Perché Tim Burton non piace più? Così il regista ha crocifisso il suo lato goth

In tempi recenti Tim Burton sembra deludere le aspettative di molti, come se a un certo punto il suo cinema non piacesse più. Cosa è successo al regista e perché è possibile fissare uno spartiacque nella sua carriera? Analizziamo insieme come è cambiato il suo lato goth.

La filmografia di Tim Burton, più di quella di altri autori contemporanei, è attraversata da tutta una serie di segni iconici ricorrenti, stilemi precisi e situazioni reiterate che si intrecciano lungo un percorso narrativo, prettamente postmoderno. Postmoderno perché le narrazioni burtoniane sono sempre frammentarie, fatte di rielaborazioni di un immaginario gotico e infantile estrapolato dalla cultura di massa americana e restituito attraverso processi di produzione del cinema industriale, al servizio di una visione autoriale molto forte. Questa visione è improntata sulla modalità narrativa della fiaba. Se le fiabe, infatti, possiedono la capacità di trasformare in materia narrativa ansie e paure dell’infanzia, rielaborandole attraverso motivi mitici e religiosi, così da fornire dei modelli di sviluppo per il bambino (Bettelheim, 1976), si può sostenere che il cinema di Tim Burton insceni dei modelli di sviluppo per individui (bambini o adulti) eternamente intrappolati in un’alienante condizione infantile. Tali modelli seguono due direttrici ben diverse, a seconda del periodo in cui i film sono stati realizzati.

Tim Burton (1982 – 1999) vs Tim Burton (2001 – 2022): come sono cambiate le fiabe postmoderne del regista

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La carriera del regista di Burbank può essere divisa principalmente in due parti. La prima va dal 1982, anno del primo cortometraggio animato, Vincent, al 1999, anno di uscita nelle sale di Sleepy Hollow. La seconda parte è quella che va da Planet of the ApesIl pianeta delle scimmie (2001) a Mercoledì, la serie disponibile su Netflix dal 23 novembre 2022, di cui Burton è produttore esecutivo e regista della metà degli episodi.

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Nella prima parte della carriera di Burton l’intero nucleo narrativo delle sue “fiabe postmoderne” (La Polla, 1999) ruota attorno alla ricerca, da parte dei protagonisti di queste, di una identità al di fuori di quella che Fiedler definisce “tirannia del normale” (Vitiritti, 2012). Ovvero al di fuori delle convenzioni di un mondo degli adulti, improntato all’efficienza normativa psicofisica e a quell’etica protestante del capitalismo borghese, figlio della tradizione americana (Weber, 1991). Nella seconda, le rappresentazioni culturali burtoniane si configurano come una ripetizione incessante degli elementi di un brand cinematografico (Tim Burton autore outsider pop/dark), che propone una visione molto più riconciliata e conciliante della diversità. I protagonisti di questa fase creativa, infatti, nonostante vengano costantemente presentati come degli irriducibili emarginati sociali, alla fine emergono dalla propria alienazione infantile, in quanto figure vicarie di un ideal tipo dell’individualista eccentrico/imprenditore di successo, tipico di una certa cultura americana (Willy Wonka, Alice, Barnabas Collins, persino Miss Peregrine…). Ciò determina, in maniera piuttosto esplicita, una grottesca difesa proprio di quel capitalismo borghese che inizialmente l’opera del regista metteva alla berlina, nonché di quelle strutture sociali, quali la famiglia e la piccola comunità di appartenenza, che apparivano come omologanti e opprimenti.

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Goth Subculture

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Nell’universo simbolico burtoniano la principale marca visiva, che identifica i personaggi come degli outsider consumati dal contrasto fra tensioni infantili e spinte sociali, è spesso indicata da un’estetica goth. Burton infatti non ha mai nascosto la propria attrazione – si badi bene, non appartenenza – per il mondo dell’hard rock orrifico – Alice Cooper in Dark Shadows (2012) – e del punk più artsy – Danny Elfman, autore della maggior parte delle colonne sonore burtoniane era il frontman degli Oingo Boingo. Ma è alla sottocultura goth, che dal punk nasce, cui Burton appare essere più legato – è persino riuscito a inserire Face to face di Siouxie, in Batman – Il ritorno (1992).

