Intervista a Gianmaria Fiorillo, il regista di VAS
Con il regista di Vas Gianmaria Fiorillo abbiamo parlato di vita virtuale, degli hikikomori, di Vas e del coraggio che serve per aprirsi al mondo.
Vas arriverà al cinema dal 20 novembre 2025, con Piano B Distribuzioni. Il film d’esordio di Gianmaria Fiorillo, che ha per protagonisti Eduardo Scarpetta (Qui rido io, L’amica geniale) e Demetra Bellina (Tutta colpa di Freud, Comedians), tratta il tema degli hikikomori e in generale di un disagio giovanile molto attuale e più diffuso di quanto si pensi. Nato da un progetto iniziato sui social media, prende il titolo dal termine VAS (Visual Analogue Scale): un parametro visivo usato in medicina affinché i pazienti possano indicare l’entità del dolore che provano – la scala va da nessun dolore a dolore insopportabile. Nel lungometraggio uno sconosciuto di nome Matteo (Eduardo Scarpetta) contatta per caso la giovane Camilla Sangez (Demetra Bellina), è il momento in cui finzione e realtà si incontrano, confondendo i loro confini e spingendo i personaggi ad affrontare le loro paure peggiori: a percorrere una personale scala del dolore dalle conseguenze imprevedibili.
La nostra intervista a Gianmaria Fiorillo – il regista di Vas che esce al cinema con Piano B

Il tuo film d’esordio affronta temi quali l’isolamento, l’ansia e il ritiro sociale nei giovani; i protagonisti sono prigionieri volontari delle loro case e osservano il mondo attraverso uno schermo, filtrando ogni relazione tramite chat, social o app. Perché hai scelto di dare volto e voce a chi vive questa condizione?
Gianmaria Fiorillo: “La vita virtuale permette di mostrarsi evitando di fare i conti con ciò che siamo davvero. Con Vas ho voluto usare la contemporaneità come iperbole della paura di aprirsi davvero agli altri, al mondo esterno“
“Ho sempre pensato, fin dai miei primi cortometraggi, che la vita virtuale fosse una perfetta metafora di un meccanismo insito nell’essere umano da sempre: il desiderio di mostrarsi agli altri in un certo modo, a proprio piacimento, evitando di fare i conti con ciò che siamo davvero. In questo senso, i social network rappresentano la scusa perfetta per mettere a nudo questa tendenza. Con Vas ho voluto usare la contemporaneità – e quindi una serie di dinamiche quotidiane che ci riguardano tutti – come un’iperbole della paura di esporsi, di aprirsi davvero agli altri e al mondo esterno. I due protagonisti incarnano alla perfezione questa condizione, sospesi tra il bisogno di contatto e il rifugio dell’isolamento“.
Ne L’ultimo metrò di Truffaut, in una scena con Depardieu e Deneuve, si afferma “sì, l’amore fa male. Come un grande avvolto plana sopra di noi, si immobilizza e ci minaccia… ma la minaccia può essere anche promessa di gioia“. L’amore è il vero intruso nella dimensione fredda e filtrata dai device in cui sopravvivono Camilla e Matteo?
“Esattamente, sì. L’amore si insinua nelle vite dei due protagonisti, che vorrebbero continuare a vivere da perfetti isolati, convinti di aver trovato un equilibrio nella loro condizione di chiusura. Eppure, l’uno è talmente incuriosito dall’ altro da provare un disagio nuovo, un turbamento che li spinge a uscire dal proprio guscio. Trovano così il coraggio di aprirsi, anche se questo richiede uno sforzo enorme e una profonda presa di consapevolezza verso se stessi. In questo caso, l’amore rappresenta il desiderio di essere davvero conosciuti dall’altro, affrontando la paura di non essere accettati“.
L’opera è nata anche per far uscire dalla stanza i giovani hikikomori italiani?
“Non potrei mai pormi come un guaritore degli hikikomori. Per affrontare un disagio di questo tipo serve un percorso seguito da specialisti. Più che altro, il film vuole offrire uno spunto di riflessione sul problema, magari prima che sia troppo tardi. […]. Forse la vera domanda da porsi è perché una persona arrivi ad avere così tanta paura di esporsi, di mostrarsi per ciò che è, con le proprie debolezze, i propri limiti ? Spero che, una volta uscito, possa raccogliere quante più impressioni possibili, per capire se gli intenti autoriali si siano concretizzati. Ma sono certo che emergeranno interessanti punti di vista: solo allora potremo comprendere a cosa sia servito…“.
Nel film l’amore è una promessa di gioia, si insinua nelle vite dei protagonisti e li spinge a uscire dal proprio guscio

Demetra Bellina ed Eduardo Scarpetta si sono cimentati in un’impresa non semplice. Il talento della prima è evidente e anche Scarpetta è riuscito a dar piena vita al suo personaggio perseguitato da fantasmi interiori: paura, senso di colpa e di inadeguatezza. Vas è un film sull’interiorità?
“Più precisamente VAS è un film sulla presa di coscienza. Non a caso, il fulcro della storia è il dolore: un’esperienza soggettiva che solo noi possiamo davvero conoscere. Nemmeno la scienza è riuscita a trovare un modo per misurarlo; appartiene solo a chi lo vive. Il dolore, il disagio e la sofferenza ci costringono a un viaggio interiore, alla ricerca di noi stessi. I due protagonisti si sostengono a vicenda, possono persino arrivare ad amarsi, ma la verità è che solo noi possiamo davvero guarirci“.
Probabilmente la sfida maggiore è stata quella di trasporre la potenza dello spettacolo teatrale in linguaggio cinematografico, come l’hai affrontata?
“Beh, del testo teatrale, oltre al fulcro della storia — la VAS — e ai nomi dei protagonisti principali, è rimasto ben poco. Nonostante questo, il film conserva un ’impostazione piuttosto teatrale , con molti dialoghi e poche location. La vera sfida è stata quella di inserire degli esterni -esplosivi- che, da un lato, raccontassero il punto di vista dei personaggi secondari -a cui è affidata la controparte dei protagonisti -per sottolineare ancora di più la loro condizione di reclusi in casa, e dall’altro, dessero colore e ritmo al montaggio, aiutando lo spettatore a metabolizzare ciò che aveva appena visto e ascoltato nelle scene dialogate. […] Ho sempre immaginato la sua struttura come una sorta di divisione in capitoli non dichiarati, in cui si alternano nettamente le scene di dialogo e quelle esterne, che sono quasi tutte sequenze musicali“.
Nelle scene di dialogo fra i protagonisti infatti non emergono solo le ferite e le solitudini, ma anche i sogni e soprattutto la disperata ricerca di un contatto...
“Come ho detto, il film è una riflessione sulla presa di coscienza e sulla consapevolezza di sé. Solo chi trova il coraggio di mettersi in discussione può arrivare a una decisione così profonda. Credo che quando la mente o l’anima ci fanno avvertire un disagio, sia perché stiamo reagendo a una condizione che non vogliamo più vivere. È il segnale di un desiderio di guarigione, forse perché dentro di noi sentiamo che dalla vita vogliamo qualcosa di diverso, di più autentico“.