La mia amica Zoe: recensione del film di Kyle Hausmann-Stokes
La recensione dell’opera prima di Kyle Hausmann-Stokes con Sonequa Martin-Green, Morgan Freeman ed Ed Harris. Dall’11 giugno 2025 nelle sale.
Prima di entrare nel mondo dell’audiovisivo, Kyle Hausmann-Stokes è stato un soldato dell’esercito americano, nel quale si è arruolato nel 2001. Nell’arco della sua carriera militare ha preso parte tra le altre a due missioni in Iraq nel 2004 e nel 2007, ultima delle quali lo ha profondamente segnato provocandogli la PTSD, acronimo di disturbo post traumatico da stress. Quando poi, terminati gli studi di cinema, ha intrapreso il mestiere di regista e sceneggiatore si è spesso molto per la causa realizzando annunci di servizio pubblico, campagne e cortometraggi sul vissuto dei veterani, sul senso di colpa del sopravvissuto e sulla sindrome che ha colpito lui e tanti come lui che hanno visto con i propri occhi gli orrori della guerra. Viene da sé che anche il suo esordio nel lungometraggio non potesse esimersi dal trattare e mettere al centro della vicenda narrata le suddette tematiche. Ecco allora arrivare sugli schermi La mia amica Zoe, nelle sale nostrane dall’11 giugno 2025 con Europictures dopo l’uscita in quelle statunitensi e la partecipazione a numerosi festival, laddove ha vinto il premio del pubblico al South by Southwest e quello della giuria al Woodstock Film Festival.
Per La mia amica Zoe, il regista Kyle Hausmann-Stokes è partito da esperienze personali
Partendo dalle sue esperienze personali sul campo di battaglia nei cinque anni trascorsi in Iraq è nato un film autobiografico che attinge dall’amicizia con un commilitone, dal suo rapporto post- bellico con il nonno ex soldato e dall’invito a iniziare una psicoterapia ricevuto da un saggio veterano del Vietnam. Il tutto si è andato a mescolare con il plot di un suo precedente cortometraggio dal titolo Merit for Zoe, dando così forma e sostanza alla vicenda di Merit (Sonequa Martin-Green) una veterana dell’esercito americano appena rientrata dall’Afghanistan, segnata dalla perdita della sua migliore amica Zoe (Natalie Morales). Ma quel legame non si è spezzato: la sua presenza continua ad accompagnarla, invisibile ma viva. In lotta con i propri fantasmi, si scontra con un nonno burbero e distante, veterano del Vietnam (Ed Harris), e con un counselor del gruppo di sostegno dei veterani (Morgan Freeman) che cerca di aiutarla a ricucire ciò che resta. Tre generazioni, tre guerre, un solo dolore da attraversare per tornare a vivere.
Le emozioni e le performance degli interpreti tengono a galla un film sul quale pesano una regia e una scrittura acerbe
L’autore ha voluto trattare il problema dei disturbi post-traumatici di guerra, ma anche tematiche universali come la perdita, il senso di colpa, i legami familiari e la malattia, ma lo ha fatto mescolando il dramma con la dark comedy. Il ché gli ha permesso di esplorare cosa succede durante e soprattutto al rientro dalle missioni militari attraverso la storia di una forte amicizia al femminile che va oltre la morte. Le emozioni cangianti, stemperate attraverso un cambio continuo di registri e tonalità nel corso della timeline, diventano il motore portante della timeline. Ed è su queste che il regista statunitense, che le ha provate tutte sulla propria pelle, ha voluto e potuto contare, oltre che sul contributo davanti la macchina da presa di un cast ben assortito, a cominciare da due pezzi da novanta come Harris e Freeman. La mia amica Zoe in tal senso è un vero e proprio concentrato, con le performance attoriali, comprese quelle delle co-protagoniste Martin-Green (The Walking Dead, Star Trek Discovery) e Morales (Grey’s Anatomy), che ne rappresentano il principale veicolo di trasmissione. Peccato che la scrittura e la messa in quadro vi si appoggino troppo, al punto da risultare autonomamente basiche e prive di soluzioni degne di nota.
La mia amica Zoe: valutazione e conclusione
PTSD, perdita e legami affettivi sono al centro dell’opera prima di Kyle Hausmann-Stokes, che a sua volta è partito da esperienze personali per portare sullo schermo un film che punta forte sulle emozioni e sulle performance degli interpreti. Sceneggiatura e regia si appoggiano a queste per sopperire alle mancanze strutturali e creative di una regia ancora acerba e di una scrittura dagli alti e bassi.