Tony Pellicane e Giusy Lello su Occupante senza titolo: “la lotta paga!”

Al centro del corto premiato da Cinematographe al Sole Luna Doc Film Festival 2025 c'è una storia vera, quella di Tony Pellicane e Giusi Lello. Chi sono, qual è la loro battaglia e come hanno lavorato con i registi?

Tony Pellicane è pacato, diplomatico, riflessivo, Giusy Lello invece è energica, sanguigna, senza filtri, accesa da un fuoco di vita che l’ha vista disperata, che l’ha resa combattiva. Entrambi sono il cuore di Occupante senza titolo, il motore di una lotta e di un disagio vissuto sulla loro pelle, che negli anni li ha portati a protestare e ad avanzare soluzioni valide per far valere il sacrosanto diritto alla casa. Una battaglia, la loro, che chi frequenta l’hinterland palermitano conosce bene, eppure Toni e Giusi non si sentono eroi né personaggi pubblici.

In collegamento dal CAF di Via Isidoro la Lumia 56 (presso il quale Tony lavora), Pellicane racconta la sua storia, presentandosi come un comune mortale proveniente da una famiglia di piccoli imprenditori: abbiamo resistito fino agli anni ’80, poi negli anni ’90 è arrivato il tracollo e ci siamo dovuti reinventare una vita, compreso come pagarci l’affitto. Una situazione che poi è andata via via a peggiorare, nel 2000 ci siamo trovati davanti all’ennesimo sfratto, ospitati in una locanda a carico del Comune, poi ottenemmo dal Comune un contributo che ci permetteva di pagare l’affitto, ma che ci venne erogato per un solo anno e poi bloccato. Poi grazie alla lotta nel 2004 ho risolto, ottenendo l’assegnazione di una casa confiscata. Insieme con me, all’epoca, nella lista c’erano 117 famiglie”.

Nel 2002 è nato il Comitato di lotta per la casa 12 Luglio, che resiste ancora oggi nonostante il cambio nome, di cui Toni Pellicane è rappresentante per volontà stessa delle famiglie che ne fanno parte: “Noi siamo sempre stati un piccolo organo, ma con regole democratiche reali. Quando andavo in commissione e registravo cose poco chiare, chiedevo immediatamente la sospensione della seduta, uscivo fuori, riferivo alle famiglie e insieme si decideva cosa portare in commissione”.

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Chi è Tony Pellicane? Uno che non si lascia comprare dal politico di turno. Eroe? No, ha solo dei valori irrinunciabili!

La lotta dei Senza Casa, racconta sempre Tony Pellicane, “parte da un’esigenza, da un bisogno personale”. Quando si ritrovò a contatto con tantissime famiglie che versavano nella sua stessa condizione, Tony Pellicane pensò, in modo quasi automatico, di unire le forze, convinto che “ognuno di noi da solo non fa nulla”.
Oltre questa lotta, c’è un comune cittadino che si è sempre dato da fare per tirare avanti e che, nonostante tutto, poggia la sua identità su “un ragionamento di fondo che c’era prima, c’è stato, c’è e ci sarà sempre: non mi sognerei mai di arruffianarmi il politico di turno, di qualunque colore esso sia, per interessi personali. Te lo dico con molta sincerità: potevo diventare un personaggio scomodo, soprattutto per certi politici. L’obiettivo era quello di tapparmi la bocca, pensavano che tramite me chissà a quale bacino elettorale avrebbero avuto accesso. Mi sono state offerte varie cose: dalla villa al lavoro al Comune, ma le ho tutte puntualmente rifiutate. Perché? Non perché sono un eroe, semplicemente perché sono cresciuto con dei valori che mi ha dato la mia famiglia e a quelli non rinuncio. Per cui oggi sono orgogliosamente un operatore CAF e patronato, che gestisco insieme a una mia collega. Anche qui abbiamo voluto dare un’impronta un po’ diversa dal normale CAF: facciamo anche intervento sociale, perché ci occupiamo di sportello casa, seguendo le famiglie che vivono questo disagio anche da un punto di vista burocratico e amministrativo”.

Tony Pellicane e l’incontro con Giusy Lello

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L’incontro con Giusy Lello, con cui porta avanti questa battaglia, come si vede bene in Occupante senza titolo, è avvenuto nel 2000, quando lei e i suoi figli sono stati sfrattati. “Sono andata a vivere in una locanda per nove mesi, nove mesi in cui la mia famiglia è stata completamente disgregata, i bambini a scuola venivano derisi, perché non avevano una casa, perché non avevano un punto di riferimento.
In quel periodo ho conosciuto Toni e sono entrata a far parte di quel gruppo di persone che si battevano per il diritto alla casa: sono stata nove mesi davanti a Palazzo delle Aquile, per protestare insieme ad altre famiglie. Da lì sono cominciate le lotte. Abbiamo cominciato con delle occupazioni. La mia è stata una delle prime famiglie ad aver avuto diritto ad una casa confiscata alla mafia [la proposta del Comitato, infatti, consiste proprio in questo: dare alle famiglie in situazioni di disagio gli immobili confiscati alla malavita].
Nel tempo, purtroppo, non è stato tutto rose e fiori, perché nella casa assegnatami ci stavo per morire a causa dei problemi strutturali: tetto che cadeva, umidità… Ho lottato con Toni, con le altre famiglie, per farmi sistemare questa casa, nel frattempo il mio marito si è ammalato.
Nonostante tutto ho continuato a lottare e ancora oggi continuo, nonostante i problemi di salute. Perché lottare? Perché non è giusto che un bambino nasca e cresca in mezzo alla strada. Non è giusto che un bambino venga allontanato dai propri genitori e messo in una casa famiglia, perché con gli stessi soldi che vengono dati a una casa famiglia potrebbero dare una casa alla famiglia, non causare la disgregazione del nucleo familiare”.

