Resident Evil: The Final Chapter – recensione del film con Milla Jovovich

Resident Evil: The Final Chapter è il capitolo finale della saga cinematografica di Paul WS Anderson, adattamento cinematografico del celebre videogame Capcom. Il paragone con il capolavoro videoludico degli anni 90 è quasi doveroso, ma totalmente impietoso. Nella saga con protagonista Milla Jovovich possiamo dire che l’impalcatura, o meglio, il palinsesto è quello appartenente al mondo Capcom, ma la storia è totalmente travisata e diversa.

Il primo adattamento cinematografico risale all’ormai lontano 2002, erano gli anni in cui i videogiochi di Resident Evil avevano conquistato i mercati internazionali, dove si gridava al capolavoro senza precedenti. Nel primo videogame, le caratteristiche che avevano colpito erano le grandi ambientazioni, i personaggi meravigliosamente tratteggiati e l’incredibile paura che si aveva nel giocarlo.

Resident Evil: The Final Chapter – l’ultimo capitolo della saga con Milla Jovovich

Era il 2002 quando Paul WS Anderson portava nelle sale Resident Evil, il primo film di una saga che prometteva davvero scintille. E l’inizio non era poi così malvagio, azione e adrenalina la facevano da padroni, ma del videogame non c’era più traccia, se non gli zombie e qualche vago riferimento. La saga ovviamente non si è fermata lì, a partire dal primo film sono stati ben 5 i sequel, rispettivamente, Resident Evil: Apocalypse, Resident Evil: Extinction, Resident Evil: Afterlife, Resident Evil: Retribution e il nuovo Resident Evil: The Finale Chapter. Il tratto che accomuna tutti questi film, dopo l’apparente novità del primo, è la terribile monotonia che si prova guardando dal 3 film della saga in poi.

Resident Evil The Final Chapter

Praticamente da Resident Evil: Apocalypse, se a malapena si sfiorava la sufficienza politica (dello scrivente), da lì in poi il disastro è servito sul piatto d’argento. La linearità di una trama viene completamente meno e l’azione e gli effetti speciali sono solamente un contorno di un contenitore vuoto e terribilmente stressante. In poche parole si assiste a una continua carneficina, uno splatter insulso e senza più guardare al vero obiettivo finale del film. Non esiste un inizio e una fine, tutto sembra perennemente sospeso tra l’assurdo e l’impossibile, c’è solo un mero intrattenimento circense e tanto meno valevole di menzione.

Resident Evil: The Final Chapter – dove il senso non ha strade da percorrere

Il videogame del 1996 era ben categorizzato come survival horror, ovvero sopravvivere e non sparare all’impazzata, con capriole impossibili e inseguimenti altrettanto assurdi. Ora Resident Evil: The Final Chapter tenta in qualche maniera di dare una svolta alla storia, di piazzare un colpo deciso al cuore dello spettatore, ma non ci riesce, anzi tedia nell’ingannare nuovamente il malcapitato dandogli l’illusione, come avrebbe detto il buon Jim Morrison che “This is the end”. Ma la fine è tutt’altro che giunta.

Resident Evil The Final Chapter

Alice è (ancora) alle prese con i non morti. Questa volta la bellissima Milla Jovovich, insieme a Ali Larter dovranno cercare di sgominare il piano del Dr. Isaacs e di Albert Wesker, i proprietari dell’Umbrella, dal tentativo di distruggere il mondo (come se già non avessero fatto abbastanza). Questa volta la sfida si sposta nuovamente sulle strade della defunta Raccoon City e presto Alice dovrà far fronte non solo alle orde dei non morti, ma anche a un oscuro passato che presto le verrà a bussare alla porta.

Resident Evil: The Final Chapter – il disastro è servito!

Non c’è una consecutio temporum non è lineare e ben definita. La concezione spazio-temporale (personalmente intesa da Paul WS Anderson) è totalmente folle, gli spostamenti richiedono davvero tempi inconsueti e questo stordisce chi vede il film. I personaggi, a eccezione di Alice, sono completamente senza un minimo di caratterizzazione. Alcune figure chiavi del mondo dei videogame appaiono e scompaiono nel nulla più completo. Quello che spaventa (o diverte) di Resident Evil: The Final Chapter è l’incredibile livello di cinema trash che riesce a raggiungere. Non c’è una e una sola scena che incuta paura o timore, Anderson ci prova con i jump-scare, ma dopo 30 minuti di film già abbiamo capito il funzionamento e termina la “novità”.

Tutto si regge su un equilibrio che esiste solo nella mente del regista e che stona pesantemente con il risultato finale. Il tutto è condito con frasi fatte, dialoghi senza senso, qualche scena strappa-lacrime che tenta di rianimare lo spettatore assopito e un’apparente blasfemia tirata nel calderone come un doccia gelata in piano agosto (vediamo chi se ne accorgerà!). Resident Evil: The Final Chapter è il finale indegno di una saga iniziata benino e finita come peggio non si poteva, tutto poteva aver un senso se ci si fosse fermati al secondo film, ma non sempre la saggezza scorre nelle giuste vene.

Regia - 1
Sceneggiatura - 0.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 1
Sonoro - 2
Emozione - 0.5

1.1