Stefano De Felici parla di Gioja22: un corto “politico quanto poetico”
Intervista al regista di Gioja22, vincitore del premio Cinematographe.it al CortoCircuito FIlm Festival
Con il suo cortometraggio, Gioja22, Stefano De Felici ha saputo compiere un gesto artistico tanto essenziale quanto dirompente, capace di scolpire un silenzio eloquente dentro lo sguardo dello spettatore. Il suo lavoro, coraggioso, lucido e umanissimo, è stato premiato con il Premio Cinematographe.it alla prima edizione del CortoCircuito Film Festival, riconoscimento conferito non solo per l’eccellenza narrativa e formale dell’opera, ma anche per la profonda tensione civile che l’attraversa.
Conoscere Stefano, premiarlo e poi intervistarlo è stato per noi un autentico piacere. Il suo sguardo sul mondo – tanto politico quanto poetico – ci ha ricordato che il cinema può ancora farsi atto, responsabilità, gesto di bellezza e resistenza.
In questa intervista, ci guida dietro le quinte del suo processo creativo, tra impeto visionario, sperimentazione multimediale e un’urgenza etica che non cede mai il passo alla retorica.
Perché, come ci insegna Gioja22, “restare umani” è oggi l’atto più rivoluzionario di tutti.
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La nostra intervista a Stefano De Felici: la voce silenziosa di chi resiste con empatia

Com’è nata l’idea di Gioja22? C’è stato un evento, un’immagine o un’intuizione iniziale che ti ha ispirato?
“L’idea è nata in post-produzione, mentre stavo guardando il girato realizzato una domenica mattina come semplice testimone. Il gesto di Carlo – l’atto di scalare una gru per lanciare un messaggio di solidarietà – ha generato in me un cortocircuito emotivo. Ho sentito una profonda difficoltà nel comprendere come, in un mondo attraversato da tanto dolore e sofferenza, si possa rispondere con un gesto che non urla rabbia, ma amplifica empatia e umanità. Questo pensiero mi ha colpito nel profondo. Mi sono chiesto: come può il mio lavoro contribuire a sostenere e diffondere un messaggio così potente? Da lì è nato Gioja22: come tentativo di dare forza a quell’atto d’amore civile attraverso il linguaggio del cinema.”
Come si è sviluppato il progetto cross‑mediale Stay Human – Gioja22 che unisce graphic novel e documentario?
“Il progetto nasce con l’obiettivo di attraversare il reale e il virtuale per generare un cortocircuito capace di innescare empatia e solidarietà. Ho filmato il gesto di Carlo il 12 gennaio 2020 e da lì ho iniziato a costruire un racconto che includesse sia un documentario breve, sia una graphic novel. Il documentario mostra l’azione concreta, mentre la graphic novel la reinterpreta in chiave simbolica e immaginifica. Ho voluto intrecciare la storia di Carlo – l’uomo che scala – con quella di Jamila, una bambina salvata in mare mentre cercava di raggiungere le coste italiane. Due corpi in movimento, due traiettorie opposte, in due luoghi di frontiera. Due viaggi, alla ricerca della vita e della speranza, oltre le barriere reali e immaginarie che impediscono il grido ‘Stay Human’.
Grazie all’ abilità e la sensibilità di Oscarito, autore dei disegni, le storie di Carlo e Jamila iniziano nella graphic novel Stay Human e proseguono nel documentario Gioja22: libro e film sono due atti della stessa opera, in dialogo tra loro. Il film è visibile tramite il QR code stampato alla fine del libro. Il progetto è stato presentato in due performance live che fondono parole, immagini, musica e cinema. Queste performance, accompagnate dalla musica dal vivo dei Phase Duo (Eloisa Manera al violino e Stefano Greco all’ elettronica, sono gli autori anche della colonna sonora del film), immergono lo spettatore in un’esperienza multimediale completa presentata al Terre di Tutti Film Festival (Canelli, Asti) e al FringeMI di Milano nel giugno 2025“.
L’idea di sviluppare il progetto attraverso un corto, in pochi minuti, è stata una limitazione o una scelta stilistica?
