Il Professore e il Pinguino: recensione del film con Steve Coogan

Steve Coogan è il protagonista di una buffa, commovente storia d'amicizia e di rinascita sullo sfondo di un'epoca turbolenta. Il Professore e il Pinguino arriva nelle sale il 9 0ttobre 2025.

Neanche il titolo insolito – è Il Professore e il Pinguino – riesce a dar conto della calcolata assurdità del film diretto da Peter Cattaneo, scritto da Jeff Pope e nelle sale italiane il 9 ottobre 2025 per Eagle Pictures. Il Professore e il Pinguino è, contemporaneamente: 1) una commedia, 2) un dramma intimista, 3) un film politico, 4) una rievocazione storica e 5) la struggente storia di un’amicizia, improbabile quanto commovente. È un manifesto antifascista incastrato su un film per tutta la famiglia; la storia di un uomo, di un animale adorabile e del mondo intorno a loro. Una combinazione così non può funzionare, s’intende al 100%. Infatti, al 100%, non funziona. Ma c’è fascino nell’imperfezione, c’è un intreccio di sapori impossibili, c’è una storia con il cuore al posto giusto. Il film segue tante piste, non riesce ad andare fino in fondo con (quasi) nessuna, ma anche la più trascurata riflette un’apprezzabile grazia dolceamara. Non guasta che Il Professore e il Pinguino sia tagliato su misura per l’umorismo cinico, amaro, burbero e, sotto sotto, incredibilmente caloroso di Steve Coogan.

Il Professore e il Pinguino: un cinico professore, un colpo di stato, un pinguino

Il Professore e il Pinguino; cinematographe.it

A tenere in rotta la storia e i suoi angoli di implausibilità c’è che Il Professore e il Pinguino non è un soggetto originale, ma l’adattamento per il cinema del libro autobiografico dell’inglese Tom Michell “The Penguin Lessons”, che sarebbe anche il titolo originale del film. L’utilizzo della formula “ispirato a fatti realmente accaduti” rende più facile il lavoro di Peter Cattaneo. Il cinema si serve di leggi scrupolose per filtrare la vita e renderne adeguata rappresentazione: non è scontato che quanto di eccezionale la vita ha da offrirci rimanga tale nel passaggio sul grande schermo, né che l’originalità basti a se stessa. Costruire una premessa un po’ al limite su un fondo di verità – dentro casa un tenero pinguino, fuori un colpo di stato – aiuta lo spettatore a guardare la storia con gli occhi giusti. Sarebbe stato difficile crederci, con una film di pura fiction. D’altronde, quale penna, quale immaginazione, quale script confezionerebbe un intreccio così?

Non mancano gli aggiustamenti, ma il grosso della storia è ricalcato sull’esperienza di vita del vero Tom Michell. Argentina, 1976; gli ultimi rantoli della democrazia. Il paese è sull’orlo del baratro, la giunta militare incombe, e non è che la cosa vada troppo a genio a Tom Michell (Steve Coogan); da qui a salire sulle barricate, tuttavia, ce ne passa. Tipico antifascista da divano, dalla parte giusta ma senza sporcarsi le mani, Tom è un professore cinico e disincantato, nel paese per insegnare letteratura inglese in un collegio per ricchi rampolli dalle migliori famiglie argentine. A capo del collegio c’è l’austero e politicamente ambiguo decano Buckle (Jonathan Pryce). I ragazzi sono disinteressati alle lezioni di Tom, e non mostrano simpatia per lui; è irrealistico pensare a un legame tra l’uno e gli altri. Per cambiare le cose servirebbe… un pinguino.

Ora, Tom è talmente cinico che quando il colpo di stato comincia e l’Argentina soccombe alla dittatura, lui se ne va con un collega in vacanza a Punta del Este, in Uruguay. Per fare colpo su una donna bellissima abbordata in un locale (Micaela Breque), Tom salva un pinguino arenato su una spiaggia, coperto di petrolio. Non gliene importa niente dell’animale, vuole solo fare sesso, ma la mattina dopo si ritrova in stanza con una donna in meno e un pinguino in più. Ovviamente prova a liberarsene ma non ci riesce, e finisce che se lo deve portare in collegio. Il pinguino è il pretesto, è la miccia, è l’incidente scatenante. Costringe Tom a ridiscutere la sua vita, riconsiderare la sorgente del suo cinismo (un grande dolore personale), riappropriarsi del suo lavoro e non chiudere gli occhi di fronte all’ingiustizia.

