Superman è davvero un film punk!
James Gunna riporta Superman alle sue origini e contemporaneamente gira un film politico
Il cinema di consumo è una narrazione che, come ci ricorda Elena dell’Agnese (Paesaggi ed eroi), dipende da un punto di vista contestualizzato. A partire da quest’ultimo si possono creare storie che confermano i valori specifici del contesto socioeconomico entro cui i film sono prodotti o storie che invece tentano di darne una lettura alternativa. Così ogni testo filmico può essere inteso come un atto politico, che si relaziona, di volta in volta, in maniera differente alla cultura dominante del momento storico e del luogo ove la pellicola viene prodotta. Per esempio il cinecomic supereroistico, un tipo di film completamente calato nel mainstream commerciale, ha reso palese, più volte, come anche all’interno di semplici racconti escapisti si possano celare elementi culturali, adatti a farci comprendere meglio varie questioni fondamentali per la cultura occidentale e le sue relazioni con l’assetto socioeconomico globale contemporaneo. L’esempio più recente di questo meccanismo è dato da Superman di James Gunn.
Leggi anche Superman (2025): recensione del film di James Gunn
Il film risulta interessante da un simile punto di vista perché riesce a coniugare magistralmente cinema delle attrazioni e riflessione critica sul presente politico americano, in una tanto bislacca quanto accattivante operazione autoriale. Il film di Gunn infatti, a differenza di operazioni (se si vuole più complesse e mature) come The Batman (Reeves, 2022) o Captain America: Civil War (Fratelli Russo, 2016) non ha la pretesa di inserire l’immaginario fumettistico in un contesto realistico, per rendere credibili le riflessioni sulla società portate avanti dal film.
Superman. Un eroe socialista durante la Grande Depressione

Gunn torna alle origini del sense of wonder che caratterizzava i primi fumetti supereroistici – e quindi quelli di Superman, che nel 1938, creato da Siegel e Shuster, diedero il via a tutto. Si trattava, allora, di una fantasia di potenza adolescenziale. Ma, si badi bene, una fantasia di potenza dalle radici sociali ben precise. I creatori di Superman erano adolescenti di Cleveland, Ohio, figli di immigrati europei ebrei, immersi nella miseria dell’America post-Grande Depressione e martellati dalle notizie radiofoniche sull’ascesa del Reich. In risposta a quei tempi cupi, all’intolleranza dominante e ai venti di guerra, il primo superuomo moderno nacque, su Action Comics n.1, con il titolo di campione degli oppressi.
Superman era un difensore dei poveri e degli sfruttati. Nella sua prima avventura, in ordine, salvava una ragazza da un’ingiusta condanna capitale; puniva un marito che picchiava la moglie; dava una lezione a un piccolo gangster e affrontava un politico corrotto. Nel secondo numero si rivelava essere un pacifista che costringeva, con metodi non troppo pacifici, i mercanti d’armi ad affrontare le conseguenze della loro avidità. Nel terzo numero, addirittura, si impegnava a migliorare le condizioni di lavoro e i salari dei lavoratori di una miniera di carbone. Insomma già dalle sue origini l’ultimo figlio di Krypton era un eroe immigrato da un altro pianeta, che indossava i colori della bandiera americana, non per supportare il governo statunitense in quanto tale, ma il sogno di una Terra dei liberi che accogliesse davvero tutte le masse affamate, stanche e infreddolite, scacciate da qualsiasi altro luogo sulla Terra e garantisse loro uguaglianza giustizia e felicità. Superman nasce come un sogno adolescenziale di socialismo libertario e poi, purtroppo, nel tempo, è stato piegato ai fini della propaganda paternalistica dello status quo dell’American way of life.
Superman da Zack Snyder a James Gunn
Nonostante tra la fine degli anni novanta e i primi anni del ventunesimo secolo (in particolare con la run di Grant Morrison del 2011) i fumetti DC avessero intrapreso un percorso per riportare il personaggio a queste origini, al cinema si è imposta una visione ben diversa dell’eroe. La prosopopea snyderiana ha infatti cercato di farne un’icona neopagana e postcristiana. Una sorta di divinità tragica e alienata, un’immagine dell’Atlante che si rivolta di Ayn Rand, in chiave fumettistica. Non un eroe che vuole migliorare la vita degli ultimi, ma un semidio, non troppo convinto, che concede i suoi favori a un’umanità indegna, perché innamorato di una donna. Ed effettivamente l’estetica snyderiana è perfetta per questo tipo di operazione. In Man of Steel (2013), Batman V Superman: Dawn of Justice (2016) e in Zack Snyder’s Justice League (2021) il regista propone un cinema fatto di campi ravvicinati, che costruiscono immagini atte a esaltare la fisicità scultorea e le pose divine dell’uomo d’acciaio. Il gioco con la profondità di campo ridotta fa sì che nell’inquadratura domini l’eroe, avulso da qualsiasi contesto collettivo. I colori desaturati e i ralenti creano un senso di opprimente fatalità. La scrittura si concentra sul reiterarsi di situazioni canoniche, dal sapore biblico, atte a confermare il valore di Superman come icona dell’eccezionalità statunitense: il prescelto salvato dal destino, la necessità di nascondere la propria natura divina fino al trentatreesimo anno di età, il sacrificio rituale, la resurrezione, il rischio della caduta in tentazione, l’amore eteronormato come motore di un eroismo che può agire al di là della giurisdizione e dei confini nazionali.

