Lasciami entrare: recensione del film di Tomas Alfredson

Lasciami entrare è un film horror svedese del 2008 diretto da Tomas Alfredson, adattamento del romanzo di John Ajvide Lindqvist, con i giovanissimi Kåre Hedebrant e Lina Leandersson.

Oskar (Kåre Hedebrant) è un ragazzino introverso e schivo che vive nella periferia di Stoccolma la cui tranquillità è sconvolta dal susseguirsi di omicidi e dai ritrovamenti di cadaveri sempre in circostanti inspiegabili. Oskar è succube di storie di questo tipo, ritaglia i giornali e si invaghisce dell’operato di questo presunto maniaco che attira le sue prede senza lasciare alcuna traccia.

Parallelamente vive una vita piuttosto turbolenta, a scuola viene preso di mira dai bulli della sua classe che lo spintonano e lo deridono quotidianamente. Lui non fa una piega, vive solo di sé, della musica e del mistero che sconvolge il suo sobborgo.

Una sera, mentre esce fuori di casa tra nevischio e gelide mani che provano a scomporre il cubo di Rubik, conosce la sua nuova vicina, Eli (Lina Leandersson), una ragazzina pallida che cammina quasi sempre scalza e che gli si avvicina curiosa di quell’essere biondissimo e solo che si perde nei suoi ricami mentali.

La Svezia dimostra di avere una carattere tenebroso e Stoccolma la capitale dell’horror

Lasciami entrare

I due diventano amici, o meglio presenti l’uno nella vita dell’altro, i loro incontri si fanno sempre più frequenti e Oskar comincia a notare cose sempre più controverse ma che non lo fanno mai allontanare da lei, anzi rimane affascinato da questa ragazzina inquietante dagli occhi grandi che non sorride mai.

La verità viene espressa più o meno segretamente, lei si nutre di sangue, ne ha bisogno, è la sua malattia, la sua vergogna più grande, la sua natura e l’unico modo per sopravvivere. La sua natura è particolare, viene spesso scambiata erroneamente per un ragazzino, ma ci sono tante altre verità che pesano ma mai realmente per entrambi, per questi due esseri soli che si avvicinano e non si giudicano, non scappano anche davanti anche agli orrori più inspiegabili.

Lasciami entrare è una pellicola libera dagli stereotipi vampireschi che caricano i bloodsucker della loro aurea mitologica fatta da bare, mantelli e aglio all’uscio. La cosa che balza all’occhio dello spettatore è il monocromatismo quasi disturbante, i colori sono gelidi e opachi, il tutto per rendere i fiotti sangue, che non mancano mai all’appello, più vividi anzi forse sono la cosa più viva della pellicola giacché i suoi personaggi, soprattutto adulti, sembrano perdersi continuamente nei fumi dell’alcool.

Lasciami entrare

Oskar ed Eli si comprendono e si trovano ma con un disamore totale, l’amore è un anti amore

La Svezia dimostra di avere una carattere tenebroso e Stoccolma la capitale dell’horror, o meglio le sue periferie, che ha avuto negli ultimi anni un rigurgito poliziesco che ha portato centralità ad una narrativa di genere detective fiction grazie a scrittori come Läckberg, Larsson o Kepler.

Ma Lindqvist non è stato precisamente fedele alla linea, la sua vocazione ha un po’ fatto stranire i seguaci del vampirismo tanto in voga e tanto odiato, ci siamo talmente nutriti di queste storie da andare incontro ad un’indigestione del buon cinema dai denti affilati, ma la cosa positiva è che Lasciami entrare non somiglia minimamente agli innominabili polpettoni mainstream che ci hanno infiocchettato come avant-garde o cambio di rotta poiché cambia tutto sempre in base al pubblico che guarda.

Saghe come Twilight o Vampire Diares, lungi dal giudicare due prodotti totalmente differenti dalla pellicola in questione, sono opere con un proprio verso e una direzione funzionale al pubblico adolescente, e checché se ne dica cambia in modo determinante la fruizione e i parametri con i quali ci si raffronta con il genere, che guardato in termini assoluti possono anche avere un proprio senso in fin dei conti, purtroppo spesso sopraffatto dall’attore, l’attrice e l’opulenza hollywoodiana.

Lasciami entrare

Una delle scene finali di Lasciami entrare è particolarissima poiché determinata da inquadrature ferme e precise, volte a metaforizzare la violenza e la capacità omicida di Eli

Quel che rende un gioiello opalescente Lasciami entrare è in fin dei conti l’anti eroismo dei due personaggi che vivono l’ingresso nell’adolescenza e l’abbandono dell’infanzia quasi con indifferenza, non cambia nulla ai loro occhi, non c’è contatto, non ci sono pulsioni ma solo il desiderio e l’auspicio di aver trovato una persona dissimile dal mondo e con la solitudine che li divide dagli altri.

Oskar ed Eli si comprendono e si trovano ma con un disamore totale, l’amore è un anti amore, lo spettatore è conscio di essere a contatto con due persone che si invaghiscono l’uno dell’altra, senza mai peccare di consuetudine, e che si uniscono metafisicamente nella loro emarginazione totale.

Nessuno dei due ha amici o parenti che provino davvero a stare con loro, Oskar ha anche la sua personalissima bolgia di ragazzetti che lo insultano, lo provocano e talvolta lo picchiano a scuola e, a rincarare la dose dei suoi dispiaceri, nessuno ad aiutarlo o a notare i suoi disagi. L’unica a darle man forte è Eli, a suo modo e con le sue caratteristiche da vampirella in stato di sopraffazione plasmatica.

Una delle scene finali, in piscina, è particolarissima poiché determinata da inquadrature ferme e precise volte a metaforizzare la violenza e la capacità omicida di Eli, che prova un certo risentimento se non odio verso se stessa, che va girando sempre con abiti consumati e sporchi, i capelli in subbuglio e il viso smorto e quegli occhi vitrei che colgono in Oskar la particolarità del suo essere ma che in fondo teme di non poter frequentare per l’abominio della sua natura.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.2