Love, Death & Robots: recensione della stagione 3

Una delle serie d'animazione Netflix di maggior successo si riconferma per la terza stagione, sempre accumunata dalle tematiche dell'amore, della morte e della tecnologia.

Love, Death & Robots dopo il crescente successo delle prime due stagioni, non ferma la sua corsa e riconferma la propria genialità creativa e contenutistica nella terza stagione, sempre su Netflix dal 20 maggio con 8 nuovi episodi autoconclusivi

Prodotta e creata da Tim Miller, David Fincher, Jennifer Miller, Josh Donen, Love, Death & Robots è un inno alla tecnologia e alla tecnica d’animazione, assolutamente non ancillare della tematica promulgata dalla serie, ma che si pone proprio come veicolo strutturale per imporre la propria visione sulla condizione umana.

Love, Death & Robots: quando l’amore e la morte sono due facce della stessa medaglia tecnologica

Love, Death & Robots Cinematographe.it

Accumunati dalle onnipresenti tematiche dell’amore, della morte e delle macchine, che si pongono come metafora implicita della stesura narrativa, contenutistica e estetologica di tutte le stagioni di Love, Death & Robots, tali riverberi simbolici possono fondersi e confondersi anche nei singoli episodi. Ne Lo sciame, ad esempio, diretto da Tim Miller e prodotto dallo Studio Blur, si evince come la convergenza tra la tecnologia e la passione possano portare ad un’autodistruzione già predetta

L’assioma che si impone in questa ricognizione metaforica animata è prepotentemente legata anche al medium stesso, che si impone per la sua artificiosità e dunque si pone esso stesso come metafora della macchina e dei meccanismi tecnologici che dànno origine al dispositivo cinema. 

In particolare, è una riflessione che si potrebbe fare sulla spasmodica aderenza al fotorealismo reso grazie ad una particolare attenzione al comparto della cgi di studi come pinkman.tv, Sony Pictures Imagework o il già citato Studio Blur

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In questa terza stagione di Love, Death & Robots si nota come sia stato effettuato un meditato studio metodologico sulla composizione filmica e sulla regia degli episodi più pregnanti, scardinandoli dal flusso indistinto che caratterizzava, ad esempio, la seconda stagione. Esempi come Jibaro si impongono per la loro aderenza al fotorealismo crudo e indistinguibile a tratti dalla realtà fattuale, soprattutto nello studio dei movimenti dei protagonisti, così fluidi e verosimili, e per quanto riguarda i movimenti di macchina. Nell’episodio diretto da Alberto Mielgo si è scelto di accumunare un punto di vista esterno e scopico ad uno concitato ed incarnato, che ricorda molto la visuale in prima persona di un videogioco fps. Una concezione che permetterebbe di attivare un parallelismo apparentemente non convergente tra pratiche videoludiche e questa serie e che soprattutto in alcuni casi sembra essere estremamente confutabile. Nell’episodio La pulsazione della maschera, diretto da Emily Dean e reso attraverso le tinte piatte dell’animazione ibrida dello Studio Polygon Pictures, sembrano ricrearsi alcune premesse proprie del videogioco Returnal, fps horror-psicologico con elementi roguelike, sviluppato da Housemarque. Come nell’ambientazione videoludica, anche qui si ha una continua riconversione dell’ambientazione e delle scene rappresentate, che si coniugano ad una ridefinizione della materia tecnologica e organica di cui è costituito Io, una delle lune di Giove, dove si trova la protagonista.

La sovraesposizione della tecnica dell’animazione

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La costante che sembra pervadere l’intera terza stagione di Love, Death and Robots sembra essere quella della questione della società apocalittica provocata dall’incuria e dall’avidità del genere umano. Questa viene citata esplicitamente in corti geniali come La notte dei minimorti (che coniuga un’animazione geniale improntata sulla rappresentazione prospettica dall’alto di quello che è a tutti gli effetti un diorama scenico), dal corto Tre Robot: Strategie d’uscita, ponte concettuale e spirituale con il primo episodio della prima stagione, ma anche accennata e promulgata implicitamente da Sepolti in sale a volta, che potrebbe essere visto come un incipit probabile di tutte le altre catastrofi solo accennate nei precedenti episodi. 

La narrazione coniugata alla regia e alla rappresentazione grafica di ogni singola storia si oppone all’immobilità diegetica di altre serie similari, essendo come sempre imperniata profondamente sulle tre tematiche portanti, ma imponendosi ognuna per la propria specificità caratterizzante la differente trattazione e rappresentazione data dai differenti studi di animazione. Narrazioni di stampo comico e caricaturale come Mason e i ratti si presentano come convergenti di una particolare definizione della convergenza tra tematiche crude e splatter e visioni ottimistiche del superamento dei conflitti che scatenano l’auto epurazione dell’umanità. Momenti di poesia visuale che ridefiniscono sia il concetto di condivisione che quello di trascendenza, per sconfinano purtroppo in molti casi nella crudeltà verso l’altro. 

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Love, Death & Robots, anche nella sua terza trance, si impone per la sua critica, spietata, irriverente, denigratoria e anti politica degli errori umani, destinati a realizzarsi solamente con la morte e con il predominio dell’orrore e delle macchine. Solo l’amore può salvarci.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4.5

4.2

Tags: Netflix