Intervista a Laura Bispuri, regista di Vergine Giurata

Laura Bispuri è la regista di Vergine Giurata, il film italiano che alla Berlinale 2015 ha conquistato positivamente la stampa internazionale. Primo lungometraggio dopo una serie di corti.
Con Passing Time vince il premio David di Donatello come Miglior corto e con Biondina viene premiata con il Nastro d’Argento come “Talento emergente dell’anno”. Importanti riconoscimenti ai quali si aggiungono nel 2015 premi internazionali: all’Hong Kong International Film Festival si è aggiudica il Firebird Award, il premio più prestigioso della “Young Filmnakers’ Competition”, la sezione principale della manifestazione; al Tribeca Film Festival di New York vince il premio Nora Ephron; al San Francisco International Film Festival riceve il Golden Gate New Director Prize.

Ma chi è Laura Bispuri? Lascio che sia lei a raccontarvelo.

Chi è Laura?
Una ragazza che mette nell’arte tutto ciò che cerca nella vita.

Registe donne nel nostro Paese scarseggiano. Credi che il nostro cinema sia un mondo maschile ancora non emancipato del tutto?
Credo che si stiano formando e ci sono già registe interessanti ma sono sostenute ancora molto poco dal nostro paese.

Laura Bispuri e Alba Rohrwacher

Dopo tanti cortometraggi, “Vergine Giurata” ha segnato ufficialmente il tuo debutto cinematografico. “Un film fisico”, come definito dalla critica. Cosa ti ha colpito di questa storia rispetto a molte altre tanto da sceglierla come soggetto per la tua opera prima?
Sentivo che era una storia originale, forte, che raccontava un mondo poco conosciuto e che mi dava molte possibilità: prima di tutto mettere molto di me stessa lì dentro, poi fare delle riflessioni importanti sulla femminilità in rapporto a identità e libertà e quindi di fare un film contemporaneo. E poi mi sono innamorata del personaggio di Hana/Mark!

Un aneddoto dal set.
Le montagne dell’Albania che ho amato tanto mi hanno fatto dei regali durante le riprese, tre regali: 1- la neve, la volevo e l’avevo scritta ma le riprese erano slittate e non poteva nevicare invece durante la seconda settimana di riprese ha iniziato a venire giù. Erano 30 anni che non nevicava in quel periodo ed è successo proprio il giorno prima della scena del funerale che io infatti volevo tantissimo girare con la neve. 2- in una scena mi servivano le capre ma quel giorno mi dicono che purtroppo era impossibile averle perché erano uscite e non sarebbero tornate prima di sera, insomma dopo tanta insistenza queste capre quel giorno non c’erano. Mi arrabbio, poi alla fine cedo e mi preparo a girare la scena senza capre e prima del ciak mi giro e vedo arrivare 100 capre tutte in fila verso di noi. 3- le bambine che fanno Hana e Lila da piccole sono sorelle e vivono su quelle montagne e durante i sporalluoghi sembravano aspettarmi sedute fuori alla loro casa.

In un’intervista rilasciata dopo il Festival di Berlino hai parlato del tuo attaccamento, e quindi di quello dei personaggi, verso l’Albania. Cosa ti attrae di questo Paese?
Un paese pieno di contraddizioni ma che mi è entrato dentro. Non so dirti in maniera razionale cos’è che mi piace, ci sono tante cose che non mi piacciono ma poi alla fine invece mi conquista dentro qualcosa. Ha una forza, un’asprezza che spesso cerco, ha qualcosa di ruvido che serviva al film e che anche io nella vita amo. Tutto ciò unito a una bellezza naturale impressionante. Quei luoghi mi hanno conquistato al livello istintivo più che riflessivo.

La donna che rinnega il proprio corpo e la propria femminilità per essere libera è un argomento più volte portato sul grande schermo, tra gli ultimi “Albert Nobbs” di Rodrigo Garcìa. Oltre al libro di Elvira Dones, dal quale è tratto il tuo lungometraggio, c’è un film in particolare che ti è stato d’aiuto nella scrittura?
No, abbiamo cercato di fare un film diverso da tutto, abbiamo seguito il nostro personaggio.

Chiudiamo questa intervista con qualche curiosità sull’Albania. Come vi ha accolto la gente del luogo? Cosa ti ha colpito di più della loro cultura, anche culinaria?
Ecco diciamo che a livello culinario le montagne sono un vero disastro, lì non c’è niente, ma davvero niente. Si mangia capre a tutte le ore e tutti i giorni, poi se mai la trota e le patate e un formaggio strano. Niente verdure e niente di niente. La gente ci ha accolto bene, io per due anni andavo e venivo per cui si erano un po’ abituati a me. Poi li abbiamo coinvolti nel film, diciamo che è andata bene!