Inception: recensione del film di Christopher Nolan

Fino a quale piano dei sogni riuscireste a spingervi? E una volta dentro, riuscireste a comprendere il labile confine che separa il sogno dalla realtà? Su questi interrogativi fa leva Inception, partorito dall’enigmatica mente di Christopher Nolan nel 2010. Un film che è terra di confine tra generi cinematografici, in cui lo spettatore può letteralmente perdersi all’interno di un ipotetico labirinto, ritrovandosi in un mondo che non è reale, ma ne riporta in tutto e per tutto le caratteristiche. Un mondo fatto di sensazioni, paure, emozioni in grado di materializzarsi, far gioire o, viceversa, morire.

Inception: labirinti onirici in cui il sogno dissacra la realtà

La pellicola sta per srotolarsi davanti ai nostri occhi, rapida e inafferrabile e Cobb (Leonardo DiCaprio) sembra aver vagato per mille miglia prima di ritrovarsi seduto faccia a faccia con un uomo anziano dai tratti asiatici. Ma come è arrivato? In una manciata di minuti tutto crolla e iniziamo a comprendere che siamo in un sogno; un mondo costruito per ingannare e forzare la mente.
È questa la specialità di Cobb e del suo team: intrufolarsi tra i meandri della mente umana al fine di soggiogarla e derubarla approfittando del momento del sonno, quello in cui le difese del subconscio si abbassano, spalancando le porte agli intrusi.
DiCaprio è nientepopodimeno che un ladro, raffinatissimo e infallibile, un topo che prima di svuotare gli appartamenti sa bene come costruirli nei minimi dettagli facendo in modo che sembrino reali, che la struttura regga e lasci intrappolato il soggetto, conducendolo in punta di piedi in un circuito dal quale non potrà uscire.

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Non è facile comprendere la trama di Inception; ogni spettatore potrebbe dir la sua proprio come si direbbe di un sogno; ognuno potrebbe trovare una chiave di volta che per altri potrebbe non avere ragione d’esistere. Basti sapere che il tutto parte da un “sogno condiviso”: i protagonisti, capeggiati da Cobb, sono incaricati da un importante imprenditore, Mr. Saito (Ken Watanabe), di intrufolarsi nella mente del giovane rampollo Robert Michael Fischer (Cillian Murphy), ereditario dell’impero creato dal padre (diretto rivale commerciale di Mr. Saito). La missione non consiste semplicemente nell’estrapolare un’idea, bensì nell’impiantarla, nel farla diventare virale, resistente a qualsiasi mutamento, centrale, capace di condizionare lo svolgimento stesso dell’esistenza.

“Un’idea. Resistente, altamente contagiosa. Una volta che un’idea si è impossessata del cervello è quasi impossibile sradicarla. Un’idea pienamente formata, pienamente compresa si avvinghia, qui da qualche parte.”

Il significato stesso del titolo dell’opera (Inception) equivale proprio a innesto e non manca nel film l’uso di una terminologia simile al mondo botanico, che ben riesce a comunicarci la sensazione di un corpo vivo che nasce, cresce e si sviluppa attingendo linfa vitale dalla quotidianità.

Una missione non usuale per Cobb e il suo fidato braccio destro Arthur (Joseph Gordon-Levitt), che stavolta dovranno ampliare il loro duetto introducendo nel team il falsario Eames (Tom Hardy) e l’aspirante architetto Arianna (Ellen Page). Ognuno di loro gioca un ruolo ben preciso all’interno del sogno e soprattutto ognuno di loro è dotato di un subconscio ben dettagliato: paure, ricordi ed emozioni di ogni genere si materializzano trasportandoci in città abitate da soggetti scontrosi e altamente sospettosi. Sfruttando questa prospettiva Nolan crea un film d’azione; un thriller ricco di sparatorie, inseguimenti, morti… e allo stesso tempo costruisce le basi per catapultarci in una pellicola di fantascienza in cui il viaggio non si limita a fluttuare avanti nel tempo ma nei tempi, quelli dilatati, incomprensibili e soggettivi, pur sempre dotati di un’equivalenza relativa ma al contempo ben precisa: cinque minuti nella realtà corrispondono a un’ora nel primo livello di un sogno e più si scende di livello più il tempo si dilata in maniera esponenziale, fino a raggiungere addirittura settimane e anni.

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Svegliarsi è il frutto di un’azione fatta di sincronie e segnali, un treno da prendere al volo, assicurandosi di non essere morti durante il sogno, il rischio è di finire in un eterno limbo, di vagare in un territorio perennemente a metà, come un incubo dal quale non si è in capaci di svegliarsi.

Il mondo dei sogni in cui ci trascina Nolan è artisticamente complesso e affascinante: macchine che corrono su strade rovesciate, corpi che fluttuano tra i corridoi in assenza di gravità, grattacieli che si sgretolano e città che fioriscono davanti alla riva; case che si allagano e casseforti che si aprono col pensiero, banchi che esplodono al vacillare di un’idea. Un mondo friabile e delicato, tenuto insieme dagli inganni complessi della mente umana.

Tra tutti i personaggi Arianna sembra rappresentare una sorta di alter ego del protagonista: è un’anima pura, una sognatrice in erba e ogni cosa per lei è nuova e accattivante. Ha esplorato i ricordi di Cobb e conosciuto il suo ricordo più grande: la proiezione della defunta moglie Mal (Marion Cotillard). La sua ombra lo perseguita, vietandogli di andare avanti nei suoi progetti metafisici e riportandolo sempre indietro nel tempo, in un ricordo in cui la sua mente si ritrova sperduta, incapace di staccarsi e proseguire.

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Una spremuta di sogni e aspettative mancate ci lascia comprendere quanto per un essere umano siano fondamentali entrambe le componenti, purché l’una non sovrasti l’altra.

È nella vita reale che si realizzano le condizioni, nel momento della veglia tutto si fa autentico, pesante, misurato, duraturo, realizzabile; nel sonno si arriva invece per caso, a vita iniziata, ignorando la porta d’ingresso e quella d’uscita, saltando i passi falsi, boicottando il cronometro, mettendo al comando il fine senza relazionarlo col mezzo per raggiungerlo. Se è vero che “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” è pur vero che quest’ultimi servono a far andare avanti il tempo e non ad ancorarlo a ricordi ammuffiti e immutabili.

La fine di Inception è un amuleto che ruota, ma non sappiamo se si fermerà. Continuiamo a ignorare dove ci troviamo, a rimanere scombussolati e profondamente scossi, ognuno certo di potersi calare in un universo onirico, d’ora in poi stando attenti a lasciare accesa la lampada della realtà fenomenica.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.4

Voto Finale