Ci sono gli accostamenti insoliti, e poi c’è Il Professore e il Pinguino

Il Professore e il Pinguino; cinematographe.it

L’ingiustizia tocca Tom da vicino a causa dell’amicizia stretta con due inservienti del collegio, Maria (Vivian El Jaber) e sua nipote Sofia (Alfonsina Carrocio). La giunta militare si sbarazza degli oppositori prelevandoli all’improvviso e rifiutandosi di dare notizie; sono i desaparecidos. Sofia è giovane, antifascista, e non si fa intimidire. Verranno anche per lei. Tom, che fino a quel momento aveva potuto crogiolarsi nel cinismo e limitarsi a scrollare le spalle da una rassicurante lontananza, deve mettersi in gioco e fare la cosa giusta.  L’inatteso risveglio della coscienza non è il frutto del trauma della violenza politica, o almeno non solo. Il grosso del lavoro, sull’anima stropicciata di Tom, l’ha fatto il pinguino. In questo senso, la premessa e l’originalità del film di Peter Cattaneo è il paradossale, storicamente comprovato – ma non per questo meno assurdo – accostamento tra due immagini: un pinguino che sgambetta felice su un balcone (provate a resistere, se ci riuscite) e, poco oltre, la disumanità istituzionalizzata.

Juan Salvador – questo il nome – è l’incarnazione della natura spiazzante del film, e il gancio che dà coerenza all’insieme. Il pinguino diventa, per ogni personaggio, uno specchio per guardarsi dentro, capire dove si è smarrita la strada e provare a ricominciare. Tom è il principale beneficiario della cura: Juan Salvador lo “costringe” a uscire dal guscio e battersi. La morale della favola è lineare, non così originale – non guardare dall’altra parte, impegnarsi per ciò che è giusto – e ha due punti a suo favore. È tristemente sincronizzata con l’uscita del film in tempi fascisti e molto bui. E, soprattutto, si sviluppa in modo realistico.

L’eroismo di Tom è antidealistico, quanto di meno eroico si possa immaginare, almeno secondo una concezione hollywoodiana, spettacolare e inevitabilmente esasperata di questo genere di dinamiche. Steve Coogan, che regala al film un umorismo cinico e disincantato, ruvido ma capace di inattesi risvegli di empatia e sentimento, non è eroe per scelta: è la quintessenza dell’uomo comune. Per la maggior parte del tempo pensa agli affari suoi e si mette in moto solo quando è toccato sul personale. A monte, il suo risveglio è una faccenda abbastanza egoista; a valle, ciò che conta è che si sia dato da fare. Il Professore e il Pinguino è il tentativo, viene da dire inevitabilmente imperfetto, di legare toni, atmosfere e registri forse inconciliabili. Soltanto in un caso, il dosaggio degli ingredienti è calibrato con precisione estrema: nel legare l’idealismo di Tom, l’eroe riluttante e spaventato, alla sua imperfetta, sincera umanità.

Il Professore e il Pinguino: valutazione e conclusione

L’originalità del film non è estranea al senso del cinema di Peter Cattaneo, conosciuto per aver diretto, nell’ormai lontano 1997, Full Monty – Squattrinati organizzati; anche lì, e con un successo trasversale e durevole, c’era l’insolito accostamento, quadro (sociale) d’ambiente e umorismo. Neanche il film del 1997, però, ambiva a giocare con gli opposti quanto e come Il Professore e il Pinguino. C’è troppa distanza tra le anime del film, la tenerissima e commovente amicizia uomo-animale, il malinconico percorso di ricostruzione esistenziale, il film politico, perché la regia di Peter Cattaneo sia in grado di colmarla. Tre anime; non è facile nemmeno farle comunicare. Ma c’è quanto basta, nell’originalità della premessa, nella scorbutica empatia di Steve Coogan, nel cast di supporto, in Juan Salvador dall’indicibile tenerezza, nella semplicità e decenza morale del messaggio (parola orribile, molto retorica), perché il film trasmetta un’emozione credibile. Cominciando proprio dalla sua imperfezione.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.7