L’esercito delle 12 scimmie: 10 curiosità sul cult distopico
Vi sveliamo 10 incredibili curiosità che raccontano il dietro le quinte di uno dei film di fantascienza più celebri.
Pochi film di fantascienza sono riusciti a rimanere così profondamente impressi nell’immaginario collettivo come L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam. Uscito nel 1995, in un’epoca in cui la paura di virus e catastrofi globali sembrava ancora materia da cinema, il film è riuscito non solo a raccontare una storia visionaria e disturbante, ma anche a diventare una riflessione profetica sulla fragilità del genere umano. Bruce Willis, nei panni di un uomo costretto a viaggiare nel tempo per impedire la diffusione di un virus letale, offre una delle sue interpretazioni più intense. Al suo fianco, una psichiatra empatica e un Brad Pitt iperattivo trasformano questa parabola sul destino e sulla follia in un racconto potente e malinconico. Dietro le immagini sporche, i set claustrofobici e le derive mentali del protagonista si nasconde però un’incredibile quantità di storie, aneddoti e dettagli poco noti. Vi sveliamo oggi dieci curiosità su L’esercito delle 12 scimmie, per scoprire come è nato e perché è ancora oggi considerato uno dei film più inquietanti e visionari del cinema moderno.
1. Dalle fotografie al film: l’eredità di L’esercito delle 12 scimmie

Alla base di L’esercito delle 12 scimmie c’è un cortometraggio sperimentale francese del 1962, La Jetée di Chris Marker. Realizzato quasi interamente con fotografie in bianco e nero e una voce narrante fuori campo, raccontava una storia di viaggi nel tempo e memoria attraverso una forma artistica allora rivoluzionaria. Terry Gilliam rimase affascinato da quel racconto “immobile” e decise di trasformarlo in una narrazione cinematografica più ampia, conservandone però lo spirito malinconico e il senso di claustrofobia. Marker, pur restando una figura elusiva e poco incline ai riflettori, diede la sua approvazione al progetto e firmò il soggetto originale, anche se la Writers Guild americana inizialmente non era d’accordo nel riconoscerglielo.
2. Terry Gilliam, l’architetto dell’incubo
La Universal scelse Terry Gilliam come regista per via del suo stile inconfondibile e del successo ottenuto con Brazil, un’altra distopia che metteva in scena un futuro burocratico e disumanizzato. Quando accettò il progetto, Gilliam aveva appena rinunciato ad adattare Racconto di due città di Charles Dickens, e questo è uno dei rarissimi casi in cui non mise mano personalmente alla sceneggiatura. Il regista volle comunque imprimere al film la sua impronta visiva fatta di geometrie oppressive, deformazioni prospettiche e un senso di caos meccanico, capace di rendere tangibile la follia del tempo e della memoria.
3. La difficile scelta del cast di L’esercito delle 12 scimmie

Gilliam aveva in mente Nick Nolte per il ruolo del prigioniero James Cole e Jeff Bridges per quello del folle attivista Jeffrey Goines. Ma la Universal spinse per un nome di richiamo come Bruce Willis e per un giovane attore in ascesa, Brad Pitt. Willis accettò di ridursi lo stipendio per non far sforare il budget, appena 30 milioni di dollari, dopo le perdite di Waterworld. Gilliam, inizialmente perplesso sulla scelta di Pitt, dovette poi ricredersi: nel giro di pochi mesi uscirono Vento di passioni, Intervista col vampiro e Seven, rendendo Pitt una star internazionale proprio mentre L’esercito delle 12 scimmie approdava in sala.
4. Brad Pitt tra psichiatria e realtà
Per prepararsi al ruolo di Jeffrey Goines, il giovane Pitt trascorse settimane presso il reparto psichiatrico della Temple University di Philadelphia, osservando pazienti e operatori per comprendere i tic, le manie e il linguaggio del disagio mentale. Sul set fu seguito dallo psichiatra Lazlo Gyulai, consulente dell’Università della Pennsylvania. L’esperienza lo segnò profondamente e contribuì a dare al personaggio una vitalità e una follia quasi ipnotiche, tanto da valergli un Golden Globe e la sua prima candidatura all’Oscar.
5. Un futuro fatto di rottami

