12 ore per la fine del mondo: recensione del film Prime Video

Dalla Russia un disaster-movie ben confezionato dal regista Dmitry Kiselev, che ha però nella sceneggiatura il suo tallone d’Achille. Su Prime Video dall’8 agosto 2025.

Da qualche anno a questa parte la cinematografia russa in quanto a sci-fi ha decisamente alzato l’asticella, vedi ad esempio pellicole di buonissima fattura come The Blackout o Sputnik. Poi come se non bastasse si è lanciata pure nel terreno minato del blockbuster catastrofico, filone nel quale l’industria hollywoodiana in primis ha fatto sempre la voce grossa. Lo ha fatto con un film capace di sorprendere gli addetti ai lavori con un discreto ed efficace mix di regia, effetti speciali e riprese spaziali assai realistiche. Si tratta di 12 ore per la fine del mondo (Mira), ultima fatica dietro la macchina da presa di Dmitrij Kiselёv, già autore dello space-opera Spacewalker – Il tempo dei primi, che a distanza di tre stagioni dalla sua uscita è finalmente disponibile su Prime Video dallo scorso 8 agosto 2025.

Una pioggia di meteoriti si abbatte su una zona della Russia mettendo a rischio la sopravvivenza di una famiglia e della popolazione locale nel disaster-movie 12 ore per la fine del mondo

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Bisogna però chiarire un aspetto chiave dell’operazione in questione per evitare fraintendimenti, con il titolo scelto per la versione italiana che potrebbe creare delle false aspettative nel fruitore di turno, spinto a credere di trovarsi da lì a poco al cospetto di un disaster-movie post-apocalittico. Bastano infatti pochi minuti per rendersi conto che ciò che aspetta noi e i protagonisti nel resto della timeline non è di certo un’apocalisse globale in stile Armageddon che nette in pericolo il mondo e l’intera umanità. La pioggia di meteoriti si abbatterà infatti su una zona precisa della Terra, per l’esattezza su Vladivostok, un’importante città portuale russa conosciuta come il capolinea della ferrovia transiberiana situata sul Pacifico, nella baia di Zolotoj Rog vicino al confine con la Cina e la Corea del Nord. Qui vive la quindicenne Valeria “Lera” Arabova insieme alla madre Svetlana, al patrigno Boris e al fratellastro più piccolo Yegor. È una ragazza problematica che soffre ancora per le conseguenze di un incendio quando si è trovata da piccola sola in un ascensore, evento che ha causato il divorzio dei suoi genitori e un rapporto irrisolto col padre astronauta, l’ingegnere di volo Valery Arabov, che poco dopo quei fatti partì per una lunga missione spaziale a bordo della stazione Mira. Quando una pioggia di meteoriti che la stazione spaziale stava monitorando, cade in modo imprevisto su alcune zone della Terra, fra le quali proprio quella dove vivono i figli, l’unico sopravvissuto a bordo della navicella Arabov utilizzerà la tecnologia satellitare e l’intelligenza artificiale per mettersi in contatto in modo molto creativo con Lera e guidarla alla salvezza in mezzo alla catastrofe.

Tecnicamente ben confezionato, 12 ore per la fine del mondo soffre purtroppo a causa di scellerate scelte di scrittura che creano un cortocircuito nell’impianto drammaturgico

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Quindi formalmente 12 ore per la fine del mondo sarebbe in parte un disaster-movie, con tutti gli stilemi e gli ingredienti fondanti al seguito, compreso l’impatto che storie come queste hanno sullo schermo grazie al supporto di immagini e sequenze ad alto tasso di spettacolarità. Quest’ultima non viene mai meno, a cominciare dall’adrenalinico piano sequenza che vede Lera impegnata in una pirotecnica fuga dalla pioggia di meteoriti che si abbatte sulla sua casa e che la vedrà scampare a rovinosi crolli di palazzi e schivare auto impazzite. Il cineasta moscovita e la sua crew da questo punto di vista sembrano sapere il fatto loro, con le scene d’azione, come il già citato long take o quella in cui Valery indica alla figlia la strada da percorrere utilizzando semafori e insegne luminose, che tecnicamente e ritmicamente regalano al pubblico momenti davvero coinvolgenti. Soluzioni, queste, che rendono la visione avvincente, dando allo spettatore un motivo in più per restare incollati allo schermo anche quando l’autore all’interno dell’impianto di genere decide di virare verso il dramma familiare per approfondire i motivi che hanno portato alla dolorosa separazione tra il padre e la figlia. Tale svolta sul piano narrativo e drammaturgico genera un cortocircuito interno nel plot, che la scrittura non riesce a supportare a dovere poiché non si dimostra in grado di fare coesistere la parte d’intrattenimento con quella più intima e sentimentale. Le ripercussioni sull’impianto generale del racconto sono più che evidenti e le crepe che ne scaturiscono vanno a inficiare anche sulle one-lines dei personaggi depotenzializzandole. Nemmeno le performance di Veronika Ustimova e Anatoliy Beliy, rispettivamente nei panni di Lera e Valery, sono sufficienti a rimettere in carreggiata il film quando si decide fare harakiri con la suddetta sciagurata scelta in fase di scrittura. Peccato.

12 ore per la fine del mondo: valutazione e conclusione

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Con 12 ore per la fine del mondo, il regista russo Dmitrij Kiselёv dimostra come è possibile gettare al vento delle buone premesse con delle infelici e sciagurate scelte di scrittura. Il cineasta immette a forza nella timeline di un disaster-movie tecnicamente di discreta fattura una debole sottotrama da dramma familiare che genera un cortocircuito interno. Il ché non incide negativamente sulla confezione e sullo spettacolo offerto dalle scene più dichiaratamente action, ma sul racconto in generale e sullo sviluppo dei personaggi purtroppo si. Mantenersi sull’impianto e sugli stilemi del filone di riferimento, senza infarcirlo con altro, probabilmente avrebbe portato a risultati migliori e più coerenti con le esigenze di una pellicola dichiaratamente di genere.

Regia       - 4
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.2