La fantastica Signora Maisel 5: recensione all’ultima stagione della serie Prime Video
Attenzione! La recensione contiene spoiler delle precedenti stagioni della serie.
La fantastica Signora Maisel 5, la serie tv scritta e diretta da Amy Sherman-Palladino e in uscita su Prime Video dal 14 aprile 2023 con un totale di 9 episodi, giunge al suo epilogo. Se la quarta stagione accusava già una certa stanchezza, la quinta e ultima dà definitivamente ragione a Ornella Vanoni quando canta che “bisogna imparare a lasciarsi”. Prima.
La fantastica signora Maisel 5: uno dei titoli più amati di Amazon Prime Video
Miriam ‘Midge’ Maisel l’abbiamo conosciuta nel marzo del 2017 quando, per la prima volta, faceva la sua comparsa in cappottini pastello e copricapo abbinati sugli schermi degli abbonati Prime Video. Una sposa e madre di famiglia proveniente dall’ambiente ebraico della New York ultraborghese decide di mettere a rischio tutto ciò che ha – matrimonio, rispettabilità sociale, agio – per seguire il sacro fuoco della comicità e diventare una voce (e un volto, un corpo… e che volto, e che corpo!) della stand-up comedy.
Il suo personaggio ci era apparso subito di rottura perché si trattava non solo di una donna in un mondo di uomini, ma anche di una donna benedetta dal privilegio economico, cresciuta secondo certi valori per così dire tradizionali, che entrava a far parte di una realtà considerata dai più deteriore, avanspettacolo indegno di riconoscimento collettivo, intrattenimento senza sostanza e senza spessore, show modulato al disimpegno e condannato al biasimo degli engagé e alla riprovazione dei perbenisti.
La signora Maisel rivendicava per sé il diritto di affondare le sue stilettate in tubino nero e filo di perle: né badass né chic girl; né working class heroine né desperate housewife sull’orlo di una crisi di nervi, Midge provava a essere solo una donna senza rimpianti, ‘sufficientemente buona’ – per dirla con lo psicoanalista Winnicott – come madre e sufficientemente favolosa come intrattenitrice, nel segno di un’intelligenza arguta e di una vocazione al brio, di una fede nello spirito come esercizio di levità e di raffreddamento, mediante la battuta più o meno amara, più o meno satirica, della materia rovente – e talvolta dolorosa – della vita e dei suoi contraddittori affetti.
Le prime tre stagioni hanno tenuto dietro con ritmo e scrittura brillante, anche se un po’ appiattita quasi esclusivamente sulla tonalità alta dell’umore, quasi una perenne euforia di registro, alle vicende personali della protagonista e ai personaggi che le ruotano intorno, tra cui gli irresistibili genitori, incarnazioni della proverbiale ironia ebraica: il padre accademico con velleità di intellettuale e la madre dalla lingua affilata e l’indole perfezionista che, nel tempo, scopre uno straordinario talento da sensale.
La fantastica signora Maisel: qualcosa si è rotto nella quarta stagione. E la quinta non va meglio.
Qualcosa, però, nella quarta stagione sembrava essersi rotto e, sarà che ormai, benché affezionati, i personaggi ci sembravano fin troppo familiari, per arrivare alla fine, abbiamo arrancato: siamo stati ripagati soltanto dallo scioglimento, finalmente, della tensione erotica in eterna macerazione tra l’eroina protagonista e Lenny Bruce, personaggio di finzione modellato su un personaggio reale, comico, cabarettista e autore teatrale che, negli anni Cinquanta e Sessanta, satireggiava con impareggiabile spietatezza la società americana e le sue ossessioni, finendo spesso e volentieri in carcere per oscenità.
Ci saremmo aspettati, così, che la quinta stagione riprendesse laddove la quarta aveva interrotto e seguisse la solare Midge e il lunare Lenny nell’esplorazione delle conseguenze di questo incontro tanto a lungo differito quanto sublimemente consumato. E invece no: Lenny Bruce compare solo fugacemente e la signora Maisel riprende le altalene con il marito a cui ci aveva abituato nelle stagioni precedenti. Non si prenda questa informazione né come spoiler né come esaustiva: tutto sia viene precocemente apparecchiato, si rivela da sé abbastanza presto, sia altrettanto velocemente si complica. Le ragioni per cui la quinta stagione non è stata tutta costruito sul personaggio di gran lunga non solo più interessante ma drammaturgicamente fecondo della serie restano misteriose.
