Virgilio Villoresi e il cast su Orfeo: un film visionario fatto di carta, inchiostro, luci
Un viaggio nell’immaginario artigianale di Orfeo, tra sogni, cinema analogico e la voce viva dei suoi creatori, al cinema dal 27 novembre
Nel cuore sospeso e artigianale che abita Orfeo di Virgilio Villoresi — film Fuori Concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia e Film della Critica SNCCI, nei cinema dal 27 novembre distribuito da Double Line — c’è lo stesso stupore che si respira incontrando i suoi creatori. Li abbiamo raggiunti per una conversazione che è presto diventata un piccolo viaggio dentro l’immaginario del film: un’opera che rilegge Poema a fumetti di Dino Buzzati, la prima graphic novel italiana (1969), trasportandone sulla scena le atmosfere sospese, il desiderio, l’enigma della vita e della morte, e quell’eleganza malinconica che permea tutta la poetica dell’autore.
Seduti intorno allo stesso tavolo, Virgilio Villoresi, e gli interpreti Giulia Faenza e Luca Vergoni, insieme alla costumista Sara Costantini, hanno rievocato per noi la genesi di un progetto tanto visionario quanto fisico, costruito con materia vera: carta, inchiostro, luci, sagome, stratificazioni visive che sembrano respirare. L’atmosfera dell’incontro rispecchia quella del film: un equilibrio raro tra artigianalità e invenzione, tra rispetto per Buzzati e libertà immaginifica. Dalla scrittura alla realizzazione delle scene più complesse, dai riferimenti artistici che hanno nutrito l’opera fino alla folgorazione del primo incontro con il poema originale, l’intervista si apre come un varco nel laboratorio creativo di Orfeo — un luogo dove tutto vibra, tutto si muove, tutto diventa racconto.

Intervista a Virgilio Villoresi, Giulia Faenza, Luca Vergoni e Sara Costantini
Vorrei partire da alcune immagini del film che ricorrono spesso: Orfeo ed Euridice vengono mostrati attraverso riflessi e superfici specchianti, quasi come fossero personaggi inafferrabili — proprio come il loro amore. Come hai costruito queste immagini per farle diventare parte integrante del racconto?
Virgilio Villoresi: “Il gioco di specchi e riflessi è centrale nel film. Era anche un modo — sempre artigianale, magico — per far apparire lei. L’apparizione di Eura è stata realizzata totalmente in camera, direttamente sul set. Abbiamo posizionato un vetro inclinato a 45° davanti alla macchina da presa, creando una sorta di dissolvenza incrociata. Anche sul set c’era questo sapore di magia, di fantasmagoria. E devo dire che ci siamo divertiti tantissimo a realizzarlo”.
E invece per quanto riguarda voi, Giulia e Luca: come avete lavorato sul corpo dei vostri personaggi? Soprattutto in un set come quello di Orfeo, così denso di artigianalità e costruito come un vero teatro di posa, cosa sempre più rara nel cinema di oggi.

Giulia Faenza: “È stato fondamentale per me lavorare in un set così tangibile e fisico, circondata da oggetti che sembravano quasi vivi. Soprattutto per il mio personaggio, che è una ballerina di danza classica, il corpo era tutto: ho studiato la coreografia del Lago dei cigni, poi montata con la vera madre di Virgilio, in una performance bellissima. Anche il fatto che non ci fosse audio in presa diretta mi ha aiutata tantissimo. Girando in pellicola, poi, il lavoro diventa ancora più minuzioso: i movimenti devono essere perfetti, studiati. E penso che Luca abbia fatto un lavoro ancora più impegnativo, con la lotta contro varie figure e creature, interagendo con personaggi fantastici”.
Luca Vergoni: “Il lavoro fisico è stato importante, ma molto stimolante”.
V.V.: “Ti sei anche stirato, diciamolo”. (ride)
L.V.: “Sì, è vero”.
In quale momento?

V.V.: “Era la scena dello stagno”.
L.V.: “Esatto, uno scontro fisico vero e proprio. Dallo storyboard la scena era diversa; poi, sul set, l’abbiamo resa più adrenalinica. Sono come Tom Cruise, mi faccio gli stunt da solo! (ride) C’è stata una caduta, ma niente di serio: sono riuscito a girare lo stesso. Ma questo per dire che il lavoro fisico è stato fondamentale”.
V.V.: “Hai lavorato molto di immaginazione”.
L.V.: “Sì, è vero. È stato un lavoro molto diverso dal solito, mi ha richiesto uno sforzo immaginativo particolare. Giocando col corpo, con lo sguardo, dovevo imparare a calibrare bene distanze e profondità dello spazio. Piano piano abbiamo aggiustato il tiro. E il fatto di girare con una sola camera ha reso tutto ancora più impegnativo”.
V.V.: “Però devo dire che siamo stati bravi con gli agganci”.
Soprattutto per la continuità tra uno stacco e l’altro.
V.V.: “Sì, sì. Eravamo noi stessi le segretarie di edizione”.
G.F.: “E poi abbiamo girato in due anni e mezzo. Quindi iniziavamo in un modo e poi continuavamo in un altro”.
Questo film celebra l’arte in tutte le sue forme. È un incrocio di discipline: design, animazione, architettura, pittura, performance. Per quanto riguarda i costumi, Sara Costantini ha realizzato un lavoro straordinario. Che tipo di dialogo c’è stato tra voi e come avete costruito l’identità visiva dei personaggi?

Sara Costantini: “Il mio rapporto artistico con Virgilio è sempre stato basato su un feedback costante, con stimoli continui da entrambe le parti. Avevamo tante immagini che ci ispiravano e che volevamo far entrare nel film. Siamo partiti dal Poema a fumetti di Buzzati, cercando di trasporre i personaggi principali nel miglior modo possibile. Poi abbiamo lavorato sui personaggi inventati, caratterizzandoli in parte secondo il modello di Buzzati e in parte attraverso la nostra immaginazione, attingendo al nostro bagaglio culturale e artistico. Dentro c’è di tutto: il cinema sperimentale del primo Novecento, i costumi da cabaret… È come se avessimo seguito un filo conduttore legato a una certa epoca, che però volevamo anche tradire, creando un periodo storico che non esiste davvero. Quando guardi Orfeo non capisci esattamente da cosa ci siamo ispirati, ma tutto funziona perfettamente: sembra davvero un sogno”.
E parlando di sogno: il film sembra costruire un vero ecosistema onirico, grazie alle molte influenze artistiche — dall’Art Nouveau al realismo magico, dall’animazione alle arti visive. È come se il film stesso fosse un grande sogno cinematografico.
V.V.: “Anche nella prima parte del film, che è quella più realistica, abbiamo cercato una regia fatta di sguardi, di momenti sospesi. Per quanto riguarda decorazioni e ambienti, credo che quello sia un riflesso naturale delle cose che ho amato nella vita. Molti oggetti di scena sono oggetti della mia collezione personale, cose che avevo a casa e che ho semplicemente portato sul set. Ci siamo divertiti persino a ridisegnare le finestre ispirandoci ai palazzi francesi del primo Novecento. È stata una festa. C’è tutto: ricordi, passioni, influenze dei designer che mi hanno formato — da Portaluppi a Fornasetti. Potrei dire che Orfeo è stato un viaggio nel profondo di tutto ciò che ho apprezzato nella vita”.