Le colline hanno gli occhi: la storia vera alla base del film

Le colline hanno gli occhi, il film del 1977 di Wes Craven, è basato su una storia vera. La stessa a cui si rifà Alexandre Aja nel remake del 2006.

La paura. Il gorgo in cui si cade quando si è immersi nell’orrore. Questa è la materia su cui lavora il cinema horror; gli occhi sbarrati, la bocca deformata per lo spavento, le mani che coprono gli occhi per salvarsi dalla visione, questo è l’urlo di Wes Craven, un urlo spaventoso e disumano, lo stesso di Le colline hanno gli occhi, film del 1977, – che segue L’ultima casa a sinistra – in cui l’uomo è gettato nelle proprie angosce, le più intime e così è in grado di raccontare gli incubi più nascosti della Nazione. La narrazione del fuori dalla norma, della debolezza del corpo dilaniato, distrutto, fatto a brandelli, è il centro di tutto e il sangue sgorga a fiotti. Non si nega la visione del marcio, anzi il vulnus si infila in ogni anfratto, in ogni angolo, in ogni piega e emerge ribollendo dalla terra. In Le colline hanno gli occhi, sia nell’originale del ’77 sia nel remake del 2006, di Alexander Aja, non c’è solo questo ma anche la forza di una storia che si narra da molto tempo da cui Craven, e quindi Aja, prendono le mosse, e della Grande Storia.

Le colline hanno gli occhi: la storia dei Bean

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Le colline hanno gli occhi, un cult del cinema horror, ponendosi all’interno del panorama cinematografico internazionale, fonde cinema e “realtà”; Craven racconta una famiglia in viaggio verso San Diego, su una roulotte. Durante i km macinati, Big Bob, il padre, decide di fare una deviazione ma si perde e si ritrova in una vecchia stazione di servizio per chiedere informazioni, l’addetto lo invita a tornare sulla strada principale perché rimanere lì è pericoloso. Lui però insiste ma le conseguenze sono terribili, fanno un incidente e restano intrappolati sulle colline, abitate da un gruppo di uomini deformi che vogliono il loro sangue, è un gruppo superstite di cannibali. Il film trae ispirazione da una storia giunta fino a Craven, quella di Alexander Sawney Bean, un personaggio vissuto nel sedicesimo secolo. Alexander si rende conto di non essere portato per seguire le orme del padre, giardiniere, e decide così di trasferirsi in Scozia con la sua compagna. La sua nuova casa è una grotta in cui vive per venticinque anni e lì diventa papà di otto figli maschi e sei figlie femmine. I Bean, che tanto ricordano i mostri di Le colline hanno gli occhi, sono bestie perverse, alla ricerca di vittime, passano le loro notti ad aggredire viandanti e commercianti, aiutati da alcuni dei loro figli, e dai loro 32 nipoti; uccidono, cannibalizzano e i loro figli e nipoti sono il risultato di una serie di incesti.

La famiglia agiva nell’ombra e nella criminalità – proprio come i mostri di Craven che guardano con il binocolo, osservano da lontano e seguono la famiglia di Bob – , si amplierà fino ad arrivare a quarantotto persone. Uscivano di notte per aggredire, smembrare e divorare, conservando i resti. Agiscono indisturbati fino a quando un uomo riesce a scappare, opponendo resistenza e i killer vengono messi in fuga da un gruppo di persone che stavano passando lì vicino. Proprio grazie a questo episodio vengono presi e condannati alla pena massima dello squartamento.

Le colline hanno gli occhi: un film che prende le mosse dalla realtà

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Che sia semplice leggenda o pura realtà, la storia dei Bean ispira Craven e i suoi cattivi sono proprio come loro, brutali, violenti, spaventosi e perversi – pensiamo alla scena dello stupro. Il deserto del Nevada prende vita e da esso fuoriescono dei mostri terrificanti, che hanno poco dell’umano, sono frutto di mutazioni dovute alle radiazioni atomiche. Sono uomini e donne messi all’angolo – non come i Bean che hanno trovato dimora in quella grotta –  e proprio per questo si lanciano su questa famiglia che rappresenta tutto ciò che loro non hanno. Stuprano e uccidono le donne, rubano il figlio, massacrano i loro maschi. Quella storia pone le basi per costruire il marcio che c’è in Le colline hanno gli occhi, per far scorrere tutto il sangue che esce dagli arti, dai corpi della famiglia di Bob, per mettere al centro le sevizie che toccano i protagonisti. La realtà è presente anche attraverso le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki e la centrale di Chernobyl. Il film mette dunque insieme cannibalismo e radioattività.

Aja, come nell’originale, mette l’una contro l’altra due famiglie – distruggendo l’istituzione Famiglia -, simbolo delle luci e delle ombre della Nazione: l’una è l’America “buona”, rappresentata dal nucleo felice – Big Bob, il conservatore guerrafondaio, la moglie Ethel, il figlio Bobby e le due figlie Brenda e Lynn, sposata con Doug e il loro figlio -, l’altra è quella barbara dei cannibali mutati a causa dei test atomici durante la guerra fredda in Messico. Ciò che nasce dal loro scontro è il risultato della stessa America che come mostrano Craven e anche Aja, genera bestie che poi deve combattere. L’opera originale ha inevitabilmente una forza che il remake non ha anche a causa della temperie culturale in cui è nata la prima e anche a causa del periodo felice che stava vivendo il genere horror. Siamo nel turbine della paura e il pubblico viene portato nella violenza, quella più agghiacciante e irrazionale. Il nemico, il male è fuori di noi ma è anche dentro, è umano e sovraumano, è il bestiale oltre e prima dell’uomo.

Le colline hanno gli occhi fa paura perché racconta l’uomo, la società, la Nazione con tutte le loro luci e le loro ombre

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Le colline hanno gli occhi, grazie a Craven e per certi versi anche ad Aja che racconta di una città dei test atomici, diventa un horror politico che, in un modo o nell’altro terrorizza proprio perché affonda le mani nella realtà, più o meno romanzata. Fa paura perché ci sono l’uomo, la società, ormai a pezzi (in Aja le speranze, i valori degli anni ’50 ormai sono solo un pallido ricordo, e nelle villette a schiera, con le classiche famiglie sorridenti e felici sono solo manichini, la maggior parte dei quali messi in posizioni sessuali come per denigrare la sacralità della famiglia), e la Nazione, gli ingredienti più rivoltanti e spaventosi del racconto orrorifico. La vita dei Bean, le centrali, le esplosioni vengono utilizzate come vettori di un racconto che si costruisce da Craven a Aja – che porta nel racconto gli uomini mutanti – e nel film del 2006 il regista, proseguendo e concludendo il lavoro di Craven, fa qualcosa in più: mostra il Male, causato da un mondo ammalato e che ammala.