Cosa resta della rivoluzione – recensione del film di Judith Davis

Il debutto alla regia dell’attrice francese Judith Davis dal 27 agosto al cinema

Dai produttori de Il giovane Karl Marx arriva nelle sale Cosa resta della rivoluzione una commedia francese diretta e interpretata da Judith Davis sulle utopie degli ideali rivoluzionari che la protagonista imperterrita crede ancora di poter applicare alla società contemporanea.

Angèle è una moderna Don Chisciotte: urbanista trentenne a Parigi è perennemente arrabbiata e frustrata come tanti suoi coetanei sfruttati e sottopagati. Cresciuta in una famiglia di attivisti di sinistra è l’unica insieme al padre a credere ancora fermamente in quegli ideali e a illudersi di poter ancora cambiare il mondo. Il conflitto tra la sua fede politica e la realtà è inevitabile. Un confitto che ritrova anche con il resto della sua famiglia: con la madre che ha abbandonato “la lotta” ed è andata a vivere in campagna e con la sorella che è diventata una donna d’affari.

Cosa resta della rivoluzione, cinematographe.it

Cosa resta della rivoluzione – L’anacronismo di Angèle

Angèle torna a vivere con il padre Simon, maoista che ha perso l’amore della sua vita perché troppo immerso in un mondo che non c’è più, in una stagione, quella delle lotte, del Sessantotto, della rivoluzione, che è solo un lontano e utopistico ricordo. Anche Angèle è fuori dal tempo: insieme alla sua migliore amica manifesta per strada contro le banche decantando poesie di Walt Whitman e istituisce un piccolo collettivo con il quale si illude di poter cambiare la società finendo solo per parlare di “aria fritta”. Litiga con il cognato “vittima del sistema” e dopo l’ennesima delusione lavorativa, quando si vede scavalcare dalla generazione che ha “divorato” i trentenni, sbotta in un monologo delirante.

Angèle combatte senza risultati contro la “maledizione” della propria generazione inerme contro la crisi globale e contro i valori borghesi che hanno preso il sopravvento, come è successo alla madre stanca di combattere come la figlia e il marito contro i mulini a vento.

Uno sguardo alienato ed eccessivo

Cosa resta della rivoluzione, cinematographe.it

Tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del 2008 della stessa Judith Davis ispirato dalla sua esperienza familiare – anche lei come la sua protagonista proviene da una famiglia di sinistra che ha vissuto il Sessantotto – Cosa resta della rivoluzione indaga attraverso le esperienze intime e personali di una giovane donna la nostra società e il mondo nevrotico e precario delle nuove generazioni guardando al passato, alle lotte sociali, a quello che si sognava e a quello che non si è realizzato. Anche i più affermati come Noutka, sorella di Angèle, e suo marito, dietro l’apparenza serena, sono infelici e insoddisfatti.

Rivendicazioni giuste quelle di Angèle che l’attrice, regista e sceneggiatrice Judith Davis riporta sullo schermo con esasperata ironia, facendosi carico della rabbia delle nuove generazioni attraverso una commedia agrodolce nella quale ogni aspetto della società sembra fallato: il lavoro, la famiglia, le relazioni, l’amore. Uno sguardo troppo alienato, anacronistico ed eccessivo per immedesimarsi completamente nella protagonista che prende a calci i bancomat e disegna diti medi sulle vetrate delle banche. Un impegno politico quello di Angèle che sembra una caricatura infantile del Sessantotto come dimostra anche il collettivo che organizza, incapace di confrontarsi su questioni concrete. Quello che resta della rivoluzione – e del film – è disorientamento e amaro in bocca per una generazione che non riesce a risollevarsi.  Ma una flebile speranza finale c’è sempre.

Nel cast anche Malik Zidi, Claire Dumas, Simon Bakhouche, Mélanie Bestel e Mireille Perrier. Dal 27 agosto nei cinema distribuito da Wanted.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Recitazione - 3
Fotografia - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.5