Il punk si configura come una pratica culturale significante (Hebdige, 1979) in grado di sfidare l’ideologia capitalista e i canoni estetici e morali a essa corrispondenti, grazie alla valorizzazione del cattivo gusto, del corpo abietto, della pratica dell’autoproduzione e di un immaginario fatto di B-movie, nichilismo, decadenza urbana e spinte libertarie. Il goth, da parte sua, ne estremizza gli aspetti morbosi e trasla la sfida punk alla società borghese nel campo del romanticismo nero e della maliconia, intesa come unica risposta possibile agli orpelli colorati del consumismo.

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Lydia Deetz di Beetlejuice (1988), Selina Kyle/Catwoman di Batman – Il ritorno, Vincent di Vincent ed Edward di Edward mani di forbice (1990) sono gli esempi più significativi di questo carattere eversivo della sottocultura goth, nella prima parte dell’opera del regista di Burbank. Mercoledì Addams, reinterpretazione burtoniana del classico personaggio delle strip de La famiglia Addams di Charles Addams, al netto della sua appartenenza formale a questa schiera di giovani macabri, se ne differenzia per una serie di motivi che andremo ad analizzare.

Mercoledì e gli altri personaggi di Tim Burton

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L’estetica goth segna per Selina, Lydia, Edward e Vincent un irriducibile distacco da una quotidianità improntata sulla normatività di una classe sociale medio/alta, che vede nel valore della produttività, il segno del successo esistenziale e nella conseguente appartenenza ai canoni estetici wasp, quello dell’integrazione. Tutti questi personaggi si trovano in una fase infantile reale (Lydia e Vincent) o protratta (Selina ancora legata all’autorità materna ed Edward eterno adolescente buon selvaggio), che confligge con le esigenze di efficienza psicofisica ed economica delle comunità statunitensi tardocapitaliste, entro cui sono inseriti. Per superare tale condizione però – e sta qui l’originalità dell’autore rispetto ad altri cantori della giovinezza – i personaggi devono abbracciare completamente la loro alienazione e seguire parabole di opposizione radicale alla comune percezione della realtà.

Selina si ribella, così, al proprio datore di lavoro, Max Shrek, metafora non troppo sottile dell’idea marxista della natura vampirica del capitalismo; indossa una catsuit sadomaso, modellata sugli outfit della “dea goth” Siouxie, entra in contatto con il misticismo e si trasforma in un vettore di giustizia sociale, laddove l’eroe Batman non riesce a superare il manicheismo legalitario, a causa del suo personale trauma infantile. Lydia indossa il suo macabro vestiario come un sudario, a costante monito del proprio rifiuto delle velleità imprenditoriali del padre e della visione dell’arte, come mezzo di affermazione sociale, della madre. Per Lydia la fotografia e la letteratura non possono essere capitalizzate, sono mezzi di espressione di una natura oscura, che troverà pace e una vita meno solitaria solo fra fantasmi e morti viventi, cioè fra chi è per sempre escluso dai processi economici.