“Ho scelto di essere sintetico per provare a essere il più incisivo possibile. Ho volutamente levato dalla timeline tutte le parole che avevo registrato per dare la possibilità di concentrarsi sull’azione. L’unica frase che ho lasciato è quella di un testimone che dice in camera: ‘Ma questo è un pazzo…’ riferendosi a Carlo mentre scalava. Nella Graphic Novel la stessa frase la dicono anche gli scafisti che vedono Jamila e la sua famiglia allontanarsi in mare dalla costa libica su una carretta del mare, anche nel racconto per disegni ho lasciato solo questa frase, praticamente è un Silent Book. É stato un processo lungo quello di scegliere tutte le parole da non esprimere, è stato come cercare di assemblare, costruendo un silenzio, come immaginare di costruire una navata, dove l’ architettura crea un vuoto, di fatto un ambiente, che si può attraversare.“
Cosa ti ha ispirato a scegliere proprio un gesto di disobbedienza civile – la scalata di un grattacielo – come nucleo narrativo del tuo corto?
“Per me il film racconta un gesto tanto politico quanto poetico. Un rito liberatorio rispetto al dolore che si prova quando si entra in contatto con la sofferenza di milioni di persone nel mondo, afflitti da guerre, fame e povertà, e propiziatorio nel voler favorire l’empatia tra le persone. Tutti noi proviamo il desiderio di urlare forte se subiamo un’ ingiustizia ma pochi riescono ad alzare la voce davanti alla sofferenza altrui e ancora meno sono coloro che riescono ad agire. Carlo non parla durante il film ma tra le frasi che mi ha detto durante la lavorazione c’è una citazione della scrittrice Anne Herbert che trovo condensi buona parte dello spirito di questo progetto: ‘Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso’.“
Hai firmato regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: come gestisci questo coinvolgimento totale nelle fasi produttive?
“Come un’ossessione. Ogni fase – dalla scrittura al montaggio – è per me un dialogo continuo con il materiale, con ciò che il film vuole essere.”
Perché Milano, tra palazzoni specchiati e boschi verticali?
“Milano è una città che incarna le contraddizioni contemporanee. È verticale, ambiziosa, veloce. Ma anche fragile, esclusiva, a volte cieca. Ambientare lì l’azione significava confrontarsi con un’identità urbana in bilico tra modernità e disumanizzazione. La gru che svetta davanti ai grattacieli diventa così un punto di osservazione e di provocazione.”

In che modo il tema della migrazione dialoga con l’atto simbolico di Carlo?
“Entrambi mettono in discussione i confini. Carlo sfida quelli urbani, visivi, simbolici, Jamila quelli geografici e sociali. La loro è una doppia resistenza, in orizzontale e in verticale. Due persone che, in modi diversi, chiedono di essere viste. Interpreto il gesto realizzato da Carlo, come un rito liberatorio, che nel montaggio del film arriva dopo il salvataggio di Jamila in mare.”
“Restiamo umani” è la frase chiave del corto: puoi approfondire il messaggio che vuoi trasmettere con questo monito?
“Restiamo umani è molto più di uno slogan: è una citazione di Vittorio Arrigoni, volontario e attivista italiano ucciso a Gaza nel 2011. È un invito a non arrendersi al cinismo, a non cedere alla semplificazione o alla paura. Significa mantenere uno sguardo aperto, empatico, critico, soprattutto nei confronti di ciò che ci è distante. È una frase semplice, ma oggi potentissima. Che suggerisce un punto di vista alternativo a quello che assumiamo di default quotidianamente: essere solidali.”
Qual è la riflessione che speri susciti nei passanti (e nel pubblico) l’innalzamento dello sguardo, sia fisico che metaforico?
“Spero che provochi una rottura nella routine visiva. Guardare in alto è un atto fisico, certo, ma anche mentale: ci costringe a uscire da noi stessi, ad allargare la prospettiva. Vorrei che lo spettatore sentisse quel vuoto sotto i piedi e si chiedesse: Che cos’è davvero importante? “
Il corto ha ricevuto numerose attenzioni e premi, per ultimo il premio Cinematographe.it al Cortocircuito Film Festival di Milano, che bilancio trai da questa accoglienza critica?