Gilliam volle che le tecnologie del futuro, nel film ambientato nel 2035, fossero costruite solo con elementi precedenti al 1996. Il risultato è un mondo steampunk, fatto di ferraglia, ingranaggi e schermi sferici, un futuro “povero” e decadente. Insieme alla scenografa Crispian Sallis, il regista visitò mercatini dell’usato e magazzini abbandonati per recuperare materiali reali da assemblare nei set. Il futuro, secondo Gilliam, non è luminoso e levigato, ma rugginoso, sporco e profondamente “umano”.
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6. Architettura e plagio: il caso Lebbeus Woods in L’esercito delle 12 scimmie
La stanza degli interrogatori di L’esercito delle 12 scimmie fu ispirata alle opere dell’architetto visionario Lebbeus Woods, noto per i suoi disegni di strutture distorte e fluttuanti. In particolare, il design della sedia sospesa e della sfera di monitor richiama la sua opera Neomechanical Tower (Upper) Chamber. Woods citò in giudizio la Universal per violazione del copyright e ottenne un risarcimento a sei cifre. Ironia della sorte, quella sequenza – divenuta una delle più iconiche del film – è anche una delle più “rubate” dal punto di vista concettuale.
7. Un set gelido e tormentato

Le riprese, svolte tra febbraio e maggio 1995, si tennero principalmente a Philadelphia e Baltimora, in pieno inverno. Il freddo intenso fece bloccare diversi oggetti di scena e mise a dura prova l’intera troupe. Durante la lavorazione Gilliam cadde da cavallo e si ferì, ma nonostante tutto riuscì a completare il film con solo una settimana di ritardo e senza sforare il budget; di fatto un piccolo miracolo per un regista notoriamente caotico come lui.
8. Tra Hitchcock e fantascienza in L’esercito delle 12 scimmie
Gilliam dissemina il film di riferimenti al cinema classico, in particolare a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. In una scena chiave, i protagonisti si nascondono in un cinema proprio mentre sullo schermo viene proiettato il capolavoro del regista britannico: un gioco di specchi tra finzione e realtà, tra desiderio e memoria. L’amore impossibile tra James Cole e la psichiatra Kathryn Railly diventa così un eco di quello hitchcockiano, in un tipico “ritorno” di immagini.
9. Le dodici scimmie e il caos del mondo

Il titolo del film è, di fatto, un “McGuffin”: il misterioso movimento delle Dodici Scimmie sembra all’origine della pandemia, ma si rivela un diversivo narrativo. In realtà gli attivisti animalisti avevano solo liberato gli animali dagli zoo, scatenando il caos nelle città. Nel film si vedono effettivamente dodici scimmie in momenti diversi, tra televisori, manifesti e scene fugaci. Persino la scelta di mostrare in TV Monkey Business dei Fratelli Marx (tradotto in Italia come Quattro folli in alto mare) è un gioco di parole sul termine “monkey”, che significa anche “imbroglio” o “affare sporco”.
10. Un profeta della pandemia in L’esercito delle 12 scimmie
Rivisto oggi, L’esercito delle 12 scimmie colpisce per la sua preveggenza. La trama ruota intorno a un virus artificiale che devasta il pianeta, costringendo i sopravvissuti a vivere sottoterra: un tema che, dopo il 2020, ha assunto risonanze quasi inquietanti. Ma più che di biologia, Gilliam parla di controllo, paranoia e perdita della realtà. Persino i viaggi nel tempo, nel film, non servono a cambiare il passato ma solo a osservarlo, perché la Storia – come il destino di Cole – è già scritta. In questo senso, il film non è tanto un racconto di fantascienza quanto una riflessione amara sulla natura ciclica dell’errore umano e sulla nostra eterna incapacità di imparare. Non è inoltre l’unico esempio, basti pensare al Contagion di Soderbergh uscito nel 2011.