Reacher – Stagione 2: recensione della serie TV Prime Video

Dal 15 dicembre 2023 arriva, con i primi tre episodi, la seconda stagione di Reacher, la popolare serie action-thriller dedicata al massiccio protagonista nato dalla penna di Lee Child. Stavolta l'indagine lo riguarda molto da vicino.

Adattamento dell’undicesimo romanzo della serie creata da Lee Child, in italiano Vendetta a freddo (Bad Luck and Trouble), Reacher torna su Prime Video con l’attesa seconda stagione. Modalità distributiva anomala, ma solo per chi non si rende conto che si tratta di un ritorno al passato: il 15 dicembre 2023 i primi tre episodi. Poi, uno a settimana (come si faceva una volta) fino al gran finale il 19 gennaio 2024. Sono otto in totale. Venduta in più di duecento paesi, la serie ha fatto breccia nel cuore del pubblico praticamente da subito (qui la recensione della prima stagione), guadagnandosi il diritto al rinnovo già al momento dell’uscita dei primissimi episodi, all’inizio del 2022. Showrunner e produttore esecutivo, Nick Santora (partecipa anche Lee Child). Di nuovo nei panni del protagonista, mole enorme e cuore al posto giusto, Alan Ritchson. Che, si vede, si diverte a portare in scena il carattere e la fisicità imponente del protagonista. Gli ha decisamente preso le misure.

Reacher 2: il passato bussa alla porta del protagonista

Reacher 2 cinematographe.it recensione

Prima di diventare il detective vagabondo che gira l’America rifiutandosi di gettare l’ancora troppo a lungo nello stesso posto – casa è dove posa lo spazzolino, l’unico bagaglio di rilievo – Jack Reacher (Alan Ritchson) ha fatto parte della polizia militare in qualità di investigatore. La sua era l’Unità Speciale di Investigazione del 110° MP. Erano in tanti, quasi una famiglia. Ma gli anni passano, le persone si allontanano e i legami si indeboliscono. Reacher non pensa più a ieri, è il presente che conta, la vita on the road, il rifiuto di rapporti troppo stretti e un no deciso ai beni materiali. Questo fino al giorno in cui il passato torna a bussare alla sua porta.

A bussare, nello specifico, è Frances Neagley (Maria Sten), l’avevamo già vista nella prima stagione; l’unico anello di congiunzione tra Reacher e il mondo reale. Neagley porta cattive notizie su alcuni membri dell’Unità. Una cospirazione è un’ipotesi più probabile della serie di fatti criminosi senza collegamento, ma all’inizio la ricostruzione dei moventi e delle responsabilità è ostacolata da una fitta coltre di piste false e giri a vuoto. Non è l’unico problema per il protagonista. Tornare a confrontarsi con il passato è impossibile senza guardarsi un po’ dentro, cosa che Jack Reacher, lo spettatore della prima stagione l’avrà certamente notato, non ama fare. Stavolta, anche il team che lo aiuta nelle indagini arriva dritto dal passato.

Oltre a Neagley ci sono David O’Donnell (Shaun Sipos), affidabile nei momenti più tesi e molto loquace, forse troppo per gli standard del protagonista. E Karla Dixon (Serinda Swan), che dei fantasmi del passato di Reacher è la più importante, perché di lei il protagonista è sempre stato un po’ innamorato; erano colleghi, osare sarebbe stato inappropriato. La regola del gioco di Reacher 2 consiste nel mantenere un solido e intenso profilo action e alimentare la giusta suspense, aggiungendo, nell’ordine: un’analisi più puntuale, rispetto alla prima stagione, dell’interiorità del protagonista. Un pizzico di romanticismo, per quanto ne può offrire la storia. E molta autoironia.

La seconda stagione scava dentro il protagonista e lo circonda di comprimari interessanti

Reacher 2 cinematographe.it recensione

Ci vuole coraggio, a prenderlo di petto. Ma è proprio il tipo di scelta che fa di Reacher 2 una seconda stagione superiore alla prima, da ogni angolazione: umorismo, azione e psicologia. La parola chiave è psicologia. La forza del personaggio, partendo dai romanzi di Lee Child per passare poi al cinema – l’anomalia Tom Cruise – e finire sullo streaming, talmente di successo da guadagnarsi il bis pochi giorni dopo l’uscita dei primi episodi e ora sappiamo che ce ne sarà pure una terza, è la sua grandezza. Da intendersi non soltanto in termini di mole fisica prorompente e relative conseguenze (sull’azione e l’umorismo), ma anche sotto il profilo della complessità del carattere, della morale intransigente, dello stile di vita.

Reacher 2 è la storia di un profeta ramingo che non ha nessuna voglia di mettere radici, dal cuore compassionevole e con un notevole talento per i dettagli. Feticista del blues, una macchina della morte al servizio di una giusta causa; è il tipo con cui si può scherzare, a determinate condizioni. La seconda stagione riesce dove la prima non era stata capace, forse per paura di osare. Prende di petto il protagonista. Mette in discussione la sua ostinata solitudine, cambia stazione alla radio (non c’è mica solo il blues), lo costringe a fare i conti con il concetto di famiglia, o qualcosa di simile. Lo seduce, con le promesse e gli agi della civiltà, lo fa riflettere sui limiti e i punti di forza della sua scelta vagabonda. Celebra il suo modo di essere, prendendolo un po’ in giro. Ma Reacher 2 non ha premura di cambiare il suo protagonista. Vuole solo allargare lo sguardo.

Se questo è possibile, non è merito soltanto della scrittura intelligente e lucida di Nick Santora, anche della disinvolta sicurezza di Alan Ritchson. Ha preso le misure a Reacher, sa cosa ci aspetta da lui dal punto di vista dell’azione e, soprattutto, non ha paura di contaminare il profilo massiccio del protagonista con punte di vulnerabilità. Ancora una volta, l’ironia del fato costringe il solitario Reacher a lavorare in squadra ed è la forza e la credibilità del team a sostenere le credenziali action (e non solo) della storia. Buona, l’alchimia del nostro con tutti e tre: Serinda Swan, Maria Sten e Shaun Sipos. Guardano le spalle a Reacher, ma non solo; sono comprimari dalle psicologie sufficientemente strutturate, con lo spessore giusto. Reacher 2 ha il pregio di allargare lo sguardo anche oltre il suo eroe, accorgendosi di chi gli sta intorno.

Reacher 2: valutazione e conclusione

In parte luogo comune, in parte pillola di saggezza da prendere per quella che è ma senza esagerare: una serie progredisce in qualità man mano che la storia procede e le stagioni si accumulano. Dipende da molti fattori: la fiducia che solo la consapevolezza del successo può dare, lo scorrere del tempo che aiuta sempre a prendere le misure a storia e personaggi. La recensione si concentra sui primi tre episodi di Reacher 2, ma l’impressione è che le cose siano andate così: il successo e l’abitudine hanno modellato la storia, decisamente migliorandola. L’azione è tesa e veloce, il tono autoironico, senza scherzare troppo col prestigio del protagonista, un Alan Ritchson molto in parte. C’è anche spazio per lo scavo psicologico. Bene così.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2