Giusy: le critiche alle case famiglia e la lotta per il diritto alla casa, “affinché nessun bambino debba vivere quello che hanno vissuto i miei figli”

C’è fervore, nella voce di Giusy, mentre pronuncia le parole di una donna che ha vissuto sulla propria pelle l’umiliazione di sentirsi inutile e inadatta. E questo sentimento emerge anche nel cortometraggio, quando dice, rivolgendosi a Toni, “m’agghia taliatu e agghia rittu: chi matri sugnu?” (“mi sono guardata e ho pensato: che madre sono?”): un’espressione che da sola basta a far riflettere, rinforzata dalle considerazioni di Giusy, che durante la nostra intervista ammette di essere stanca di lottare, ma di non volersi arrendere. “Lo faccio soprattutto per i miei figli, per dimostrare loro che una madre c’è stata, che ha lottato, che non si è piegata, che non ha accettato compromessi. Io non ho mai chiesto niente per me, ho sempre chiesto per i miei figli. E lo faccio per le altre famiglie, affinché nessun bambino debba vivere quello che hanno vissuto i miei figli“.

A proposito di ciò Giusi specifica che è dovere di un genitore dare ai propri figli almeno il minimo indispensabile per vivere bene – “una casa, un tetto sulla testa” – e quando lei non ha più potuto garantire ciò si è sentita inutile. I miei bambini dormivano divisi tra mia madre e mia zia, io dormivo in macchina. Una volta mia figlia, che all’epoca aveva tre anni, costrinse mia sorella a portarla da me, perché voleva dormire con me. Si portò il cuscino e dovetti farla dormire in auto. In quel momento ti senti annullata, non sei una buona madre, ti senti inutile. A Palermo questo problema è molto accentuato. La gente spesso non dice nulla, ha paura dell’intervento degli assistenti sociali, che possono toglierti i bambini. Questo ti umilia ulteriormente: non solo sei senza casa, ma rischi anche di perdere i tuoi figli.

Occupante senza titolo: l’incontro con con Dario Leani e Gabriele Armenise

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Parlando del cortometraggio Occupante Senza Titolo: come siete entrati n contatto con il Centro Sperimentale di Cinematografia e con i registi Dario Leani e Gabriele Armenise?
Risponde Toni: “A parte il fatto che ho sempre avuto simpatia per i giovani. Sono stati Dario e Gabriele a presentarsi a noi e a proporci il loro lavoro. Si sono avvicinati con educazione, rispetto e voglia di capire. Noi siamo sempre stati aperti: quando vediamo la buona fede e la voglia di imparare, non ci tiriamo indietro.
Abbiamo iniziato a parlare, a raccontarci, piano piano si è creata questa sintonia. Loro stessi dicevano che non si aspettavano un’accoglienza così. Non è che volevamo diventare famosi: per noi era importante che la nostra storia uscisse fuori, che restasse una testimonianza.
Poi col tempo il lavoro è cresciuto, loro ci hanno seguiti a lungo, sono stati con noi in momenti difficili, hanno visto anche i nostri lati più fragili.
Io stesso sono stato ripreso in momenti delicati, quando non ero proprio al massimo. Però questa è stata la loro bravura: non sono mai stati invadenti, non hanno mai costruito scene finte, ma ci hanno seguiti nella vita reale. E secondo me questo è il valore del docufilm: non è recitato, non è costruito, è vero“.

Aggiunge Giusy: “Si, è vero, è stato tutto naturale. Non ci siamo mai accorti delle telecamere, perché loro non ci hanno mai messo pressione, non ci hanno mai chiesto di rifare una scena. Quella che vedi nel film sono realmente io! Ho un carattere diverso da Toni, lui è più diplomatico, io invece mi arrabbio facilmente, dico le cose di pancia. E si vede! Sono così perché sono stanca, perché ho vissuto davvero certe cose. Loro hanno rispettato anche questo, non hanno mai tagliato o censurato nulla. Hanno fatto un lavoro pulito, fedele”.

