So Cosa Hai Fatto: recensione del film di Jennifer Kaytin Robinson
So Cosa Hai Fatto è il quarto capitolo (al cinema) del franchise cominciato con l'omonimo slasher del 1997. Regia di Jennifer Kaytin Robinson, in sala dal 16 luglio 2025.
Il passato non muore, tutto il resto sì. La considerazione acquista un senso molto preciso se riferita a So Cosa Hai Fatto, il film diretto – e scritto, insieme a Sam Lansky – da Jennifer Kaytin Robinson e in uscita nelle sale italiane il 16 luglio 2025 per Eagle Pictures. È il quarto capitolo della saga, il sequel dell’omonimo slasher del 1997 e una costola dell’originale letterario, il romanzo del 1973 di Lois Duncan “I Know What You Did Last Summer”, che sarebbe poi il titolo originale del film del 1997 e della nuova/vecchia iterazione del 2025. Se in questi termini se ne parla, non è per caso; So Cosa Hai Fatto è la stessa storia, letteralmente, ma posticipata di trent’anni, con un cast che è un amalgama di new entries e quanti, dell’originale, possono permettersi di esserci ancora perché i rispettivi personaggi sono sopravvissuti alla furia omicida del 1997. Gli storici: Jennifer Love Hewitt e Freddie Prinze Jr. I nuovi: Madelyn Cline, Chase Sui Wonders, Sarah Pidgeon, Jonah Hauer-King, Tyriq Withers. Che il massacro abbia, di nuovo, inizio.
So Cosa Hai Fatto: è sempre un 4 luglio di sangue

Il nuovo massacro ricorda da vicino quello vecchio. So Cosa Hai Fatto ha fiducia nella formula e non perde tempo a esporre, spiegare, circostanziare. Fa in modo che tutto succeda rapidamente, e non è un male. È ancora il 4 luglio, è ancora il momento di scelte stupide, moralmente equivoche e dalle conseguenze rovinose. Gli amici sono cinque, quattro più uno. Due coppie e una singola, e le cose non sono semplici. Teddy (Tyriq Withers) e Danica (Madelyn Cline) sono i più estroversi, i superficiali, i privilegiati. Si amano e la coppia sembra, sembra, inossidabile. Poi ci sono Ava (Chase Sui Wonders) e Milo (Jonah Hauer-King), più razionali, meno impulsivi, un velo di timidezza e di pudore. Si sono amati, tempo fa, vorrebbero riprovarci, palesemente, ma qualcosa li frena. Poi c’è Stevie (Sarah Pidgeon), la più fragile, l’emarginata, che ne ha passate di cotte e di crude e ha smesso di frequentarli. Torna con loro per una sera. È il quattro luglio, da quelle parti una data infausta anche se non se lo ricorda più nessuno.
Il passato, a Southport North Carolina, è un gigante addormentato da decenni di speculazione edilizia e negazione della realtà. La piccola cittadina di pescatori in riva al mare è diventata un conglomerato di residenze extralusso. Ha preferito l’oblio alle cicatrici dolorose del massacro del 1997. Questo vuol dire che, quando la macchina della morte si rimette in moto, i giovani inermi protagonisti sono ancora più inermi di fronte agli eventi. Non hanno il vantaggio dell’esperienza. L’idea di Jennifer Kaytin Robinson, con So Cosa Hai Fatto, è di costruire, resuscitando formula e appeal dell’originale, un sanguinoso manuale di sopravvivenza (esistenziale quanto basta) attorno alla domanda: come si fanno i conti con il passato e i suoi traumi quando il passato bussa alla porta?
Succede di nuovo la sera del quattro luglio. Per assistere allo spettacolo dei fuochi d’artificio, i cinque scelgono di fermarsi in un punto molto stupido, un tornante a picco sul mare chiamato curva della morte. Dovrebbe convincerli a desistere, ma no. Uno di loro si comporta in modo immaturo e sconsiderato, e la sproporzionata conseguenza è che un automobilista precipita dalla scogliera con la sua auto. I ragazzi vorrebbero aiutarlo, ma scelgono il silenzio e la fuga in sordina. Un anno dopo, mentre il senso di colpa e l’eredità del trauma li colpisce, ognuno in modo diverso, un serial killer uncinato conosciuto come Il Pescatore comincia a tormentarli. Per cavarsela, dovranno risalire alle radici del mistero, con l’aiuto dei sopravvissuti del 1997, Julie (Jennifer Love Hewitt) e Ray (Freddie Prinze Jr). La star dell’originale, Sarah Michelle Gellar, è un fantasma su una maglietta celebrativa. Ma il suo carisma getta un’ombra profonda sulla storia.
