Dime cuando tú: recensione del film Netflix di Gerardo Gatica

L’esordio alla regia del produttore messicano Gerardo Gatica, racconta con ironia e freschezza la normalità delle pene d’amore in un viaggio in Messico alla scoperta della vita oltre lo schermo del computer. Dime cuando tú è ora disponibile su Netflix.

Prosegue inarrestabile il cammino a braccetto tra Netflix e le produzioni in lingua spagnola che, negli ultimi tempi, sta letteralmente invadendo il catalogo di proposte della piattaforma. Stavolta si vola, letteralmente, a Città del Messico, con una commedia romantica agrodolce su un viaggio alla scoperta delle proprie radici per tornare ad assaporare, anzi per godere per la prima volta, dell’autenticità della vita in barba ad una società multitasking e ipertecnologica. Esordio alla regia di Gerardo Gatica, già produttore di numerosi film, cortometraggi e serie tv messicane, Dime cuando tú disponibile dal 23 aprile, segna il ritorno della regina delle telenovelas Veronica Castro dopo La casa de las flores, qui anche nelle vesti di madre di Michelle, direttore della fotografia del film e migliore amico di Gatica.

Dime cuando tú: la lista delle cose da fare

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Il film si apre con una serie di istantanee panoramiche su alcuni luoghi simbolo della Los Angeles odierna, per poi gradualmente aprirci le porte di una stanza, quella di Pepe (José Carlos Ruiz), riverso sulla scrivania a firmare una lettera che si rivelerà essere il punto d’inizio di un itinerario personale e formativo del nipote Guillermo/Will (Jesús Zavala). Quella sera il giovane compirà gli anni, ma ad attenderlo nella festa a sorpresa organizzata dalla nonna Inés (Veronica Castro) non ci sono suoi coetanei, ma pochi parenti emigrati anni fa dal Messico, che lì negli States hanno parzialmente realizzato il sogno americano condito da una forte componente nostalgica per il loro paese, separato da un muro e dalla vastità simbolica del deserto. Quella festa dall’animo agée la dice lunga sulla vita sentimentale e sociale di Will, oberato dal lavoro in ufficio e da uno stile di vita a detta del caro nonno “preoccupante”. Pepe morirà per un malore improvviso nel deserto della bassa California, non prima di aver aperto il cuore al nipote:” devi imparare ad essere, non ad avere”, gli dice poco prima di andar via.

Ma la saggezza degli abuelas supera anche la morte, e a un anno dalla dipartita, Will trova per caso il famoso taccuino e, finalmente, si convince di depennare dalla lista del nonno tutte le attività da fare e i luoghi da vedere di Città del Messico, città natale e luogo del cuore dell’intera famiglia. Nella capitale, l’americano verrà accolto in uno degli appartamenti di Dani (Ximena Romo), aspirante attrice teatrale naif e determinata a non innamorarsi più che, va da sé, farà breccia nel cuore di Will scombinando i piani del giovane, insicuro quanto determinato a farla entrare nella propria vita, forse, anche solo come amica.

Sembianze normali e ironia sopra le righe

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L’amore tra due imperfetti, la chimica e poi la razionalità, le pene d’amore e quindi la corsa furente per chiarirsi e darsi una possibilità; Dime cuando tù, di certo, si muove fra cliché prevedibili del genere rom-com ed enfatizzazioni ironiche e iper giocose sulle pene d’amore con sequenze musical e inframezzi che frizzano la finzione per affidarsi a interpretazioni in play back del protagonista. Eppure l’aria volenterosa di un racconto ‘normale’, su una love story fresca e goffa, riesce a tratti a conquistare e sorvolare su una sceneggiatura non proprio audace.

A Città del Messico, inquadrata in appartamenti dal décor liberty e passeggiate notturne su strade della movida, spetta il compito di prestarsi all’ipotetica nascita di un sentimento e nel contempo di dar vita ad un itinerario interiore di scombussolamento, a suon di mariachi e sbornia da mescal, della vita asettica e incagliata del protagonista, al quale il regista (e anche autore) affida un’aria da looser sornione e bonario con la testa tra le nuvole, alle prese con consigli d’amore sbagliati e una costante sensazione di non essere all’altezza. Perseguitato dalla nuvola di Fantozzi da un cordone ombelicale con la nonna, in Will probabilmente si rispecchiano le sembianze di molti giovani figli di seconde generazioni d’immigrati e di altrettanti giovani che dai loro avi hanno ancora molto da imparare e apprendere quel che è il sale della vita, uno su tutti: lasciarsi andare e innamorarsi.

 

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6

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