Bernardo Bertolucci a Roma FF11: “tutti i registi in realtà sono voyeur”

Dopo l’incontro con Oliver Stone, la Festa del Cinema di Roma 2016 propone un incontro con un’altra leggenda vivente del cinema come Bernardo Bertolucci, che ha deliziato la platea con più di un’ora di racconti, riflessioni e aneddoti sulla sua eccezionale carriera alternati a spezzoni dei suoi film.

Bernardo Bertolucci ha cominciato l’incontro parlando degli inizi del suo percorso cinematografico:

“Quando mi sono formato io era epoca di Nouvelle Vague, erano gli anni ’60 e il cinema ha dovuta accettare quello che stava accadendo fuori dai teatri di posa. Era un momento di grande passione, avevo un amore per Godard così aggressivo che avrei picchiato quelli che non lo apprezzavano. Dopo aver fatto Partner, ho girato un piccolo film nella mia terra, La strategia del ragno. Non è in circolazione, non si può vedere, perché mentre ero in post-produzione mi arrivò luce verde per Il conformista, tratto dal romanzo di Moravia.”

Dopo uno spezzone tratto proprio da Il conformista, Bernardo Bertolucci ha parlato del finale del film, modificato rispetto al libro:

“Ho cambiato perché nel libro di Moravia il finale per me era inaccettabile. I protagonisti vengono uccisi da un caccia degli alleati. Era un po’ troppo simbolica come conclusione, così ho deciso di finire con un primo piano di Trintignant che improvvisamente forse capisce tutta la sua vita e la sua storia. Invece del finale del libro, in cui veniva punito dagli dei, qui viene punito capendo i suoi errori.

Il Maestro ha poi utilizzato una scena del film per una riflessione sulla sua idea di cinema:

“Ho scelto questa scena perché è un modo per parlavi del voyeurismo. In questa scena Trintignant diventa un voyeur. Il voyeurismo mi interessa perché tutti i registi in realtà sono voyeur. Io non condanno il voyeurismo. Quando mi metto alla macchina da presa penso che il buco della macchina da presa sia anche il buco della serratura, nello specifico quella dei genitori. Un’interpretazione in linea con il pensiero di Freud, che dice che tutti i bambini hanno visto o immaginato i genitori che fanno l’amore. Il voyeurismo è un sistema di pensiero. Quando rivedo alcuni miei film mi dico che il voyeur che è in me si è messo troppo in disparte.”

Lo spezzone successivo è stato la scena finale di Ultimo tango a Parigi. Sulla genesi del film Bertolucci ha dichiarato:

“Un piccolo distributore di New York mi disse che mi voleva produrre un film. Gli ho dato una paginetta con una storia di un uomo e una donna che si incontrano in un appartamento vuoto, solo per fare l’amore, senza sapere o volere sapere come si chiamano. È un modo per distaccarsi dalla loro realtà sociale. Da quest’idea è venuto fuori Ultimo tango a Parigi. L’idea all’inizio era di avere per protagonista uno fra Alain Delon e Jean Paul Belmondo. Belmondo dopo aver letto la sceneggiatura mi cacciò dicendomi che era un film osceno. Delon mi disse che voleva essere anche produttore.”

Come ben sappiamo, alla fine la scelta per la parte principale è ricaduta su Marlon Brando, ha proposito del quale Bernardo Bertolucci ha detto:

“Incontrai Marlon Brando per la prima volta in un albergo a Parigi. Lui era stanco dal viaggio da Los Angeles. Io gli raccontai in due minuti la storia del film con un inglese pessimo. A un certo punto gli chiesi come mai non mi guardava in faccia. Lui mi rispose che stava fissando il mio piede, che continuavo ad agitare per l’emozione.

Prima di girare portai Brando e il cast tecnico a una mostra di Bacon, in cui tutti capirono cosa volevo in quanto ai primi piani. Dissi a Marlon Brando che i suoi primi piani dovevano avere la stessa forza e intensità. Lui è riuscito a dare corpo e peso a un personaggio che in sceneggiatura non esisteva. Era l’uomo più bello del mondo, non è mai più esistito un uomo così.”

Il film successivo di cui si è parlato è stato L’ultimo imperatore, capolavoro che fu premiato con ben 9 Oscar. Sulla genesi del film, Bernardo Bertolucci ha dichiarato:

Ho letto il libro Da imperatore a cittadino, che mi ha appassionato moltissimo. Io e lo sceneggiatore, senza sapere nulla, siamo andati a Pechino nel 1984. La Cina era quella di prima dell’apertura che avremmo visto un paio di anni dopo. Nella scena dell’incoronazione del bambino, c’erano centinaia, forse migliaia di comparse. Oggi sarebbe possibile fare tutto in digitale, forse sarebbe anche più bello. Ma questo non mi avrebbe permesso di vedere una scena incredibile, ovvero due file di sedie con seduti dei giovani con dei soldati che gli tagliavano i capelli furiosamente. C’erano dei mucchi di capelli ovunque, che mi portavano alla mente cose terribili.