Uno slasher molto rigoroso, una formula rodata. In parte è un problema

Purezza di un genere, o di un sottogenere: So Cosa Hai Fatto è uno slasher che ha fatto i compiti a casa. C’è il maniaco omicida – Il Pescatore, ma il film se ne serve con parsimonia e forse per questo colpisce meno di altri “colleghi” cinematografici – c’è un gruppo di ragazzi in fuga, c’è la morte. La morte è uno sporco affare, e rumoroso; merito di un lavoro scrupoloso sul sound design, che intrecciato all’elegante e torbida fotografia di Elisha Christian ci ricorda che c’è un cinema che, per funzionare, ha proprio bisogno di un grosso schermo e una sala piena di gente. La regia di Jennifer Kaytin Robinson sfrutta la premessa esistenziale che fa da cornice al franchise per quel che può offrire in termini di cinema puro, suspense e un mucchio di sangue, e poi basta. È il diktat di una saga che punta a una soddisfazione superficiale, a shock fisici e quel tanto di tesa atmosfera che serve a sballottare la coscienza dello spettatore.
So Cosa Hai Fatto crede nella formula che ha permesso al franchise di sopravvivere nella coscienza collettiva per quasi trent’anni, con quattro film e una serie Tv, e non ha davvero voglia di complicare le cose. Il passato è un’ombra dai contorni affilati e molto della storia ha a che fare con il modo con cui ciascun personaggio (non) gestisce il peso del trauma. I cinque scelgono il silenzio all’assunzione di responsabilità. Si nascondono e pagano le conseguenze della sordità morale (il non sentire gli altri è un tema importante). Questa è la teoria, e sarebbe stato bello che il film avesse insistito, perché è interessante come So Cosa Hai Fatto cerchi di replicare a un livello macro la pericolosa negazione dei protagonisti: non sono soltanto i ragazzi di ieri e di oggi, è l’intera Southport che cancella il ricordo del massacro del 1997 e nicchia su quello recente per costruirsi un futuro diverso, in cui i soldi e il benessere ostentato coprono le zone d’ombra della coscienza. Ma se le idee interessanti il film ha il tempo di esporle, non ne ha altrettanto per affrontarle.
In questo senso, So Cosa Hai Fatto è un film spaccato a metà: c’è il format – i protagonisti si macchiano di una colpa, il passato manda il killer a colpirli – cui la storia si affida con cieca fiducia. Poi c’è il resto, l’incerto approfondimento psicologico, la riluttanza a lavorare sulle convenzioni dello slasher preferendo una fedeltà, scrupolosa ma poco immaginativa, alla regola. Dei nuovi, con gli uomini in secondo piano, la storia è un affare per tre: Madelyn Cline, Sarah Pidgeon e Chase Sui Wonders. È solo alla prima che la storia sembra riservare la possibilità di un arco narrativo soddisfacente, un’evoluzione psicologica definita. Il peso del passato, l’eredità del trauma, per le altre (e gli altri) risulta in caratterizzazioni incostanti e imprecise, con poca coerenza.
So Cosa Hai Fatto: valutazione e conclusione
E gli attesi ritorni, Jennifer Love Hewitt e Freddie Prinze Jr.? L’eredità del passato che sta così a cuore al film non si risolve solo in trauma; una grossa parte è anche nostalgia. So Cosa Hai Fatto si sforza di inserire i superstiti di ieri nella storia di oggi nel modo più costruttivo, dandogli qualcosa da fare e non limitandosi all’amo di marketing. È la parte più riuscita del film, perché hanno voce in capitolo e l’interazione con il cast dei neofiti ha la sua vitalità. Anche Jennifer Love Hewitt e Freddie Prinze Jr. finiscono però con il pagare dazio alla generale pigrizia del film. Il modo con cui la regia di Jennifer Kaytin Robinson li rimette al centro della storia – a conti fatti, è la loro storia ancora una volta – ricorda da vicino, in storytelling, psicologia e senza aggiungere granché, molti reboot degli ultimi tempi, da Halloween a Scream, con quest’ultimo che è sempre stato la famigerata pietra di paragone di So Cosa Hai Fatto (un’affinità forse troppo soffocante, castrante). In estrema sintesi, una premessa oliata e uno sviluppo narrativo zoppicante. La tensione non accende una scintilla appagante.