42 giorni nell’oscurità: recensione della serie thriller Netflix

La recensione della prima serie cilena targata Netflix, diretta da Claudia Huaiquimilla e Gaspar Antillo, prodotta dai fratelli Larraín. Disponibile sulla piattaforma a stelle e strisce dall’11 maggio 2022.

Sono molte le nazioni che dalla sua nascita ad oggi hanno fornito a Netflix contenuti originali e non, entrando così nel suo ricchissimo e variegato catalogo. Tra queste figura anche il Cile con una manciata di film che al loro esordio in rete hanno raccolto consensi da parte degli abbonati, tra cui il pluripremiato esordio di Gaspar Antillo con Jorge Garcia dal titolo Nessuno sa che io sono qui, prodotto dalla Fabula Productions dei fratelli Larraín. La stessa casa di produzione che adesso ha dato vita a quella che è la prima serie battente bandiera cilena ad approdare sulla piattaforma a stelle strisce, ossia 42 giorni nell’oscurità.

42 giorni nell’oscurità è una serie in sei episodi che attinge da un fatto realmente accaduto

42 giorni nell'oscurità cinematographe.it

Rilasciata l’11 maggio 2022, la serie in sei episodi della durata variabile che va dai 40 ai 59 minuti diretta a quattro mani dal già citato Gaspar Antillo e dalla connazionale Claudia Huaiquimilla, attinge da un fatto di cronaca realmente accaduto in quel di Altos del Lago, quello della misteriosa scomparsa di una donna di nome Veronica e della disperata ricerca messa in atto da sua sorella Cecilia, disposta a tutto pur di riportarla a casa sana e salva. Quest’ultima si ritroverà impegnata in una corsa contro il tempo nella quale dovrà combattere contro la negligenza della polizia, i pregiudizi della società in cui vive, il potere e gli assalti dei media. E sono questi ostacoli che la co-protagonista si troverà ad affrontare per tentare di arrivare il più vicino possibile alla verità sul destino dell’amata sorella.

42 giorni nell’oscurità è una serie thriller-investigativa dai misteri che si dipanano poco a poco

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La vicenda in questione per dovere di cronaca è quella che ha coinvolto suo malgrado – visto l’esito – tale Viviana Haeger. Tragedia, la sua, che con l’aggiunta di elementi romanzati ha dato forma e sostanza narrativa e drammaturgica agli script dei sei episodi che vanno a comporre questa serie thriller-investigativa dai misteri che si dipanano poco a poco, catturando lo spettatore con svolte improvvise e colpi di scena ben piazzati in timeline. Naturalmente i sospetti principali degli inquirenti, della comunità e della famiglia della vittima, vengono circoscritti sin da subito all’ambito domestico, concentrandosi sulla figura ambigua del marito. Dinamiche che portano il fruitore di turno a collegare la vicenda al centro di 42 giorni nell’oscurità ai tantissimi casi di scomparsa e femminicidio nei quali ci si imbatte regolarmente sulle pagine dei giornali e nei palinsesti televisivi. Motivo per cui, la serie cilena riesce a fare leva su un carico di emozioni e reazioni molto familiari alla platea. Il ché la aiuta nel percorso di approccio e coinvolgimento dello spettatore nei confronti della plot e dei personaggi che la animano.

Nel quarto episodio un twist che imploderà sullo schermo

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Lo show prende il nome dai 42 giorni di buio vissuti dalla famiglia e dalle persone coinvolte a vario titolo prima di giungere a una prima atroce scoperta. Lo spettatore invece dovrà attendere gli ultimi minuti del quarto episodio, dove tutta la tensione accumulata e lasciata latente dopo la pilota imploderà finalmente sullo schermo. Il finale di questo capitolo offre al plot la prima vera svolta, con un twist che ha il valore di una detonazione emotiva che, seppur prevedibile in chiave mistery, lascia comunque dei segni molto evidenti nella mente e nella retina dello spettatore. Sino a quel momento a farla da padrona nella serie, come era stato in maniera analoga in Gone Girl di David Fincher, sono le ricerche a tutto campo portate avanti dalle forze dall’ordine e dai legali di Cecilia, la sorella maggiore di Veronica. Poi da quel buio improvvisamente si esce, proiettati anni dopo nei due episodi conclusivi che aprono nuovi scenari durante il processo. A questo punto la serie cambia pelle e genere, entrando nella sfera del procedural con temi e stilemi annessi.

Il contributo dell’intero cast a disposizione rappresenta un valore aggiunto

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42 giorni nell’oscurità si presenta come un prodotto seriale dalla doppia anima, con una prima thriller che poi cede il testimone a una seconda di natura processuale. Ma in entrambi i casi gli autori ci tengono a mantenere il fuoco sull’impatto che il caso ha sulle persone che ne sono coinvolte, oltre che sulle ferite non cicatrizzate che restano in ciascuno di loro. Una scelta, questa, che rende meno spettacolare e avvincente il plot, con un abbassamento sostanziale dell’asticella della tensione e della suspence, a favore di un coinvolgimento emotivo maggiore alla vicenda e alla catena di azione/reazione dei singoli personaggi. È questo il punto di forza della serie, che lo diversifica dai tanti prodotti analoghi in circolazione. Ed è sempre questa la principale regola d’ingaggio che chi si addentrerà nella visione dovrà accettare per gustare a pieno l’opera e con essa il lavoro dietro e davanti alla macchina da presa. In tal senso, il contributo dell’intero cast a disposizione è notevole, con le interpretazioni di Claudia Di Girolamo (attrice cilena di origini italiane) e Daniel Alcaino, rispettivamente nei panni di Cecilia Montes e Mario Medina, che rappresentano un valore aggiunto.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.5

Tags: Netflix