La fantastica signora Maisel chiude, dunque, una storia di emancipazione nel segno dell’intuizione iniziale, avvitandosi anziché espandersi e svilupparsi: ci dice che non occorre rinnegare le radici, la propria casa, letterale e simbolica, per diventare Qualcuno – la maiuscola non è casuale – o qualcosa d’altro rispetto alle origini o a un qualche destino predeterminato. Nella serie, e questa ultima stagione non fa eccezione, di cose ne accadono – identità professionali e personali si rimescolano di continuo, risovrapponendosi a quelle del passato o allontanandosene –, ma la famiglia viene rappresentata sempre come un luogo di accoglienza, dove si sorride, più di quanto non s’immusonisca, di fronte ai deragliamenti esistenziali, agli scarti rispetto al pensato, al previsto, al programmato.
Tuttavia, se la chiusura è simmetrica rispetto alle premesse, non possiamo non lamentarne il ritardo: la stagione quinta, come già la quarta, ci ricorda un po’ una bella canzone, non troppo conosciuta, di un’altra signora che, nella sua vita e nella sua carriera, ha saputo conciliare humour e borghesia: Ornella Vanoni, la quale, a Sanremo 2018, cantava che “bisogna imparare ad amarsi in questa vita / Bisogna imparare a lasciarsi quando è finita”. Ecco, i creatori della signora Maisel, e noi con loro, hanno amato molto la loro creatura, ma forse non hanno saputo lasciarla andare, come invece dovrebbero fare i genitori sufficientemente buoni – si veda sopra per la reference –, al momento giusto. Una maestra dello sketch come Midge avrebbe meritato, per la sua uscita di scena, una battuta più pronta. Senz’altro, maggiore tempismo.
La fantastica signora Maisel 5: conclusione e valutazione
La serie conclude in modo simmetrico un percorso cominciato sei anni fa: la signora Maisel è cresciuta nella professione, si avventura in nuove sfide lavorative e continua a confrontarsi con la fatica di conciliare maternità, vita in famiglia e carriera. Al suo fianco ci sono tutti: i suoi genitori, l’agente-mastino Susie Myerson, l’ex marito, i due figli Ethan ed Esther, non più tanto piccoli. Gli episodi spesso esordiscono con singolari incursioni nel futuro, balzi in avanti nella linea temporale, una novità nell’organizzazione drammaturgica del tempo narrativo, del rapporto tra fabula e intreccio all’interno dispositivo filmico.
Purtroppo, a fronte di alcuni nuovi (e trascurabili) personaggi che si affiancano ai vecchi, rileviamo l’eclissi del più carismatico ed intrigante di tutti, Lenny Bruce, il cui rapporto nascente – in termini non solo di rincorsa o di possibilità o di mentorship, ma di codificazione erotico-relazionale matura, di uno scambio profondo di pulsioni, bisogni affettivi e intellettuali – avrebbe meritato l’attenzione prioritaria e totalizzante della stagione. Anche perché, dietro il personaggio di finzione, c’è un personaggio reale, dalla storia non solo umanamente straziante, ma politicamente e storicamente rilevante. Una storia che, però, non intreccia più quella della fantastica signora Maisel e che, pertanto, non ci viene raccontata. Un grande peccato. Le ragioni di questo inadempimento ci sembrano drammaturgicamente insondabili. Senza l’approfondimento del plot legato a Bruce, l’impressione che ne deriva è che i creatori della serie non abbiano saputo chiudere a tempo debito, con la stessa guizzante prontezza con cui la signora Maisel chiudeva i suoi spettacoli di stand-up comedy. Anticipare il finale della quarta stagione alla terza e ‘finirla’ lì sì che sarebbe stato perfetto. Allungare il brodo non è mai una buona idea.