James Gunn, dal canto suo, recupera alcuni di questi temi, come la questione della legittimità dell’azione extraterritoriale di Superman, ma li inscrive in un contesto estetico completamente opposto. Per prima cosa egli abbandona la linea del racconto fumettistico intesa come una forma di nuovo romanzo civile americano, inaugurata da Nolan con la sua Trilogia del Cavaliere oscuro. Ovvero rifiuta la struttura neoclassica, in cui la narrazione è caratterizzata da una logica ferrea e consequenziale, che tenga conto di principi di causa ed effetto realistici. E con essa rifiuta anche un certo psicologismo. In secondo luogo, si allontana parimenti dalla versione epica di questa tradizione, cioè quella snyderiana, costruita su un palese afflato mitopoietico, che vorrebbe sostituire alla logica l’agiografia.
Superman di James Gunn tra rotture col passato e questione americana

Leggi anche 5 film della Troma Entertainment che non sapevi di amare
L’ex regista Marvel, invece, per raccontare un Superman più aderente all’originale versione ottimista e socialista dell’eroe, ricorre alla sua formazione dissacrante e postmodernista, maturata in casa Troma. Scrive infatti un film fatto di situazioni paradossali e completamente folli.
Il suo modello potrebbe essere rintracciato in alcune puntate della serie animata del 96 Superman: The Animated Series, ma soprattutto in alcuni degli episodi più fantasy della successiva Justice League. Questo approccio permette sia di inserire nel film una miriade di personaggi – Gunn ama le storie corali – sia di costruire un mondo fantastico, dove tutto è illuminato dalla luce della satira caustica e divertita.
Nella Metropolis di James Gunn le persone vengono facilmente manipolate da un’informazione basata sui deepfake. Superman è un bravo ragazzo che salva anche gli animaletti e viene a sua volta salvato dal suo cane. Nel frattempo Lex Luthor vende armi a un Paese dell’Europa dell’Est che ne aggredisce uno più debole e povero. Gli altri supereroi sono un po’ cinici e non intervengono. La questione dell’eccezionalità americana, cioè del diritto degli Stati Uniti di intervenire in questioni di Paesi terzi, contro le regole transnazionali stabilite da loro stessi, viene completamente ribaltata. L’America non è più rappresentata da Superman, ma dal tecnocrate Luthor, che in nome degli affari e della difesa nazionale foraggia guerre ingiuste. Superman interviene senza curarsi degli aspetti geopolitici – come nei fumetti della Golden Age – perché non agisce in quanto rappresentante di una nazione, ma in quanto uomo libero che vuole combattere le ingiustizie e rendere liberi i suoi simili. Gunn, annulla l’approccio snyderiano attraverso un processo di demistificazione etica.
Fantasmagoria postmoderna
Per il resto il film è fatto di fantascienza, mostri giganti e battute. Attraverso il recupero di una scrittura sfilacciata e avventurosa, il regista esprime il gusto per una narrazione frammentaria e getta la propria presa di posizione etico-politica all’interno di un piccolo romanzo picaresco/cinefilo. Superman è un insieme di avventure che vede il protagonista spostarsi da un genere filmico a un altro. Abbiamo il monster movie con Kaijū gigante, la fantascienza che esplora universi (im)possibili e faglie quantiche, il thriller politico, l’action puro e la commedia. Grazie a questo viaggio nell’immaginario, attuato senza soluzione di continuità, Superman si pone come icona di una ritrovata fantasia del cinema supereroistico, in grado di aprirsi alla vertigine di una realtà dove nulla è stabilito e tutto è possibile. Luthor d’altra parte, con la sua fiducia sfrenata nel controllo tecnologico e nel potere del denaro, rappresenta il tentativo di imbrigliare le infinite possibilità del fantastico del cinema suopereroistico, dentro un immaginario convenzionale e limitato, come potrebbero essere il cupo realismo di matrice oggettivista di tipo snyderiano o l’innocuo e bambinesco mondo dell’MCU – i cui limiti Gunn deve aver conosciuto di persona.
Un film politico

