Strange river: recensione del film, da Venezia 82
Strange river, diretto da Jaume Claret Muxart, è stato presentato in anteprima all'82ª Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti.
Strange river, dal titolo originale Estrany riu, e diretto da Jaume Claret Muxart, è stato presentato all’82ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti. Con nel cast Jan Monter, Nausicaa Bonnín, Francesco Wenz, Jordi Oriol, Bernat Solé e Roc Colell e scritto dallo stesso Muxart in collaborazione con Meritxell Colell, Strange river è un film sull’adolescente Dídac, che trascorre le sue vacanze con la famiglia, in bicicletta lungo il Danubio. L’incontro con un ragazzo enigmatico e affascinante fa del suo viaggio l’inizio di un ulteriore viaggio, questa volta dentro di sé, a contatto con emozioni nuove, con dinamiche familiari che non riesce a gestire e che lo porteranno all’inevitabile fine della propria adolescenza, al primo scontro con una nuova identità che comincia a delinearsi.
Strange river e il fiume che gelido provoca brividi inaspettati

Strange river partiva da una base che sicuramente non era innovativa, così come il genere: la love story che sconvolge animi giovani e inesperti, che si lasciano trascinare in un primo amore quasi impossibile da gestire, tra impulsi incontrollati e passioni travolgenti. Un campeggio estivo dove l’adolescente Dídac, pur essendo legato alla sua famiglia, con loro si sente però costretto, imprigionato, tutto fuorché libero. Strange river è infatti, o tentava di essere, un film sulla crisi adolescenziale e la scoperta di sé. Un qualcosa che spesso passa attraverso l’amore, attraverso l’attrazione che Dídac prova nei confronti di questo ragazzo misterioso e fin, da subito, fin da quando è solo un’ombra che fluttua nel fiume, magnetico e seducente. Qualcuno che Dídac trova, senza mai vederlo davvero, incredibilmente sensuale. Tutto all’inizio sembra quindi molto tradizionale, pronto a seguire i dettami del genere e del teen drama. Ma i difetti saltano all’occhio fin troppo presto.
La reale debolezza di Strange river sta nel fatto di non decollare mai realmente. Con un minutaggio di poco più di un’ora e mezza, ai due giovani protagonisti serve quasi un’intera ora per incontrarsi, per guardarsi negli occhi, già persi ognuno in quelli dell’altro. Scene dense di erotismo, di freschezza e di quelle travolgenti emozioni dell’amore giovanile. Scene che però tardano ad arrivare, fin troppo, facendo di Strange river un film su dinamiche familiari semplicistiche, gravemente già viste e anche poco approfondite. I personaggi si parlano e si guardano, ma in realtà dai loro dialoghi, spesso smisuratamente lunghi, non viene realmente detto nulla. Si nota e viene suggerito il profondo disagio di Dídac, alle prese con un processo di crescita in cui sta capendo chi è e dove la costruzione della propria identità viene continuamente minacciata da ciò che non comprende, che lo manda in tilt, che lo turba facendogli provare qualcosa che non ha mai provato prima.
Stile documentaristico tra nebbie avvolgenti e foreste che ingabbiano

Dalla tecnica amatoriale, nella spirale informativa di raccontare, senza affidarsi troppo alla forza delle immagini, all’impatto visivo di Strange river è invece assegnato il compito emozionale che si concentra sugli sguardi che si scambiano i due giovani quando si vedono. Gli occhi di ghiaccio di Dídac brillano di una luce nuova, mentre l’altro ragazzo, più ammaliatore e disinibito, con i suoi occhi scuri incanta un Dídac sempre più incuriosito. La scelta dei due attori è infatti un punto di forza, insieme alle somiglianze con gli altri membri della famiglia di Dídac. Le interpretazioni non sono stupefacenti, ma reggono il film nei momenti in cui questo non si prolunga perdendosi tra scorci naturalistici, dialoghi inconsistenti e silenzi, tutti che eccedono, che costituiscono l’intera prima abbondante ora del film. Anche la regia si affida molto al racconto e a volte sembra desiderosa di soffermarsi su una natura integra e immacolata, ma anche mutevole e imprevedibile.
Strange river: valutazione e conclusione

Gli ottimi spunti di Strange river stanno nel casting, sopratutto riguardi i due giovani, e nella volontà di non strafare, di rendere appunto coinvolgenti le riprese di boschi e montagne, prima dell’incontro che porta la macchina da presa a chiudersi sui volti e sulle espressioni degli attori. Anche l’ambientazione, se non si fosse insistito così tanto sul rappresentarla, descriverla e inquadrarla da ogni angolazione, sarebbe stata perfetta per un amore estivo che spesso cambia l’esistenza di chi lo vive. La sceneggiatura però, e la lentezza, ricercata ma non efficace di alcune scelte registiche, così come la struttura narrativa, rendono il film oltre che monotono, anche quel classico prodotto che fatica ad ingranare, che cerca di creare aspettativa nello spettatore, facendo presagire che qualcosa stia per accadere. Dando però fin troppi pochi elementi, un materiale quasi scarno sul quale si tentenna troppo.
Leggi anche Bugonia: recensione del film di Yorgos Lanthimos, da Venezia 82