Stavo quasi per scappare. Certe volte il cinema porta in delle situazioni molto forti.” Il regista si è poi soffermato proprio sul digitale, a proposito del quale ha detto: “Non so se avrò tempo per approfondire la tecnologia digitale al cinema, ma il digitale mi sembra troppo definito. Non c’è quel minimo di fuori fuoco che fa parte della natura della pellicola.

La pellicola ricorda la pittura impressionista, quindi con il digitale bruci tutto questo, perché è troppo definito. Ma magari in futuro l’altissima definizione potrebbe permettere di leggere più a fondo le emozioni dei personaggi.”

Il successivo lavoro di Bernardo Bertolucci a essere sviscerato è stato Novecento. A tal proposito il regista si è così espresso:

“Novecento ha avuto una vita complessa. Il film all’inizio durava 5 ore e 10 minuti. Il produttore decise che per la distribuzione americana bisognava tagliarlo fino a 3 ore. Lui prese il film, lo diede a un montatore, sparirono e tornarono fuori con un film che durava 3 ore, che io mi sono sempre rifiutato di vedere.

La Paramount mi disse di fare una versione di 4 ore. Io l’ho fatta, ma secondo me si era perso molto del respiro originale del film. La versione da 4 ore e un’altra da 4 ore e mezza non sono mai riuscito ad amarle. La Paramount fece uscire il film soltanto in 30 cinema americani, senza nessun tipo di pubblicità, affossandolo cosi in partenza.

È un film che ho fortemente voluto, perché volevo tornare nella terra di mio padre. Mio padre mi ha insegnato tutto: la poesia e il cinema, per esempio. Novecento c’è perché io in qualche modo dovevo omaggiare la sua poesia. Coordinare attori di lingue e paesi diversi è stato un vantaggio, una qualità in più.”

Dopo una clip tratta da Il tè nel deserto, il Maestro ha parlato del suo amore per i suoi cineasti di riferimento, come Godard e Rossellini:

“Io ho dovuto in qualche modo metabolizzare le loro influenze. Restavo davanti ai loro film, e soprattutto davanti a quelli di Rossellini, che venne riscoperto solo dopo che i registi della Nouvelle Vague dissero che era una grande regista. Se qualcuno mi dice che ho preso inquadrature e scene da altri io dico che è vero,. Tutti i più grandi registi sono stati dei ladri di cinema, l’importante è non farsi scoprire. Invitai Godard a vedere la prima de Il conformista, dandogli appuntamento dopo la proiezione. Quando Godard arrivò non mi disse niente. Mi diede un foglietto poi andò via. C’era un suo ritratto di Mao fatto con un pennarello rosso, con scritto “Bisogna lottare contro l’egoismo e l’individualismo”. Io fui così arrabbiato che strappai quel biglietto”.

Una clip di Io e te, a oggi l’ultimo film di Bernardo Bertolucci, ha introdotto una riflessione sul cinema contemporano da parte del regista:

“Negli anni ’60 c’erano due direzioni nel cinema che amavo: quella di Bresson e di Ozu, severa e rigorosa, con piani fissi. Mizoguchi invece raccontava storie con grandi momenti di macchina. Io mi sentivo più vicino a questa linea. Oggi vedo molte serie tv americane.

Sono molto spesso fatte con i piani fissi. Guardo tanti film di giovani registi italiani, e anche nelle loro opere c’è in qualche modo la prevalenza del piano fisso rispetto al movimento di macchina.Con i movimenti di macchina si raccoglie una parte di pubblico dentro il movimento. Alcune inquadrature escono dallo schermo e ci mettono dentro di loro. Ho sempre apprezzato molto anche il piano sequenza, che è fatto di lunghe inquadrature che evitano il montaggio.

Io trovo bellissimi i giornalieri, quelli che vedi la sera dopo aver girato. Spesso ho visto il montaggio come un’opera di regolamentazione del girato selvaggio. Quindi apprezzo il piano sequenza perché è un modo di regolare il montaggio.”

Bernardo Bertolucci ha chiuso questa vera e propria lezione di cinema omaggiando la platea con l’introduzione di un breve estratto de Il piacere di Max Ophüls, film del 1952 composto da tre episodi:

“Quando ho visto visto il primo episodio mi è venuta la febbre da quanto mi è piaciuto, e ho dovuto abbandonare la sala. A Roma sono riuscito a vedere anche il secondo episodio, ma anche in quel caso mi è venuta la febbre e sono uscito dal cinema. Solo tempo dopo sono riuscito a vedere anche il terzo episodio”