“Un bilancio profondamente gratificante. Più di 10 premi e 50 proiezioni, Gioja22 ha viaggiato molto, in Italia e all’estero, ed è stato capito in modi diversi, ma sempre sentito. Ogni premio è stato una conferma, ma anche un dialogo. Significa che il messaggio è passato, che ha toccato qualcosa di vivo.”
Hai in programma un percorso distributivo per festival o rassegne future? E come pensi si possa ampliare la visibilità dell’opera?
“Ad oggi ci sono due proiezioni fissate, una tra il il 23 e 26 luglio a Patù (Lecce) al Terrae International Film Festival e l’altra il 28 agosto alla decima edizione del Kastellorizo International Documentary Festival.
Inoltre spero che grazie alla performance e alla graphic novel il progetto riesca a svilupparsi secondo traiettorie non convenzionali. Vorrei che Gioja22 non rimanesse chiuso nei festival, ma che diventasse strumento di confronto anche nei contesti meno cinematografici”.
Questo gesto di protesta “in verticale” può diventare metafora per altre azioni artistiche civili: hai già pensato a progetti futuri su questa linea?
“Sì, sto sviluppando un nuovo lavoro legato all’arte pubblica e all’ambiente, sempre tra performance civile e narrazione visiva. Credo in un cinema che possa contaminarsi con l’attivismo e con lo spazio urbano. E che sappia ancora sorprendere, anche solo per un istante.”
Quali evoluzioni narrativo‑formali – tra cinema, grafica, interattività – ti piacerebbe esplorare dopo l’esperienza multimediale di Gioja22?
“In queste settimane sto aspettando una selezione per fissare l’anteprima del mio ultimo progetto Phononauta, un cortometraggio realizzato con la Lampo Tv e il mio socio Federico Mazza. É un esplorazione spaziale a bordo di un astronave violino, alla scoperta delle mutazioni cosmiche. Ultima azione di un progetto multimediale e interattivo composto da una mostra interattiva, una videoinstallazione, un podcast e un percorso interattivo online.
Mi affascina l’ibridazione. Mi piace esplorare installazioni interattive, webdoc, esperienze immersive in VR. Credo che il racconto non debba essere prigioniero di un formato. L’ importante è che ci sia un cuore autentico. E che ci spinga, sempre, a guardare più in alto. Attualmente sto finalizzando un’ esperienza VR che si chiama Minuscolo: il progetto nasce dall’osservazione degli ambienti naturali che circondano l’abbazia di Chiaravalle, a Milano. In quell’ area si sta sviluppando un processo di trasformazione molto interessante, legato alla presenza del grano e alla riscoperta dell’ hortus conclusus restaurato accanto al Mulino. Da lì è partita la mia ricerca per ricreare ambienti digitali da esplorare come se fossimo minuscoli abitanti di quella zona: formiche, cavallette, api. L’ idea è offrire una prospettiva inedita, intima e poetica sulla natura e sul paesaggio urbano che la circonda. Stiamo lavorando insieme a tanti educatori e progettisti della cooperativa Koinè.
Parallelamente stiamo distribuendo un progetto a metà tra cinema e videoarte, Ciuf Ciuf, di cui l’ anteprima è avvenuta al Filmmaker Festival a Milano a novembre 2024.
Nato grazie ad un incontro fantastico avvenuto nella scuola civica di cinema Luchino Visconti dove ho potuto studiare, insieme ai Masbedo e le curatrici di Careof in collaborazione con Filmmaker Festival, come perdersi nell’ espanso. Una ricerca a cavallo tra teatro, danza e cinema ambientata a Milano. Questo cortometraggio fa parte di un progetto più ampio sul lavoro dell’ attore, iniziato nella corte di Via Gentilino dove risiede Il Centro Studio Attori, una realtà di alta formazioni che grazie alla sua fondatrice Irina Galli, illumina la città con scintille di energia creativa, portando pensiero e azione nel cuore e la testa di attori, registi e performer di tutta Italia, che si ritrovano qui per formarsi e incontrarsi.”
È possibile interagire con il percorso multimediale che ha dato alla luce Phononauta attraverso il link.