nipote, entrambe legate a uomini italiani, e di partecipare al matrimonio della seconda. Il promesso sposo, però, non si presenta alla cerimonia gettando tutti, tranne (forse) la sposa, in allarme. L’evaporazione del ragazzo, che si aggiunge al mistero che circonda la sua condizione di solitudine e assenza di legami amicali o famigliari, spinge zia Sylvia a improvvisarsi detective e a scoprire in quale rete di segreti siano rimaste impigliate le donne della sua famiglia.

Un’Italia assolata e cartolinesca, prigioniera di cliché talmente goffi da suscitare indulgenza

Costruita come un giallo classico dai tempi inglesi (leggasi: placidi) in cui una donna a suo modo anticonformista comincia a mettere il naso (con profitto) nelle indagini ufficiali intorno a una morte e a una sparizione, Signora Volpe polarizza le differenze tra la terra britannica e quella italica accentuando i cromatismi di riferimento nell’immaginario evocato da ciascuna delle due: quando Sylvia si trova a casa sua, la fotografia s’incupisce nella prevalenza di tonalità grigio-fosche, mentre, nella sua trasferta umbra, la luminosità degli scenari assume una pienezza quasi accecante, priva di modulazioni intermedie.

L’Italia rappresentata (la serie è stata girata tra Umbria e Lazio) è quella dei borghi, delle ore pomeridiane lente, delle madri apprensive e melodrammatiche, dei taglieri straripanti di salumi, formaggi e multiformi bontà culinarie: non che nei luoghi comuni non vi sia del vero, ma, a, guardare questa mini-serie diretta da Dudi Appleton e Mark Brozel, si ha l’impressione che la penna degli sceneggiatori non si sia attardata neanche a un po’ a cercare soluzioni più elaborate, meno frontali nella resa di ambienti e caratteri, questi ultimi gravemente deficitari in termini di approfondimento, individuazione e sviluppo.

Ne risulta, così, una drammaturgia impacciata, che uncina un’estetica altrettanto dozzinale: sia la scrittura sia l’impianto iconografico risentono, infatti, di un immaginario soapoperistico, quasi a metà tra Un posto al sole (meno pop) e un (meno avvincente) Don Matteo in brodo britannico, e rendono – renderebbero, vista la scelta distributiva di opposta direzione – il prodotto più adatto ai sonnacchiosi primi pomeriggi della televisione generalista che alla programmazione di una Pay TV per nulla a buon mercato. Se l’effetto-simpatia dell’operazione è assicurato, resta difficile, in un’offerta di crime che ci appare sterminata, trovare una collocazione per la Signora Volpe e le sue indagini a ridotta pulsazione, se non quella di un comunque godibile sottofondo ad altra attività.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

1.8

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