Edward, pallido mannequin a metà strada fra Robert Smith e Pinhead di Hellraiser (Barker, 1987) rappresenta la sublimazione dell’artista puro. Una creatura artificiale, come il mostro di Frankenstein, votato non alla distruzione, ma alla creazione. In altre parole una divinità postmoderna, che per assurgere al proprio ruolo di creatore (crea prima sculture topiarie e poi la neve!) deve pagare il prezzo dell’isolamento e accettare la solitudine, in un castello gotico situato al di sopra della cittadina middle class che non riesce ad accoglierlo. Quest’ultima, si badi bene, non riesce ad accogliere Edward sempre per motivi economici. Edward non guadagna, fa le cose gratis ed è capace di rubare per amore. Non solo non sa capitalizzare i propri talenti, non è cioè produttivo nei termini borghesi, ma può diventare anche una minaccia alla proprietà altrui. Edward appartiene al regno della creatività fine a sé stessa che risiede, in una palese astrazione/esaltazione romantica della settima arte, nell’immaginario del cinema gotico dell’infanzia del regista (Vincent Price, Frankenstein, la casa Usher e i castelli dei film di Roger Corman). Tale immaginario non potrà mai essere compreso da una quotidianità normata, la quale tutt’al più può contemplarne gli oscuri splendori da lontano, o davanti uno schermo!

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Infine Vincent è il personaggio più radicale nel suo rifiuto della normalità. Bambino solitario, trasforma la propria passione per i film con Vincent Price in un manifesto antidisneyano, che non vede l’infanzia come un giardino fiorito, preludio agli amori adolescenziali e alla formazione di una famiglia tradizionale. No. Per Vincent l’infanzia è un inferno di mostruosità da B-movie di cui egli è il re, tanto da preferire di fingersi morto, piuttosto che normalizzarsi come vorrebbe la madre. Insomma non vi è percorso di crescita né accettazione di patto sociale alcuno. Lo stupore infantile è l’unico stadio della coscienza/conoscenza accettato e l’alienazione, da esso derivante, non solo è da ricercare, ma anzi da coltivare per portare avanti un teoretico assalto al reale, che culmina nell’esaltazione di una poesia della morte, affine all’opera di Poe.

Mercoledì: la retorica targata Tim Burton

Mercoledì/Cat Immagine goth Cinematographe.it

Mercoledì presenta degli elementi comuni a tutti questi personaggi, ma li riduce a dei meri artifici retorici, volti a esaltare, da un lato, un percorso narrativo e di crescita del personaggio, molto tradizionali. Dall’altro, lega tale crescita alla capacità di scendere a patti con le dinamiche produttive proprie del capitalismo statunitense, come già altri personaggi burtoniani post-2001.

Da un punto di vista formale l’intero universo della serie, sceneggiata da Alfred Gough e Miles Millar, sembra concepito per essere un omaggio alla filmografia del regista. Ci sono gli alberi scheletrici, la casa american gothic in stile Bates Motel e l’ombra di Edgar Alla Poe che aleggia ovunque sulla scuola Nevermore. Enid, la compagna di stanza di Mercoledì, indossa spesso golfini d’angora rosa come la compagna di Ed Wood (e lui stesso en travesti) ed è una ragazza lupo come la Carolyn di Dark Shadows (2012). Mercoledì ha un look gotico, ovviamente debitore della controparte cartacea, ma anche di quello di Lydia Deetz e a un certo punto si ritrova persino vestita da Catwoman. Qua e là troviamo citazioni sparse all’architettura di Gotham City e al Joker di Batman (1989). Il male nella serie è incarnato dal fanatismo religioso puritano come in Sleepy Hollow, Frankenstein è il nume tutelare sia della protagonista che del villain, mentre il demone finale ricorda il Baron Blood de Gli orrori del castello di Norimberga (1972) di Mario Bava, cineasta costantemente omaggiato da Burton.

L’universo così costruito risulta fortemente stilizzato, in termini di immaginario gotico e il contrasto con una supposta quotidianità normata rimane depotenziato. Ci sono interni anni sessanta color pastello, qualche redneck e casette omologate, ma tali elementi non spiccano rispetto al resto. Anche questi finiscono infatti per essere indici di una visione fantastica, che ha ormai poco a che spartire con la rappresentazione di una qualsiasi realtà, esterna all’universo del regista – si vedano a riguardo, Big Fish (2003) e Frankenweenie (2012). D’altronde l’operazione d’inglobamento del reale da parte dell’universo gotico, era stata portata a termine concettualmente già in Sleepy Hollow. Da quel momento in poi, nell’opera burtoniana, il contrasto formale fantastico nero/quotidianità borghese viene a cadere in favore di un universo completamente fantastico. L’immaginario gotico smette di essere marca di diversità rispetto alla realtà middle class statunitense e ne diventa esso stesso un’emanazione – come in Dark Shadows.

