Nahid: recensione del film di Ida Panahanden

Una piccola realtà sconosciuta ai più prende vita nel Nuovo Cinema Teheran, dove racconti, idee e storie realizzati nella parte orientale del mondo ed estrapolati poi da diversi festival, si ritrovano insieme per celebrare il cinema iraniano tra passato e presente. Quattro pellicole – di cui tre opere prime – che affrontano l’attualità artistica dell’Iran attraversando con coraggio tutti gli stati della società trasposta poi sul grande schermo, personaggi-specchio delle condizioni umane di molteplici personalità in dinamismo sulla loro terra, consapevoli della velocità degli eventi e “Connessi al mondo attraverso i mezzi di comunicazione di massa che utilizzano aggirando le tante limitazioni messe in atto da un potere politico che cerca di controllarne la forza e la voglia di cambiamento”.

Nuovo Cinema Teheran – Il cambiamento dello stato della donna in Nahid

Nahid

I due protagonisti di Nahid passeggiano lungo il mare

Ed il cambiamento è palpabile nei film presentati per l’occasione, a partire dalla struggente storia di Nahid, giovane donna divorziata volenterosa di mantenere con le proprie forze sé e suo figlio a costo di voltare le spalle ad una promessa di sincero amore. Troppi sono i debiti da cui Nahid (Sareh Bayat) non riesce a liberarsi, sempre alla disperata ricerca di soldi e ridotta a mentire alle persone che sente più care, quest’ultime all’oscuro dei reali tormenti della donna e perciò frustrati dalla sua inafferrabilità. Non sarà certo il matrimonio temporaneo con l’onesto Masoud (Pejman Bazeghi) a placare l’inquietudini di Nahid, in lotta con il padre di suo figlio, irresponsabile e disadattato, per la custodia del bambino.

Nahid – Quando la libertà è un diritto e non un capriccio, ma mancano comunque le emozioni

Nahid

Nahid è interpretata da Sareh Bayat

“Io e Arsalan” afferma la regista Ida Panahanden, nominando il suo co-sceneggiatore “abbiamo avuto un’infanzia molto simile. Le nostre madri ci hanno cresciuto senza la presenza dei nostri padri, in una famiglia matriarcale. Noi testimoniamo la loro battaglia per farsi accettare dalla società tradizionale iraniana come donne indipendenti. La personalità delle donne che hanno dovuto combattere è totalmente differente da chi invece ha avuto una vita normale. Lottano con la speranza di conquistare una vita migliore, per se stesse e per i propri figli”. A testimonianza della forza del gentil sesso, il film di Panahanden si pone come bandiera dell’indipendenza delle donne iraniane, mal giudicate da una comunità che mantiene alti i vecchi principi dove non è lasciato spazio alla libertà individuale femminile, intesa da troppi come un capriccio e da troppi pochi come un diritto. Tuttavia, nel tentavo di delineare un carattere solido e determinato, quello che risulta dal film è una protagonista aspra e insolente: Nahid costruisce da sola la propria prigione, ingabbiandosi con palpabile insofferenza in un’esistenza composta da bugie e soldi da restituire, menzogne che costeranno caro all’intero nucleo famigliare. L’empatia non trova motivazioni appropriate per decollare, anzi, rimane saldamente attaccata al suolo senza dare cenni di possibili emozioni al quale aggrapparsi; un piatto, lungo, quasi interminabile lungometraggio che si lascia alle spalle la certezza di esser come quelle impronte che gli attori si lasciano dietro sulla bagnata sabbia, pronto ad esser coperto dal mare e dimenticato. Nessun personaggio riesce a catturare l’attenzione del pubblico ed è così che lo spettatore si ritrova annoiato, se non addirittura infastidito, dall’animo egoisticamente anticonformista della donna, in continuo conflitto con gli altri e con la sua interiorità.

Come Nahid è incapace di ascoltare, così il film è inabile nel rappresentare le frustrazioni di una vittima che rigira continuamente le carte a suo piacimento, creando in questo modo un’opera fredda alla quale risulta estremamente difficile accostarsi. Presentato allo scorso Festival del Cinema di Cannes nella sezione Un Certain Regard, con la rigorosa fotografia terrosa tipica dei lavori levantini, Nahid fallisce nel suo intento di ergersi a nuovo ideale cercando di porre le proprie basi sulla scrittura e sullo sviluppo di una buona storia, un’opportunità sprecata per poter raccontare il vero valore delle donne.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 1.5
Emozione - 2

2.3