La Buona Uscita: recensione del film esordio di Enrico Iannaccone

La libertà, condizione tanto idealizzata e agognata dal genere umano, si esplicita lungo il filo sottile che divide la padronanza assoluta della propria vita dalla solitudine più desolante. Nel momento in cui l’individuo, alla ricerca della più pura ed autentica espressione di sé, cede anche solo per un breve istante ai ricatti dell’incertezza, ecco andare in frantumi ogni possibilità di godersi la vita senza vincoli, in favore dell’avanzare della terrorizzante e paralizzante paura di rimanere soli.
La Buona Uscita, primo lungometraggio del giovanissimo Enrico Iannaccone, già vincitore del David di Donatello nel 2013 per il cortometraggio L’Esecuzione, porta in scena il conflitto che affligge l’uomo bramoso di libertà alle prese con quell’inevitabile momento in cui si ritrova a fare il bilancio della propria vita. Ecco che allora, nella più dantesca metà “del cammin di nostra vita” incombe la “selva oscura” dell’età che avanza, portatrice di dubbio e paura, nemici di ogni realizzazione.

La Buona Uscita: la libertà come fuga vigliacca o coraggiosa accettazione di sé

Napoli ai nostri giorni: Marco Macaluso (Marco Cavalli) è un cinico ed arrogante imprenditore sull’orlo del fallimento, sapientemente schivato grazie all’ingenuità di un concittadino e ad un biglietto aereo per Trinidad e Tobago. Un posto in cui fuggire per ricominciare una nuova vita fatta su misura per quelli come lui: gente completamente priva del minimo scrupolo e sentimento. Prima di partire, l’uomo saluta Lucrezia (Gea Martire), un’avvenente sessantenne che, dopo aver vissuto una vita priva di vincoli e all’insegna dei piaceri della carne, cede alla tentazione di un matrimonio senza amore per l’incombente paura che l’avanzare dell’età la porti alla solitudine.
Due facce della stessa medaglia, Marco e Lucrezia, entrambi bramosi di libertà ma assolutamente opposti nel modo di affrontarla: l’uno con spregiudicata vigliaccheria e superficialità e l’altra solo in seguito ad una discesa negli inferi delle proprie insicurezze.

la buona uscita

Enrico Iannaccone debutta alla regia del suo primo film con un tema torbido e ricco di sfaccettature, ispirato (forse) dal suo background familiare (padre giornalista e madre psicologa) ma, soprattutto, dai grandi registi che dell’esplorazione degli abissi dell’umano hanno fatto un glorioso mestiere, come Haneke.
E non possiamo certo dire che ne La Buona Uscita non si noti quest’impronta, soprattutto nel mostrare i potenziali danni e conseguenze della repressione di sé, un’arma involontaria e mostruosa, che rende gli individui capaci delle più inaspettate meschinità.
Nel caso di Lucrezia, l’iniziale desiderio di sfogare sulla vendetta la propria incapacità di accettarsi per quello che è – con tutte le sue conseguenze- si scontra ben presto con la consapevolezza dell’inesorabile marciume del mondo circostante, in cui l’assenza della più elementare forma di moralità si acuisce a causa della mediocrità dilagante delle persone. Una dolorosa quanto illuminante presa di coscienza che le permetterà di non temere più la solitudine e di tenersi invece ben stretta se stessa, l’unica persona con la quale valga davvero la pena di vivere in questo mondo alla sbando.

La Buona Uscita: un esordio interessante e promettente

La regia di Iannaccone accompagna spettatori e personaggi all’interno di questa teatrale parabola della pochezza umana, sottolineando la vacuità dei rapporti umani con una tecnica basata su campo – controcampo tesa a sottolineare l’effettiva assenza di dialogo tra le persone, tutte impegnate ad esprimere i propri pensieri senza un reale interlocutore che li accolga. I personaggi sono caricati al limite del caricaturale, conferendo al film una  connotazione grottesca e drammatica per la spersonalizzazione a cui assistiamo, complice della sensazione che i protagonisti, anche quelli che si sentono più vincenti, stiano in realtà vivendo un incubo ad occhi aperti.
Assistiamo così alla ricerca e ottenimento di ogni personale buona uscita, ognuna delle quali assume una forma differente a seconda della persona a cui è riferita: la fuga per Marco, l’accettazione di sé per Lucrezia, beni materiali per il resto dei protagonisti.
Unico minimo comune denominatore la desolazione di una vita vissuta per sé, il cui orizzonte resta un promettente quanto minaccioso mare aperto: vasto, bellissimo ma privo di approdi.
Un film ricco di simbologie, a tratti straripante, talmente ricco di elementi da risultare forse non sufficientemente estroverso nel comunicare con lo spettatore ma, senza dubbio, uno dei più promettenti esordi degli ultimi anni.
La Buona Uscita arriverà al cinema il 5 maggio, distribuito da Microcinema; nel cast anche Andrea Macaluso, Enzo Ristucchi, Pino Iadenza, Gennaro Maresca, Luca Saccoccia, Peppe De Vincentis, Rita Corrado, Pasquale Fernandez, Umberto Longobardi, Giovanna Viaggiano Rossi, Gianluca Cammisa, Francesca Romana Bergamo.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8