Kleo: recensione della serie TV tedesca Netflix

Dopo la caduta del Muro di Berlino, una ex spia tedesca è disposta a tutto pur di scoprire chi l'ha tradita e perché. La vendetta sarà spietata...

Nel corso degli ultimi 20 anni è sensibilmente aumentata la produzione di revenge movie, anche e soprattutto quelli raccontati da una prospettiva femminile (compresa la variante rape & revenge). Da Kill Bill a Killing Eve, passando tutto sommato anche per Fargo, siamo di fronte a un genere sfruttato a fondo, dal cinema e dalla serialità. Questo rende automaticamente la miniserie tedesca Kleo – 8 episodi, disponibili su Netflix – un prodotto derivativo, non sempre o mai del tutto originale.

In qualche modo, tuttavia, il risultato finale riesce a restituire allo spettatore una sensazione di freschezza e familiarità, prendendo una formula tanto risaputa quanto efficace e trasformandola in un movimentato action sanguinoso pieno di colpi di scena. Ambientata in Germania tra il 1989 e il 1990 (durante il periodo della caduta del Muro di Berlino), Kleo non inizia però come un vero e proprio thriller “di vendetta”. Al contrario, è più facile associare i primi episodi all’atmosfera tipica della spy story, mentre seguiamo i movimenti della killer della Stasi Kleo Straub.

Kleo: una spietata killer travolta dalla collera e dalla sete di vendetta

Kleo è un’agente esperta, che lavora sorprendentemente per il nonno per eliminare vari obiettivi. Dopo aver ucciso un uomo in un nightclub della Germania Ovest, la polizia – in particolare un agente di nome Sven – inizia però a capire chi sia questa donna. Quando viene arrestata, tutta la sua misteriosa rete di menzogne e identità segrete crolla: il nonno e tutti quelli con cui lavora testimoniano contro di lei, e a lei non resta che prendersi la colpa finendo dietro le sbarre con una condanna all’ergastolo.

È questo il vero turning point della serie, perché da questo momento in poi Kleo, consumata dalla rabbia e dalla vendetta, aspetta il momento giusto. Quando il Muro di Berlino cade e tutti i prigionieri politici sono liberi di andare, la donna parte per una personale e spietata missione per vendicarsi di chi l’ha sbattuta in galera. Il tutto procede a un ritmo piuttosto soddisfacente, con gli sconvolgimenti politici della fine degli anni Ottanta e dell’inizio degli anni Novanta che si rivelano uno sfondo avvincente per i suoi giochi di rivalsa.

Kleo: quando Tarantino incontra la Germania del 1989

La prima metà di Kleo segue un formato piuttosto convenzionale, con la donna che lavora per eliminare diversi bersagli mentre cerca di scoprire il contenuto di una misteriosa valigia rossa. Questa diventa un MacGuffin (di hitchcockiana memoria) fondamentale per il futuro, in quanto contiene un segreto che potrebbe cambiare completamente il destino della Germania e della Guerra Fredda. Man mano che la storia procede e prende forma, aumentano di pari passo da un lato l’impressionante ed elegante resa estetica (soprattutto se siete amanti dell’interior design), e dall’altra il sospetto che un po’ troppe coincidenze alimentino la trama.

Al fascicolo giusto estratto con precisione matematica da un’enorme pila di scartoffie si può tuttavia provare a non dare troppo peso, considerando quando il lavoro del trio Hackfort-Konrad-Kropf cerchi dichiaratamente di essere un’avventura divertente, fortemente (e volutamente) stilizzata e potentemente cinematografica. Quasi un omaggio a Tarantino e alla nuova spinta glam che circonda gli anni ’80 (alla Atomic Blonde, tanto per capirsi). Il tutto impreziosito da una protagonista – interpretata da Jella Haase – con la quale è impossibile non entrare in sintonia, perfetta sintesi di resilienza e fragilità umana.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.2

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