Biografilm 2023 – Colette e Justin: recensione del film

Un documentario sulla storia del Congo che riflette sulle contraddizioni fra memoria individuale e collettiva.

Il lungometraggio di debutto di Alain Kassanda, Colette e Justin ha trovato casa al Biografilm Festival 2023.

Colette e Justin Cinematographe.it

Il film è un documentario di memoria, cioè un lavoro che parte dai ricordi personali della famiglia dell’autore, in particolare dei nonni materni, Colette e Justin. Però la storia della famiglia di Kassanda si intreccia inevitabilmente e inesorabilmente con quella del suo paese d’origine, cioè il Congo. Justin infatti fu senatore nel momento storico successivo alla conquista dell’indipendenza dal Belgio (1960), ottenuta dal Congo grazie alla lotta politica portata avanti da Patrice Lumumba. Lumumba per il regista ha rappresentato, come per molti anticolonialisti in tutto il mondo, un punto di riferimento simbolico molto forte. Il cortocircuito che sta al centro del lavoro di Kassanda consiste nel fatto che Justin fu senatore in quota Kasa-Vube, conservatore nazionalista che si opponeva a Lumumba e che avversava l’unificazione, tanto da scendere a patti col Belgio e con le multinazionali straniere che volevano riconfermare i diritti di sfruttamento minerario sul paese.

L’immagine del potere e il potere dell’immagine filmica

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L’intero documentario, costituito da interviste ai nonni e filmati di repertorio, si configura come un dispositivo di rievocazione storica, oltre che come catalizzatore di ricordi familiari. Nel cinema di questo tipo la questione della ricerca della verità, o meglio di una verità, è centrale. Si tratta non tanto di stabilire fatti e colpe, quanto di esporre il meccanismo rievocativo, determinato dalle immagini di una Storia che si frammenta in tante piccole storie di vita. Questo ha come obiettivo ultimo quello di ricostruire una narrazione alternativa rispetto a quella propagandata da chi in passato deteneva il monopolio della comunicazione. Un simile processo di ricostruzione è reso ancora più problematico dal fatto che quelle immagini appartengono per lo più agli oppressori, vengono da archivi europei, da quello dello Stato belga in particolare. Sono le immagini del dominio bianco, di cui il nonno di Kassanda è stato servitore – la tribù dei Baluba, da cui provengono Justin e Colette, fece parte delle élite che venivano usate dai colonizzatori per gestire la regione del Kasai. Ovvero si tratta di immagini che riattivano una memoria affettiva in aperta opposizione a quella storico/ideologica del regista. Tale scontro allora espone il meccanismo del cinema, o del fare cinema, nella sua ambiguità ideologica.

Colette e Justin. Un atto politico.

La settima arte appare, da un lato, vettore del privilegio economico e sociale. L’intera storia familiare di Kassanda si contrappone all’ideologia anticolonialista che si esprime nel suo cinema. Eppure tale ideologia è frutto proprio di quella storia: il regista può fare cinema grazie anche ai mezzi economici da essa generati. Dall’altro lato Kassanda, attraverso l’esposizione diretta della propria figura, in quanto autore che si autorappresenta, può riconoscere e rendere evidente questo cortocircuito, così da indirizzare il suo lavoro, e la sua ricerca di verità, verso la riarticolazione del dispositivo filmico stesso in strumento di liberazione, della memoria individuale e dalle memorie coloniali storiche. Il rapporto soggettivo fra suono, archivio, fotografie e immagini girate da Kassanda viene esplicitato. Colette e Justin diventa un lavoro teorico sulla traslazione della memoria privata in quella storica e su come il dispositivo di dominio dell’occhio meccanico possa essere rielaborato e riconvertito in nome di un’ideologia. Il continuo ritornare sulla propria storia familiare, per un verso, nega la possibilità di una sintesi di tipo marxista che permetta all’autore di superare i limiti soggettivi di quella pratica artistica che vorrebbe farsi atto politico collettivo. Per un altro verso, però, il riconoscimento di questo limite fa del film di Kassanda una messa in discussione del dispositivo filmico stesso e dunque, in questi termini, rende il suo lavoro un paradossale atto politico. Cioè nell’esibizione dell’impossibilità di una capacità oggettiva del cinema di arrivare a un’unica verità e nella conseguente esibizione da parte del regista del primato dell’ideologia sulla ricerca della prima, viene dichiarato un approccio che intende il documentario non come la ricerca dell’oggettivo. Il documentario di Kassanda è un atto politico perché rivela il carattere soggettivo di ogni narrazione, la relativa parzialità di ogni verità, quindi la necessità di abbattere l’idea stessa che un’unica narrazione del reale, indipendentemente da chi la produce, sia possibile o auspicabile.

Colette e Justin: valutazione e conclusione

Colette e Justin Cinematographe.it

l montaggio del lavoro è molto ben studiato. La fotografia è nella media. La regia è molto consapevole nelle proprie contraddizioni ideologiche e dunque risulta onesta e pregnante.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.9