Progetto Lazarus: recensione della serie tv Sky

La serie thriller Sky Original Progetto Lazarus, scritta da Joe Barton che indaga sull'illusione del what if.

Progetto Lazarus, dal 12 agosto 2022 su Sky e Now, riprende il discorso cominciato dalla fantascienza di Wells per rinfrescare l’attualità di un interrogativo: se azzerassimo il tempo per correggere gli eventi, siamo sicuri che si azzererebbero anche i nostri problemi? 

Herbert George Wells, padre britannico, insieme al francese Jules Verne, della nostra letteratura fantascientifica, nacque in una famiglia umile e, solo dopo aver fatto l’operaio tessile e, in seguito, grazie a studi resi possibili da una borsa di studio, l’insegnante di provincia, cominciò a scrivere romanzi di grande successo e discreta remunerazione che non rispondevano tanto – o, perlomeno, non solo – a un’urgenza narrativa, quanto piuttosto a un’ansietà di capire in termini politici e morali il mondo

Dietro Progetto Lazarus, una lunga tradizione letteraria prima ancora che cinematografica

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Paapa Essiedu è George, il protagonista, che da un giorno all’altro si ritrova
coinvolto in qualcosa di molto, troppo grande e incredibile.

Progetto Lazarus, la brillante serie in otto episodi in programmazione su Sky e on demand su NOW dal 12 agosto 2022, sia presuppone sia dialoga con La macchina del tempo (1895), opera in cui Wells immaginava uno scienziato-faustiano – ma è davvero ammissibile che uno scienziato possa tutto? – che, servendosi di una macchina del tempo, raggiunge un anno della Storia in cui il mondo è diviso in due ‘genìe’, una benevola, l’altra orribile, all’apparenza in pace, ma, in verità, segretamente coinvolte in un rapporto antagonistico: lo scienziato s’innamora, la sua amata muore e, insieme alla ferita del lutto, per lui si apre anche una faglia nella superficie levigata dell’autocompiacimento e della certezza di operare secondo giustizia.

La fantascienza, si sa, per essere tale deve seguire il movimento zigzagante di un’incessante problematizzazione, di una messa in discussione delle nostre mitologie evoluzionistiche e soprattutto di ciò che il comune buonsenso renderebbe auspicabile, come, ad esempio, l’idea di un progresso tecnologico che risolve, sino a eliminare del tutto, le avversità che l’uomo può trovarsi a fronteggiare. 

Progetto Lazarus: ritorno alla stessa giornata per salvare l’umanità della sua estinzione

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In Progetto Lazarus, George (Paapa Essiedu) rivive la stessa giornata una seconda volta con la precisa percezione dell’anomalia, e risiede qui la differenza, lo scarto rispetto agli altri. Se la prima volta, si era ritrovato, da giovane uomo dal solido successo professionale e affettivo, con la moglie incinta esposta al rischio di malattia durante una crisi pandemica; la seconda volta, trascorso un periodo di alienazione in un sentimento di estraneità alla propria vita, viene avvisato della sua condizione di ‘mutante’, vale a dire della possibilità di entrare a far parte di un programma che, di fronte a un pericolo collettivo imminente, ‘resetta’ il tempo per correggere il corso degli eventi. 

L’intervento di ripristino del primo luglio precedente al momento di detonazione del pericolo è, tuttavia, giudicato legittimo solo in caso di rischio concreto di estinzione per l’umanità tutta: il primo conflitto, forse quello più superficiale, su cui la serie fa perno drammatico, si colloca tra il ricorso al ripristino della data del reset per il bene collettivo e lo stesso ricorso a fini personali. Quando a Sarah (Charlie Clive), la donna amata da George, capita qualcosa di tremendo, il nostro eroe tenta di tutto affinché si produca una minaccia per l’umanità che gli consenta di poter riavvolgere il tempo. E come George, anche i suoi ‘colleghi’ mutanti hanno ciascuno le proprie ragioni di fare altrettanto per sé stessi e per le persone amate. 

Eppure, c’è un’altra questione, più radicale, che affiora: se è vero, anche qualora si ritenga di essere autorizzati a riavvolgere il tempo per motivi personali, che non accade più la cosa temuta, ne accadono comunque altre, ugualmente temibili. L’interrogativo morale che la serie, nel complesso ben riuscita sia dal punto di vista della costruzione dei caratteri sia sul piano estetico, solleva riguarda la concezione del progresso tecnologico – l’utopia che possa esservene uno che escluda contemporaneamente una forma di regresso – come strumento di risoluzione dei nostri problemi e no, invece, come strumento sì di risoluzione di problemi ritenuti cogenti, ma anche quale occasione di emersione di altri problemi, di altre difficoltà.

L’interrogativo esistenziale, invece, si situa sulla soglia del what if che sempre, universalmente, ci tormenta: e se non avessi fatto quello? E se non fosse andata così? 

Progetto Lazarus e l’illusione del what if

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Progetto Lazarus sembra spingerci – ed è qui che si riallaccia all’archetipo ottocentesco che gli si agita alle spalle – verso, se non un’assunzione di consapevolezza, la messa in discussione dell’illusione che condanna la nostra società al suo evidente, problematico infantilismo: quella, secondo la quale, avanzare sia un moto rettilineo che ci conduce verso un paradiso promesso anziché un’utopia, appunto un luogo che non c’è, la convinzione, cioè, che un giorno, se risolviamo tutto, possiamo essere felici mentre, più semplicemente, forse saremmo soltanto deresponsabilizzati, meno umani, meno implicati quali soggetti della nostra esistenza irripetibile nella sua non reversibilità.

Progetto Lazarus spinge a pensare, ed è meritorio che obiettivo degli autori sia quello di stimolare non solo emotivamente, ma anche intellettivamente lo spettatore.

La verità, forse, ed è qua che la serie meritoriamente si muove e acquisisce, insieme alla velocità, il valore, è che quanto si guadagna presuppone una perdita equivalente, talvolta maggiore, e che ciò che proviamo a correggere affinché ci conduca da un’altra parte, spesso ci conduce effettivamente in un altro luogo, ma non è affatto detto che questo luogo sia migliore del precedente.

Progetto Lazarus avrebbe potuto rendere più incisiva la rappresentazione di questi nodi che legano l’umanità a sé stessa – e alla propria intrinseca, di fatto umanizzante fallibilità – in rapporto alla resa dei conti personale e collettiva con il tempo, ma, nonostante si ravveda una certa immaturità stilistica, senz’altro convince e stupisce nell’offrire, senza sacrificare troppo del pathos, della sintonia emotiva tra personaggio e pubblico, stimoli al pensiero. Stimoli che oggi non sembrano essere altrimenti obiettivo prioritario degli autori a servizio della produzione seriale di largo consumo. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3