Roma FF11 – La Tartaruga Rossa: recensione del film d’animazione targato Studio Ghibli

La Tartaruga Rossa è un lungometraggio animato di Michael Dudok de Wit, una coproduzione di Why Not Productions , Wild Bunch e Studio Ghibli, presentato alla Festa del cinema di Roma. Lo Studio Ghibli è celebre per aver prodotto titolo come Una tomba per le lucciole, Il castello errante di Howl, La città incantata e Porco Rosso, rispettivamente di Takahata e Miyazaki.

La Tartaruga rossa: un film d’animazione naturalista

La storia è confinata su un’isola deserta dove naufraga un uomo, tenta il riparo e poi la fuga con una zattera, ma una tartaruga rossa gli impedisce di scappare via, lo arpiona letteralmente all’isola e quando i due si scontrano lei, immobile e impotente, si tramuta in una donna bellissima che accompagnerà l’uomo fino alla morte.

La Tartaruga rossa è un film totalmente privo di dialoghi, con delle musiche perfette volte a far risaltare ogni rumore dell’isola, della natura, il mare, i passi, ogni suono è ben calibrato per rispettare anche il silenzio. Le scenografie sono state disegnate a carboncino su carta, prendendo come riferimento il reale movimento degli attori, ridisegnando sopra le loro pose e poi facendo delle integrazioni per ottenere tutti i colori in modo più puro possibile, con i dovuti effetti di luce e ombre, in alcuni casi quasi monocromatici.

La tartaruga rossa

Il regista Michael Dudok de Wit, che vinse un Oscar per il miglior cortometraggio di animazione con Father and Daughter nel 2001, firma un’opera che è anche il primo lungometraggio non giapponese commissionato dallo Studio Ghibli di Miyazaki.

La natura ha un ruolo centrale nel film e il suo lascito è determinante per lasciar fruire un messaggio denso e toccante. C’è una sorta di atemporalità all’interno del film, sottratta alle scene solo per mano dell’uomo. L’uomo è l’unico che cresce, si fonde con la natura, matura e deperisce, la donna, che è un essere qui non umano, non cambia, evolve come accade in natura, essendo grandemente più longeva rispetto all’uomo continua anche quando la sua vita si ferma.

La Tartaruga rossa e la fusione dell’uomo con la natura

L’apparizione della tartaruga e l’idea di creare una fusione con l’uomo non è nuova come storia all’interno della tradizione giapponese, e la sua presenza è pacifica, redatta in modo reverenziale, è un animale fermo, lento, eppure maestoso, quasi immortale. Il rosso contribuisce al contrasto visivo di un mondo totalmente verde e azzurro, e il disuso dei dialoghi è fondamentale.

La tartaruga rossa

L’idea del rispetto e del patrimonio naturale primeggiano all’interno dell’opera di de Wit poiché l’assenza di parole permette che a dialogare con lo spettatore sia l’opera stessa, in una sorta di silente cosmogonia, in cui uomo e natura si fondono e portano avanti un dialogo personale con mezzi differenti, un’intimità che è poi generazionale: la donna e l’uomo avranno un figlio, subiranno i duri effetti di uno tsunami e lo stesso poi deciderà di abbandonare l’isola per affrontare una vita forse diversa, accompagnata da tartarughe marine come custodi di un patrimonio in divenire.

A parlare sono gli alberi, è il mare, è tutto nei suoni, nei silenzi, è direttissimo, puro, e non basterebbe una sola parole per descriverci al meglio tutto ciò che evoca anche solo un colore, e di come esso venga meno nelle ore notturne, un’assenza di luce che si riflette nella fruizione del tempo come sentore della ciclicità della vita sulla terra.

La Tartaruga Rossa uscirà in Italia nel 2017.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 5
Emozione - 3.5

3.8