Short Summer: recensione del film, da Venezia 82
Un'opera prima promettente che affronta il tema della guerra e le sue ripercussioni sulla vita di tutti i giorni.
Con Short Summer, presentato alle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, Nastia Korkia firma il proprio esordio al lungometraggio di finzione, che si inserisce con determinazione nel solco dello slow cinema. È vero cinema contemplativo, che privilegia la durata all’evento e l’osservazione dell’ambiente all’azione. La regista russa racconta l’estate di Katya, bambina di otto anni che trascorre la bella stagione con i nonni nella campagna russa, mentre sullo sfondo risuonano gli echi della guerra in Cecenia.
Short Summer: il peso del silenzio nell’estate russa

La piccola Katya vive un’estate sospesa, in cui gli adulti comunicano più attraverso i silenzi che le parole e i bambini imitano i soldati alla frontiera come se fosse un passatempo innocuo. Attorno a lei, la campagna russa si mostra in tutta la sua durezza post-sovietica: paesaggi brulli, punteggiati da rovine che testimoniano un passato ormai consunto. È in questo scenario desolato che Korkia costruisce il suo affresco sull’influenza che i conflitti, anche se apparentemente lontani, hanno sulla quotidianità delle persone comuni. Lunghe inquadrature fisse, composizioni di stampo pittorico e silenzi prolungati rievocano una cifra estetica che richiama inevitabilmente Tarkovskij, ma anche il cinema di Michelangelo Frammartino, con la sua capacità di trasformare la durata in evento percettivo, e il Jonathan Glazer de La zona d’interesse, con l’utilizzo del fuori campo come spazio di un orrore talmente grande da non poter essere mostrato.

Il tema del perturbante e il formalismo delle immagini
Short Summer sceglie di affrontare il tema del perturbante, lasciando che la minaccia della guerra non emerga mai completamente in superficie, ma contamina ogni gesto, ogni silenzio, ogni apparente normalità. È un orrore diffuso che si annida nei dettagli, che si nasconde ma lascia delle tracce, come il suono del motore di un bombardiere o un treno che trasporta carri armati. Poi si fa allegoria, con l’innocenza dell’infanzia che si confronta con l’alterità assoluta della violenza, attraverso un incontro che fa Katya. Ma se da un lato il film dimostra di essere un esordio maturo, dall’altro sembra talvolta trattenuto dalla reverenza per le proprie fonti d’ispirazione. La zona d’interesse riusciva a rendere l’antispettacolare profondamente cinematografico attraverso un eccezionale controllo della tensione, mentre Short Summer in alcuni punti sembra incerto nel trovare il giusto equilibrio. Esempio di questa incertezza è l’ambiguità tra il voler privilegiare il punto di vista di Katya e la scelta di non spingersi quasi mai ad inquadrare qualcosa di più vicino di un piano medio, facendo in modo che la scena sovrasti sempre i personaggi.
La riflessione sull’inquietudine e il trauma della guerra
Su un piano più ampio, Short Summer funziona come una camera di risonanza dell’orrore storico. La casa dei nonni, destinata alla demolizione, diventa metafora di un mondo (quello russo) i cui valori sono in profondo cambiamento. A livello intellettuale, il film funziona bene: ogni scelta stilistica trova la sua giustificazione teorica e ogni silenzio porta in sé una riflessione sulla rappresentazione del trauma della guerra. Gli ostacoli possono insorgere quando ci si approccia al film come esperienza cinematografica pura. Il film di Korkia crea distanza con lo spettatore, correndo il rischio di apparire troppo cerebrale e austero. Richiede tempo, una seconda e forse anche una terza visione per dispiegare completamente i suoi sottili meccanismi. È un film che cresce nella memoria dello spettatore, che rivela nuovi strati di significato con una riflessione che continua molto dopo i titoli di coda.
Short Summer: valutazione e conclusione

Short Summer apre all’arrivo di una nuova voce potenzialmente molto distintiva e sicuramente interessante. La visione raffinata di Korkia e la sua sensibilità promettono sviluppi interessanti, la sua capacità di tradurre il silenzio in materia filmica, di rendere visibile l’invisibile attraverso l’assenza, generano curiosità per i film a venire. È la promessa di un cinema contemporaneo molto connesso alle radici dell’immagine e che sa restituire la complessità del reale senza semplificarlo. Un cinema necessario, che merita di essere seguito con attenzione nel suo percorso di crescita