Bif&st 2020 – Rose Plays Julie: recensione del film di Christine Molloy e Joe Lawlor

In anteprima internazionale il thriller psicologico irlandese con Ann Skelly, Orla Brady e Aidan Gillen.

“Lo stupro è l’unica forma di violenza che può portare alla nascita di una nuova vita”, hanno dichiarato al Bif&st 2020 i registi di Rose Plays Julie, Christine Molloy e Joe Lawlor: come quella di Rose, studentessa di veterinaria, adottata da piccola, che va alla ricerca dei suoi genitori biologici per scoprire sé stessa, per “completare” la sua identità. Ma la scoperta delle proprie origini si rivelerà per la giovane protagonista un dramma che la porterà verso un nuovo, doloroso viaggio.

Rose Plays Julie, cinematographe.it

Rose Plays Julie – La figlia del dolore

Rintracciata Ellen (Orla Brady, American Horror Story: 1984), la sua vera madre, Rose scopre con sgomento di essere frutto di una violenza: non la figlia di una coppia di adolescenti innamorati che non avevano avuto le possibilità economiche per crescerla come aveva fantasticato per anni, ma, come ripeterà a sé stessa, “un’aberrazione”. Decisa a chiudere il cerchio la ragazza fa delle ricerche per ritrovare anche il padre stupratore che si rivela essere Peter (Aidan Gillen, Petyr Baelish ne Il Trono di Spade), un affascinante e ambiguo archeologo, al quale non confessa subito di essere sua figlia, riflettendo a lungo sul da farsi. Lasciarsi andare all’istinto irresistibile della vendetta o distruggere la sua vita attraverso un pericoloso gioco psicologico?

Rose Plays Julie, cinematographe.it

L’immagine che Rose sembra vedere di sé stessa riflessa negli occhi di Peter è quella di un individuo metà donna, metà “mostro”, come lo sguardo diabolico che l’uomo assume durante i suoi attacchi di violenza. Un animale che, come quelli che Rose studia all’università, non riesce a controllare i suoi istinti violenti e improvvisi. In quanto “figlia del dolore” Rose, che con il padre biologico recita il ruolo di Julie, il nome datole da Ellen appena nata, non riesce a darsi pace tentando il modo più efficace per soffocare la parte malata di sé, per estirparla.

Le conseguenze della violenza

I tempi si dilatano nel racconto affascinante che Christine Molloy e Joe Lawlor portano avanti senza morbosità: bastano le poche taglienti parole di Ellen e qualche immagine sfocata lontana nel tempo per evincere tutto il dolore e l’ingiustizia di un gesto vile e mostruoso. Bastano i ripetuti primi piani sugli sguardi intensi di Rose, una bravissima Ann Skelly, per immedesimarsi nei pensieri confusi e dilaniati di chi sa di essere frutto di uno stupro. È una suspense continua, accompagnata da atmosfere inquietanti e dalle suggestive musiche di Stephen McKeon, che arriva fino all’acme e restituisce alla fine un gesto finalmente catartico da vera tragedia greca.

Rose Plays Julie, cinematographe.it

I registi senza inutili lungaggini lasciano allo spettatore il compito di ricostruire le vite passate dei tre protagonisti, libero di immaginare cosa sono stati prima del loro definitivo incontro e com’era la vita di Rose prima di scoprire di essere stata adottata, libero di immaginare anche l’orrore. Senza retorica, né buonismi il film affronta il tema sempre doloroso delle conseguenze dello stupro, in questo caso a distanza di anni, e solleva la questione etica della giusta pena da infliggere a uno stupratore, quale sia il castigo a cotanto delitto, argomento che scatena sempre i più bassi ma comprensibili istinti umani.

Quello che di buono rimane alla fine è sicuramente il rapporto speciale tra una madre ritrovata che per anni aveva allontanato con ribrezzo l’immagine della primogenita e una figlia che nell’abbraccio con la genitrice ritrova finalmente sé stessa.

Rose Plays Julie non ha ancora una distribuzione italiana.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Recitazione - 4
Fotografia - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.7