Si potrebbe allora sostenere che il reale valore politico di Superman stia proprio nella sua forma. Forma che nega alla base la pretesa autorità di una narrazione della realtà coerente e sottoposta al controllo del potere. Ma che all’opposto si riserva il diritto di viaggiare indietro nel tempo, come Superman/Christopher Reeve – cui il film rende vari omaggi – per affermare, senza sacralità e con ironia postmoderna, la necessità di un eroismo classico e puro, non cinico, né ambiguo. In un contesto sociale come quello degli Stati Uniti trumpiani, dove una simile caratterizzazione può essere facilmente denigrata come woke, l’atto di portarla così alla ribalta, attraverso l’utilizzo di un immaginario fantasmagorico – normalmente usato per narrazioni autoriflessive, come nel caso di film Marvel quali Dr Strange nel Multiverso della Follia (Raimi, 2022) e Antman and the Wasp: Quantumania (Reed,2023) – finisce per essere un’operazione di detournament culturale degna della sottocultura punk.
Nomi di fantasia per parlare di Israele e del genocidio in atto a Gaza

Gunn ha preso un’icona tradizionale dell’americanità, non ne ha cambiato i tratti etici e valoriali, ma, inserendoli in uno spettacolo dai toni satirici, li ha rimodulati in controvalori da opporre a quelli attualmente portati avanti dall’amministrazione statunitense nel mondo reale. L’autore schiera l’accettazione del diverso, l’amore per l’ambiente, l’animalismo, la critica al capitalismo tecnocratico, il buon cuore e la libertà di autodeterminarsi contro la repressione del dissenso, l’odio razzista e il bellicismo che appoggia il genocidio perpetrato da Paesi come Israele – la Boravia, nazione fittizia che compare nel n.2 di Superman (1939) è palesemente la versione Dc Universe di Israele che attacca Gaza/Jarhanpur. Lo fa recuperando un cinema delle attrazioni dove ogni scena è composta da immagini costruite per inserire l’eroe in un mondo vasto, non isolandolo, ma rendendolo parte integrante di un contesto umano/collettivo, che si rivela fondamentale poi per la sua vittoria sul villain. Inoltre i colori sgargianti e le prospettive deformate, ottenute spesso con l’uso di grand’angoli estremi contribuiscono a darci di quel mondo una visione larger than life, ma allo stesso tempo caricaturale – in alcuni momenti persino il volto all-american di Supes appare come una maschera da Looney Toon.

Se dunque volessimo seguire la classificazione proposta da Stam, Burgoyne e Flitterman-Lewis per quanto riguarda le modalità con cui i film esplicano la propria natura di artefatti politici, Superman di Gunn potrebbe essere letto come un film fessura. Cioè un film solo apparentemente appartenente al cinema dominante, che attacca aspetti specifici della cultura statunitense, attraverso un linguaggio destrutturato e leggermente straniante per il tipo di pubblico a cui si rivolge. Un film punk, insomma, che trasforma un’icona tradizionale della cultura americana come Superman, in icona di resistenza dell’immaginario, dentro un’America reazionaria e disumana, dove un potente miliardario e i suoi biechi amici tecnocrati vessano gli “alieni” e finanziano i genocidi compiuti dalle troppe Boravie, sparse per il globo.