Mani nude: recensione del film con Francesco Gheghi e Alessandro Gassman
Dopo Non odiare del 2020, a distanza di cinque anni, Mauro Mancini torna sul grande schermo con Mani nude, un film ambientato nel mondo dei combattimenti clandestini, al quale Mancini aggiunge due storie private e personali. Protagonisti Francesco Gheghi e Alessandro Gassman, uno combattente, l’altro allenatore. Tratto dal romanzo, dal titolo omonimo, di Paola Barbato e prodotto da Eagle Original Content, Pepito Produzioni e Movimento Film con Rai Cinema, del cast fanno parte anche Renato Carpentieri, Fotinì Peluso, Giordana Marengo e Paolo Madonna. Francesco Gheghi veste i panni di Davide, un ragazzo che viene rapito e costretto a combattere a “mani nude” contro misteriosi avversari, tra scommesse e incontri clandestini. A gestire e, appunto, allenare, Davide e altri combattenti, Minuto, volto di Alessandro Gassman che sembra avere nei confronti di Davide un’avversione particolare. Un disprezzo che cambierà forma e che darà modo ad entrambi di fare i conti con ciò che li ha condotti lì. Mani nude arriva nei cinema dal 5 giugno 2025.
Mani nude e l’atroce aggressività dei combattimenti clandestini

Mani nude è un film crudo, duro, spietato, dove non c’è spazio né per il dolore, né per la sofferenza e neanche per la possibilità di fuga. Ma più di tutto, nel mondo dei combattimenti clandestini, non esiste l’empatia e affezionarsi è fuori discussione. Si lotta a “mani nude” e la conclusione è sempre l’omicidio di uno dei due. Uccidere è infatti l’unico modo per sopravvivere. I corpi vengono feriti, martoriati, ci si ricopre di sangue, ci si ferisce e si perde il controllo. La folla incita e scommette di fronte a chi è solo carne da macello. Mancini non si sofferma però troppo su questo, che è stato già visto, e al racconto di trama, aggiunge una storia personale. I combattimenti vengono mostrati, il sangue che continuamente sgorga a seguito dei colpi inferti ha la sua forza, visiva ed emotiva, assolutamente credibile. Ma soprattutto ben costruita, tanto da provocare sofferenza e disagio a uno spettatore più sensibile.

Quelle panoramiche sanguinarie e irruenti risultano essenziali, al racconto che procede nella sua violenza e al personaggio che perde il conto degli avversari uccisi. Davide, soprannominato Batiza non ha nulla a che vedere con quel mondo, sia come classe sociale che come personalità, almeno apparente. Eppure qualcosa nasconde anche lui: è presentato come il ragazzo dal viso angelico, con gli occhi ancora da bambino, catapultato all’interno di un mondo dove sembra impossibile adattarsi. È in questo contesto che si inserisce Minuto, allenatore dei suoi combattenti, che non può piangere quando non ce la fanno e dei quali gli interessano solo capacità, la mera sopravvivenza, per continuare a far sì che quell’ambiente vada avanti, che i combattimenti clandestini mantengano la loro più efferata attrattiva. Quello di Mani nude è un processo di disumanizzazione, dove si insegna e si impara a vivere in una realtà deformata e snaturata, alla quale degenerazione non c’è mai fine. Ma che è anche l’unica realtà possibile.
Performance che fanno la differenza tra personaggi le cui esistenze sono interdipendenti l’una dall’altra

Batiza e Minuto, una volta incontratisi non potranno staccarsi, destinati, da un filo invisibile, a rimanere legati, dipendenti, connessi. Sono eccezionali, oltre che efficaci, le interpretazioni di Gheghi, che continua a dar prova di essere uno dei migliori attori della sua generazione, e di Alessandro Gassman, che dalla commedia al dramma, funziona alla perfezione in ogni ruolo. Il viso di Gheghi è quello di un ragazzo perso, disorientato e smarrito, che dice “io non dovrei essere qui“, ma sembra anche suggerire che forse, se è finito in quel luogo brutale e furioso, un motivo è da ricercare in quella vita di benessere e comodità dal quale si percepisce, ammette lui stesso, di provenire. Gli occhi e il viso di Gassman invece trattengono collera e dolore, nella speranza che principi di obbedienza e disciplina sostituiscano quella ricerca di autocontrollo. Quello stesso che, nonostante tutto, di fronte ad amore e sofferenza, perde la sua stessa finalità.
Contrappasso, vendetta e castigo uno dell’altro, Batiza e Minuto sono due anime sole che vivono il proprio dolore in silenzio. Uno sperando che tra perdizione, euforia, divertimento e continue distrazioni, possa dimenticare. E l’altro che, nella solidità della sua indifferenza e del suo cinismo, possa sopportare senso di colpa, rabbia e afflizione. Mani nude è girato con abilità, con una padronanza di come muovere la macchina da presa che restituisce non solo senso e significato, ma campo visivo, con valore nel contenuto che si intende rappresentare e raccontare. Le stesse scene d’azione non sono mai solo azione; le “mani nude” e i corpi che si colorano di striature di un rosso difficile da far sparire, hanno sempre la loro derivazione narrativa. Così come quei rari momenti distesi, dove l’ossimoro di calma irrequieta è la pace massima superiore alla quale si può aspirare. Sono scene interrotte, che rimangono in bilico, dove la conclusione viene forse rimandata, o forse arrestato, o anche del tutto rimossa.
Mani nude: valutazione e conclusione

La fotografia di Mani nude, cupa come il film, è spesso in contrasto con le ambientazioni di quelli che sono i combattimenti d’elite, quelli che sembrano i più redditizi, in sale eleganti e lussuose, a volte con un pubblico ristretto. Un intrattenimento senza partecipazione. Mentre nei luoghi più chiusi, sudici e ristretti, riemerge la speranza che ci sia ancora possibilità di una vita fuori da quell’universo. Se all’inizio, nell’oscurità dell’anima e dei luoghi, c’è ancora una rievocazione e una traccia impercettibile di una luce del quale fidarsi, man mano anche quella si affievolisce. E c’è qualcosa, forse di peggio, oltre quella continua reiterata violenza tra esseri umani, che di umano sanno di non avere più nulla. Che ci sia, dentro di sé, la smania solerte di non morire, quella può bastare a farsi sentire, forse disumani, ma vivi ancora una volta.
La sceneggiatura, snella e asciutta, nelle poche battute, è sia poetica, che carica di un valore semantico. Non viene detto tutto, e questo è uno dei maggiori pregi del film. Per quanto cosa è accaduto venga spiegato, c’è una continua percezione, un sottotesto che ha poi la sua esplicitazione, ma al quale lo spettatore viene accompagnato, attraverso accenni e spie che vengono disseminate e che riescono comunque a portare a quello shock che all’empatia sostituisce altre sensazioni. Mani nude è un film che parla di espiazione. E dove la vera domanda è successiva: c’è la possibilità di perdono? Sia che questo derivi dall’interno o dall’esterno, perché alla fine è sempre doppio. E se Minuto e Badiza sono l’analogia contrapposta di un peccato dal quale non c’è assoluzione, allora è proprio in entrambi che perdonare e perdonarsi trova il suo più antico significato. Forse millenario e primitivo, ma sicuramente vero.
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