Pagan Peak – stagione 2: recensione della serie TV Sky

Disponibile su Sky i primi episodi della serie crime ispirata al fenomeno mondiale The Bridge.

La serie televisiva austriaco-tedesca Pagan Peak, ideata da Cyrill Bosse e Philipp Stennert ritorna per la stagione 2 su Sky Investigations dal 7 luglio 2022.
La storia ricomincia un anno dopo la conclusione dei primi otto episodi. L’ispettore Winter è ancora provato dal coma ed Ellie soffre di PTSD dopo essersi avvicinato al Krampus Killer. Fin dai primi minuti del primo episodio, si riconferma l’atmosfera onirica e misteriosa della storia unita agli elementi del folklore tedesco e austriaco che ha reso unica la prima stagione. I maestosi paesaggi nordici, la fotografia fredda e asettica e una regia classica ma che lascia poco spazio alla creatività accompagnano il lento declino fisico e mentale dei personaggi principali. L’apatia di Winter della prima stagione nel confronto del caso del Krampus Killer si è trasformata nell’inizio della seconda stagione in una vera ossessione.

pagan peak 2 cinematographe.it

Ellie, al contrario, è in buona salute ma gli eventi traumatici del Krampus Killer hanno distrutto il suo idealismo lasciando spazio a dubbi e incertezze che minano la sua capacità razionale di giudizio. In maniera simile alla prima stagione, Winter ed Ellie rappresentano i lati dello yin e yang. La metà nera, lo yin, è Winter: un passato turbolento alle spalle e con un disprezzo e sfiducia generale per il classico concetto della giustizia. Ellie è la metà bianca, lo yang, costruttiva e assertiva, il bilanciamento ideale per la vita caotica di Winter. I ruoli tuttavia vengono invertiti sin da subito. Nonostante il declino fisico, Winter è determinato ad andare in fondo al caso. Ellie, al contrario, sembra essere persa in un mondo di nichilismo. Pagan Peak si riconferma una serie televisiva fuori dal comune. La caratterizzazione dei personaggi, nonostante appaia leggermente stereotipata all’inizio della prima stagione, appare ben delineata sotto ogni aspetto: da quello psicologico a quello emotivo.

Alcuni dialoghi fanno tornare alla mente alcune delle serie crime più interessanti. I dialoghi tra il commissario Winter ed Ellie ricordano lo strano quanto unico legame tra Rustin Cohle e Marty Hurt di True Detective. Il modus operandi del serial killer e la brutalità a cui sottopone le sue vittime ricalcano le scene viste in The Following. Interessante è stata l’introduzione dell’elemento della critica sociale, tipico di molti noir nordici e dei film della Corea del Sud.

Pagan Peak 2: una fiaba nera

I primi due episodi della serie procedono con un ritmo piuttosto lento rispetto all’incipit della prima stagione ma è un difetto facilmente perdonabile considerando l’estrema cura dedicata alla costruzione dei personaggi e ai dialoghi. La colonna sonora funge da coprotagonista: il ritmo spazia tra note dal sapore folkloristico a melodie più incalzanti che a tratti ricordano i capolavori di Alfred Hitchcock. Non sorprende trovare il nome di Hans Zimmer (L’ultimo Samurai, Interstellar) in mezzo ai titoli di coda, che in Pagan Peak ha svolto il ruolo di produttore musicale. In conclusione, l’inizio della seconda stagione è decisamente all’altezza della prima. Un piccolo gioiello simbolo della serialità crime nordica che, oltre ad avere una trama e uno sviluppo narrativo ben sviluppato, offre una vera gioia per i sensi grazie alle splendide immagini del panorama austriaco e ad una colonna sonora d’eccezione.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.5

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