Portobello: recensione della serie TV di Marco Bellocchio, da Venezia 82

La serie di Marco Bellocchio, con Fabrizio Gifuni, Lino Musella, Barbora Bobulova e Romana Maggiora Vergano, presentata fuori concorso alla 82ª edizione del Festival di Venezia

Come ci racconta quello spaccato d’Italia del secondo Novecento Marco Bellocchio non lo sa fare nessuno. Impeccabile ancora una volta nella ricostruzione storica, nelle scenografie, nei trucchi e nei costumi, con Portobello – serie tv presentata fuori concorso alla 82ª edizione del Festival di Venezia – ci catapulta direttamente all’interno del programma omonimo condotto da Enzo Tortora, nelle case degli italiani e nelle carceri brulicanti della Nuova Camorra Organizzata. Dopo Esterno Notte l’autore ottantacinquenne sceglie ancora la forma seriale (questa volta canonica) per affrontare uno dei più clamorosi errori giudiziari della nostra storia, dimostrando nuovmanete di saper padroneggiare ogni linguaggio narrativo. Prodotta da Our Films e Kavac Film in collaborazione con ARTE France e The Apartment Pictures, la serie vanta alla sceneggiatura, accanto a Bellocchio, Stefano Bises, Giordana Mari e Peppe Fiore. Nei panni di Tortora Fabrizio Gifuni, affiancato da Lino Musella, Barbora Bobulova, Alessandro Preziosi, Fausto Russo Alesi e Romana Maggiora Vergano. Un cast che Bellocchio calibra con cura, affidando al suo interprete di fiducia un ruolo di enorme peso. La serie prende le mosse anche dal libro-inchiesta che negli anni ha raccontato la vicenda, restituendo il valore di un caso mediatico e giudiziario che travolse un uomo e un intero Paese.

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Portobello cinematographe.it

Enzo Tortora (Fabrizio Gifuni) è all’apice del successo: il programma da lui condotto, Portobello, alza costantemente la sua asticella arrivando a toccare 28 milioni di spettatori, Sandro Pertini lo nomina commendatore, la sua figura televisiva si fa simbolo di un’Italia che cerca leggerezza e conforto, passando di casa in casa e arrivano sino alle carceri. Lì, nelle viscere del Paese qualcosa ribolle la caotica ondata distruttiva della Nuova Camorra Organizzata la quale, già scossa dal terremoto dell’Irpinia, vive un fragile equilibrio. Giovanni Pandico (Lino Musella), uomo di fiducia di Raffale Cutolo (Gianfranco Gallo) e spettatore assiduo del programma, sceglie di pentirsi, o meglio di prendere le distanze, e nei suoi interrogatori pronuncia un nome inatteso: quello del celebre conduttore. Il 17 giugno 1983 i carabinieri bussano alla porta dell’hotel dove Tortora alloggia: lui crede a un errore, ma è lì che inizia un’odissea che lo trascina dalla vetta al baratro. Bellocchio racconto le fortune e le sfortune di Portobello, l’impatto devastante prima dell’arresto, il cortocircuito mediatico, il meccanismo giudiziario che divora l’uomo pubblico e priva di dignità l’individuo. I primi due episodi raccontano l’ascesa verticale del programma e l’esplosione caotica seguita alla accuse mosse da Pandico, mescolando spettacolo, politica e criminalità in un groviglio che riflette l’Italia dell’epoca.

La serie non si limita alla cronaca giudiziaria: affronta il nodo del rapporto tra celebrità, opinione pubblica e potere, interrogando la fragilità delle istituzioni democratiche. Bellocchio costruisce un mosaico corale in cui il volto di Tortora diventa specchio di un Paese che si guarda in televisione e si scopre vulnerabile. La satira amara sullo show business si intreccia al dramma umano: il pappagallo che non parla diventa metafora di un silenzio collettivo, quello delle coscienze che assistono senza intervenire. La regia alterna scene da studio televisivo, rese con precisione filologica, a momenti di claustrofobia carceraria, esibendo la dualità tra successo e condanna. In questo spazio narrativo, Bellocchio denuncia la crudeltà del sospetto e la fragilità della verità, senza offrire catarsi, solo sopraffazione.

Portobello: valutazione e conclusione

Alla 82ª Mostra di Venezia vengono presentati solamente i primi due episodi della serie, un assaggio che lascia l’amaro in bocca: il ritmo incalza lentamente e trova la sua cadenza proprio quando la visione si interrompe. Ma già in questa anteprima si riconosce l’ennesima opera calibrata alla perfezione, tecnicamente impeccabile e narrativamente necessaria, per scoprire e riscoprire, omaggiare ed interrogare su uno dei più grossi pezzi del puzzle televisivo italiano. Il casting appare centrato: Fabrizio Gifuni regala una delle sue prove meglio riuscite, matura e al tempo stesso rispettosa, sostenuto da un’intesa col regista che si è fatta collaudata negli anni; Lino Musella emerge come nota preziosa, incisiva, spiazzante e soprattutto indispensabile. Portobello è un’opera che riafferma la capacità di Bellocchio di raccontare il passato per illuminare il presente, con rigore, intensità e lucidità. Non solo una ricostruzione storica, ma un atto politico e morale che chiede di ricordare. Nessuna consolazione, nessuna assoluzione: solo il ritratto di un Paese colpevole di aver creduto troppo in fretta.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.6