Sergio Leone: l’omaggio a 30 anni dalla scomparsa del regista

Riscopriamo alcune dichiarazioni del grande regista Sergio Leone in occasione dell'omaggio che verrà fatto in suo onore per il trentennale della scomparsa

Scopriamo come verrà ricordato e omaggiato Sergio Leone, un vero maestro dell’arte cinematografica, in occasione del trentennale della sua scomparsa

In occasione del trentennale della scomparsa di Sergio Leone, avvenuta il 30 aprile del 1989, VIGGO presenta uno speciale omaggio con un doppio spettacolo nelle sale. Partirà il 29 aprile e terminerà il 7 maggio 2019 con la versione restaurata del celebre film cult Per un pugno di dollari e il documentario Sergio Leone: cinema, cinema diretto da Carles Prats e Manel Mayol, che vanta la collaborazione e la testimonianza di illustri nomi, quali: Tonino Delli Colli, Sergio Donati, Ennio Morricone, Dario Argento, Fernando Di Leo, Florestano Vancini, Christopher Frayling e Luca Verdone, insieme a tanti altri nomi del nostro cinema e non solo.

L’occasione per celebrare la sua memoria incomincerà a Torino, presso il Multisala Massimo dal 29 aprile e proseguirà a Milano, martedì 30 aprile al Cinema Beltrade e continuerà a Firenze, a partire dal 7 maggio al Multisala Principe. Il film Per un pugno di dollari, diretto dal grande maestro Sergio Leone nel 1964, sarà presentato nella sua versione restaurata da Ripley’s Films e dalla Cineteca Nazionale del CSC in collaborazione con Unidis Jolly Film e Sky Cinema. Di questa pellicola, il regista, nato a Roma il 3 gennaio del 1929, aveva rilasciato la seguente dichiarazione.

L’Italia era in piena crisi cinematografica. Ricordiamo il fallimento della Titanus. E quindi erano andati bene i film tratti dai romanzi di Karl May, che in Germania rappresentava un pò il nostro Salgari. Sul piano europeo, si pensava che per diminuire il rischio fosse conveniente fare dei western. In tal caso sarebbero infatti subentrati produttori spagnoli e tedeschi. Devo però chiarire una cosa: molti danno a me la paternità del film western italiano: non è vero, perché prima del mio sono stati fatti venticinque western. Quando finii Per un pugno di dollari, un esercente romano, proprietario di ben cinquanta sale cinematografiche, non volle neanche venire a vederlo in proiezione privata, perché si era ormai stabilito che il western in Italia era completamente finito. Gli altri western italiani erano già usciti e i critici non se ne erano nemmeno accorti, già da tre anni imperversavano nelle seconde e terze visioni, e nessuno se ne era accorto perché erano tutti nomi contrabbandati, si pensava che fossero piccoli film, riedizioni americane televisive, non si sospettava neppure che fossero fatti da registi italiani e spagnoli, quindi diciamo che Per un pugno di dollari è stato il ventiseiesimo western italiano. […] Quando ho cominciato a fare cinema, venendo da una scuola neorealista, non potevo immaginare che quattro anni dopo avrei debuttato proprio con un western. Un giorno mi resi conto che il genere languiva, avevo visto alcuni degli ultimi western americani piuttosto spenti e pensai: “Perché deve morire un filone così nobile?”. Perché, secondo me, in un western si possono fare discorsi talmente lati e importanti da renderlo veramente nobile. Dopo aver visto Yojimbo, pensai di riportare in patria la novella americana da cui Kurosawa aveva tratto il suo film e mi dedicai con estrema passione, ma con pochissimi mezzi, alla lavorazione del film.

Prima di mostrarvi la locandina commemorativa, vogliamo infine ricordare Sergio Leone attraverso altre sue parole, questa volta riguardanti la sua infanzia e la sua attrazione e ammirazione per Cinecittà:

Avevo 13 anni e mio padre faceva un suo film qui, il suo ultimo film si chiamava Bocca sulla strada e io venivo qui, quando mi è stato aperto per la prima volta il cancello è stato come aprire il cancello della fabbrica dei sogni… In quel periodo stavano facendo due grandissimi film La corona di ferro di Alessandro Blasetti e I promessi sposi, che io studiavo a scuola, di Mario Camerini. Quindi io passavo da un set all’altro e in quel momento non pensavo di continuare fare il mestiere di mio padre proprio per le delusioni che ne aveva avuto lui e invece da quella volta il germe si è infiltrato nelle vene e ho cominciato a prendere in seria considerazione l’idea di fare anche io questo mestiere. Sono stato l’aiuto di Ben Hur, sono stato l’aiuto di Quo Vadis, di Elena di Troia. Era un clima particolarissimo ma non era un clima estremamente eccitante: gli americani avevano quella che io chiamo la perfetta organizzazione disorganizzante cioè sono tutti precisi, sono tutti metodici ma poi alla fine perdi tempo perché se non c’è il capo del settore non trovi nessuno che ti dà una spada, un attrezzo e te lo devi andare a cercare nei posti più impensabili. Quindi in fondo non è tutto oro quel che luccica. Io preferisco l’atmosfera di Cinecittà quella particolarissima italiana, cioè dove il macchinista partecipa e vibra con te durante il film e ti fa sentire uno di casa. Io quando vengo a Cinecittà con i nostri macchinisti i nostri elettricisti e come andare in un’altra famiglia.

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