Squid Game: Arturito de La Casa di Carta la definisce “una serie fascista”

Squid Game e La casa di carta sono produzioni molto simili, ma Enrique Arce (Arturito nella serie spagnola) non ne riconosce le similitudini.

Ad Arturito de La Casa di Carta non è piaciuta la serie sudcoreana Squid Game 

Squid Game è la serie del momento, la serie dei grandi numeri, la produzione straniera che è riuscita a sbaragliare l’agguerrita concorrenza fatta di serie tv Netflix come Bridgerton. La serie racconta di un mortale concorso a premi in cui, l’ultimo a rimanere in vita, si porta a casa un bel gruzzoletto di soldi. Sempre di soldi si parla, ma in maniera diversa rispetto a un’altra delle produzioni estere più apprezzate e viste su Netflix, ovvero la spagnola La Casa di Carta, in cui un gruppo di reietti mette in atto la “rapina del secolo”.

Ora, uno dei protagonisti della serie spagnola, critica pesantemente la serie sudcoreana Squid Game, definendola addirittura fascista. L’attore in questione è Enrique Arce, interprete di Arturito, l’ostaggio della prima stagione poi divenuto un complice della banda di rapinatori capitanata dal Professore. Visto l’imminente arrivo degli episodi conclusivi de La Casa di Carta, la maggior parte del cast sta girando l’Europa per partecipare ad alcuni eventi promozionali. A Roma abbiamo ospitato Pedro Alonso (Berlino), Belén Cuesta (Manila) ed Enrique Arce (Arturo). I tre attori sono stati ospiti di Radio Deejay, dove hanno potuto parlare anche della serie sudcoreana.

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“Sono convinto che Squid Game e La Casa di Carta siano agli opposti” dice l’interprete di Arturito. “La nostra racconta la lotta contro il sistema, l’altra è una battaglia per la sopravvivenza, per il denaro e il potere. Parla di persone pronte a perdere la vita per un premio. Se la nostra è una serie di sinistra, l’altra secondo me è una serie fascista”. Da questa descrizione fornita da Enrique Arce, non sembrano esserci grosse differenza tra le due serie. Anche ne La Casa di Carta i protagonisti lottano per la sopravvivenza e per il grosso premio finale. Che poi rapinino la Zecca di Stato intonando Bella Ciao è un discorso a parte.