Il pianto dell’élite

Mercoledì/Mano Immagine goth Cinematographe.it

Nonostante in Mercoledì ci sia il tentativo di recuperare quel carattere di alterità dello stilema gotico, attraverso il forte tocco goth sottoculturale, il risultato appare posticcio. Si consideri infatti che la natura stessa della protagonista è profondamente diversa da quella dei personaggi cui è accomunata per vicinanza estetica. La giovane Addams fa parte di un nucleo famigliare, e di un concept narrativo, in cui tutti i suoi simili sono come lei. L’essere “goth” è una caratteristica di famiglia nelle vignette di Charles Addams. Per di più la ragazza è calata in un contesto dove tutti sono mostri. O meglio tutti hanno peculiarità che si rifanno alla mitologia horror, ma ricordano più propriamente i superpoteri. L’aspetto fisico di vampiri, licantropi e sirene è identificato da corpi, volti e comportamenti tipici degli adolescenti della narrativa televisiva contemporanea (da Riverdale a Sabrina).

Siamo insomma davanti non a dei reietti, come sono ripetitivamente definiti all’interno della narrazione, ma a dei figli dell’élite (l’appartenenza di classe viene esplicitata in alcuni dialoghi) i cui poteri, più che essere un handicap, garantiranno loro successo sociale ed economico. Mercoledì è la manifestazione estrema di questa efficienza produttiva elitaria: è un genio intuitivo, una scrittrice in erba, che a differenza di Lydia scrive per esser pubblicata, ha poteri psichici e padroneggia il kung fu. Gli attributi che differenziano la giovane dai suoi compagni sono il vestiario goth e una maschera di cinismo e freddezza emotiva. Cioè elementi prettamente estetici e di facciata. Il percorso di crescita del personaggio infatti è quello tradizionale della narrativa per adolescenti ed è volto a reinserire Mercoledì in una comunità di suoi simili, nella sua classe sociale di appartenenza, grazie alla reciproca accettazione e alla scoperta dell’amore. Inoltre, come in una Smallville qualsiasi, la ragazza mette i suoi talenti al servizio della legge, cioè di quella normalità omologante, sfidata apertamente da personaggi come Vincent e Selina.

Al di là del citazionismo e delle trovate divertenti, alla stregua dell’iconico ballo sulle note di Goo Goo Muck dei The Cramps, che prelude a un omaggio a Carrie – Lo sguardo di Satana (De Palma, 1976), la protagonista della serie Netflix, non è altro che l’ennesima variazione del contemporaneo mitema del supereroe adolescente. Mercoledì è dunque una figura culturale radicalmente opposta alle altre incarnazioni goth burtoniane, in quanto radicata nella morale marveliana che vuole che da “grandi poteri derivino grandi responsabilità”, verso il sistema socioeconomico di appartenenza. Tale aspetto risulta ancora più controverso per il fatto che Mercoledì insiste a voler portare avanti, fuori tempo massimo, l’idea vittimistica di una diversità sociale, radicata in malinconie ottocentesche e privata di connotazioni di classe – o meglio attribuita esclusivamente alla classe dominante. Burton e i due sceneggiatori finiscono così per derubricare le reali cause di discriminazione della contemporaneità, come le differenze socio-economiche e di genere, a idiosincrasie, tipiche della piaga di quel politicamente corretto, più volte criticato dal regista stesso nella vita reale (si veda a riguardo la moscia intervista rilasciata a Il foglio, nel 2021).

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