Tony Pellicane: “Per me sinistra significa lotta, ma lotta con obiettivi concreti, raggiungibili

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Parlando di politica, di parole come “attivismo” ed espressioni come “essere di sinistra”, Toni Pellicane ci ha detto espressamente che il loro Comitato è apartitico e che nasce semplicemente da un’esigenza, anche perché spesso chi vive il disagio abitativo non conosce appieno la differenza tra destra e sinistra politica, sono concetti più elaborati e che non portano alla concretezza. Quindi “ognuno di noi, come individuo, ha le proprie idee politiche ed esprime il proprio voto. Io personalmente mi definisco una persona di sinistra. Ma non ho mai detto: ‘se vuoi entrare nel Comitato devi pensarla come me’. Questa è stata la nostra forza: eravamo famiglie con idee diverse, ma con un obiettivo comune. Perché la casa non è né di destra né di sinistra: è un diritto“.

Tuttavia, “dopo vent’anni di esperienza ti dico che per me la sinistra è concretezza. Non è slogan, non è fare la guerra di piazza. Io ho visto che quando si fanno le guerre di piazza, alla fine i poveri restano poveri. Per me sinistra significa lotta, ma lotta con obiettivi concreti, raggiungibili. Io posso pure scontrarmi con la polizia, ma se alla fine torno a casa senza risultato, che cosa ho ottenuto? Nulla.
Invece noi abbiamo sempre puntato a ottenere: che siano case, che siano contributi, che sia un regolamento comunale. Questa per me è la sinistra: portare risultati concreti alle persone che hanno bisogno“.

A proposito di obiettivi concreti, oltre a proporre l’uso per scopi abitativi dei beni immobili confiscati alla mafia, il Comitato è riuscito in seguito anche a “far inserire nel regolamento inerente gli interventi abitativi la possibilità che il Comune possa affittare case dal mercato privato, riconoscendo ai proprietari l’azzeramento dell’IMU per tutto il periodo del contratto. Avevamo anche proposto un fondo di garanzia gestito da Banca Etica. Tutte soluzioni concrete, ma manca la volontà politica.
Ad esempio, l’assessore Ferrandelli, nonostante sia lontano dalla nostre idee politiche, finora sta lavorando bene: ha assegnato circa 160 alloggi grazie al nostro percorso, seguendo le nostre proposte”.

Gaza, Palestina e il senso delle lotte

Sul tuo curriculum, Toni, c’è scritto che dopo tanti anni di lotta hai sperimentato che l’auto-organizzazione e le proteste sono un mezzo importante, se accompagnate da proposte valide. Viene in mente la questione palestinese, per la quale in molti ci stiamo mobilitando. Credi che riusciremo a fermare il genocidio o in questo caso è una questione troppo grande?
“Bisogna fare massa, altrimenti si perde. Se sei da solo non vai da nessuna parte. E infatti questo è stato sempre il mio messaggio anche alle famiglie: se siamo dieci, ci ascoltano in dieci; se siamo cento, ci ascoltano in cento; se siamo mille, ci ascoltano in mille.
Quando siamo riusciti ad arrivare a 160 famiglie assegnatarie, era perché ci siamo mossi come massa. Non perché Toni Pellicane era bravo, ma perché c’era la forza delle famiglie dietro.

Lo stesso vale per la Palestina. È chiaro che lì la dimensione è molto più grande, ci sono interessi internazionali, ci sono giochi di potere. Però la logica è la stessa: se i popoli si uniscono, se la massa diventa davvero massa, allora qualcosa si ottiene.
Il problema è che spesso ci dividiamo: anche a sinistra, ci massacriamo tra noi, invece di unirci. Io sono cresciuto con la figura di Nino Rocca, un grande compagno di Palermo, che mi ha insegnato proprio questo: o facciamo massa o restiamo sempre sconfitti.

Avviandoci alla conclusione: secondo voi quanto Occupante senza titolo può aiutare la vostra lotta?
Toni:
“Il lavoro è uscito da poco. Vorremmo organizzare proiezioni per le famiglie, per la città, per i quartieri. Per noi non è un fatto di pubblicità personale, ma di coscienza collettiva: far capire che non siamo gli abusivi, che non siamo i furbi, ma famiglie che hanno lottato e che hanno diritto.
Il docufilm è già un riconoscimento importante. È la prova che il nostro percorso ha lasciato un segno. Però non basta che lo vedano i festival o le università: serve che lo vedano i cittadini, che lo vedano i ragazzi.
Il problema è che in questa città le notizie non passano mai. Non è che non ci sono le lotte: ci sono, ma non fanno notizia. Perché disturbano, perché danno fastidio. E allora i giornali preferiscono parlare di altro.

Giusi: “Per me è stato anche uno sfogo. Io a volte non parlo, tengo tutto dentro. Ma con loro, con i registi, è uscito quello che sentivo davvero. Non era facile parlare davanti a una telecamera, ma loro hanno saputo mettermi a mio agio. E adesso, quando vedo il film, mi rivedo e dico: ‘quella sono io, quella è la mia storia, quella è la nostra lotta’. E mi fa piacere che resti, che i miei figli un giorno possano vedere e dire: ‘mia madre non si è arresa’”.