Marco Bocci si racconta tra film, famiglia e progetti futuri: “amare non è una cosa naturale”

Intervista all’attore e regista, padrino della nona edizione del Love Film Festival di Perugia

Padrino della nona edizione del Love Film Festival di Perugia, diretto da Daniele Corvi, rassegna volta a valorizzare l’anima e il territorio umbro, è stato l’attore e regista Marco Bocci che è nato proprio in Umbria, a Marsciano, e ha un legame profondo con le sue origini: “Fa totalmente parte della mia esistenza”, ci ha spiegato, “ho tanti ricordi legati all’Umbria che sono indescrivibili. E quando mi capita di ritornare, come in occasione del Love Film Festival, ripenso sempre al fatto che fino a qualche anno fa per fare il mio mestiere bisognava per forza andare via, invece ora c’è un’importante film commission, ci sono festival di cinema, e questo mi rende felice e mi emoziona”.

Marco Bocci, cinematographe.it

Marco Bocci, tra i suoi ruoli più noti il commissario Scialoja in Romanzo Criminale – La serie e il vicequestore Calcaterra in Squadra antimafia, è reduce dall’uscita in sala del suo secondo film da regista, La caccia, con protagonisti Laura Chiatti, Pietro Sermonti, Filippo Nigro, Paolo Pierobon e Peppino Mazzotta, dopo l’interessante esordio A Tor Bella Monaca non piove mai.

Abbiamo parlato con Marco Bocci del suo lavoro di autore e interprete, delle sue ispirazioni e dei progetti futuri.

La caccia è una parabola nera che non offre consolazioni, che parla della cattiveria e della violenza spesso latente nella nostra società, perché ha sentito il bisogno di raccontare la parte più oscura di noi?
Non c’è una visione totalmente pessimista nei confronti della società e dell’individuo, è chiaro che c’è sempre un istinto di sopravvivenza, ma quello che volevo raccontare io è quanto sia fondamentale insegnare l’amore sin da bambini. Sembra scontato ma sapere amare non è una cosa totalmente naturale. La caccia racconta la storia di quattro bambini che non hanno vissuto l’amore, ma anzi “un amore perverso” per assurdo, da parte di un padre che cercava di insegnare loro a vivere attraverso l’istinto di sopravvivenza che è quello del predominio, è quello del più forte che vince sul più debole, è quello proprio della caccia”.

Marco Bocci, cinematographe.it
Marco Bocci al Love Film Festival di Perugia con Giovanni Piscaglia, regista vincitore del Grifone d’oro per il documentario Perugino – Rinascimento Immortale, e con Daniele Corvi, direttore artistico del festival

Un altro tema del film è la memoria, i protagonisti hanno subito un trauma nel passato che ha condizionato tutta la loro vita, lei ha dichiarato che questa suggestione è nata da un ricordo che cercava con fatica di riportare alla mente, ma forse, come nel caso dei suoi personaggi a volte sarebbe meglio non ricordare…
Il concetto è proprio quello, ci possono essere dei ricordi chiari oppure latenti e sfocati che condizionano le nostre vite più di quanto ne possiamo essere consapevoli. A volte si fanno anche anni di psicoanalisi per scoprire parti del nostro carattere che vengono da eventi del nostro passato che abbiamo rimosso, quindi in me c’era la curiosità di raccontare questi personaggi che cercano in tutti i modi di dimenticare qualche cosa che ha condizionato la loro vita, quell’evento che li ha stravolti, è chiaro che a volte non basta solo dimenticare, perché cresciamo essendo parte di una certa esperienza”.

Anche ne La caccia come nel suo primo film, A Tor Bella Monaca non piove mai, parla di una famiglia…
Il tema della famiglia mi appassiona tanto. Nel primo film si trattava di una famiglia affiatata, una famiglia amorevole dove le problematiche scattavano per le difficoltà che incontravano a vivere al di fuori, nella società. Qui invece le dinamiche sono diverse, è una famiglia borghese, non ci sono problemi legati alla società, ma ci sono conflitti proprio nella gestione dei rapporti familiari, dove c’è un amore latente che non viene minimamente dichiarato, che non viene insegnato, e che genera insicurezze, paure, e c’è un segreto tenuto per anni che poi riemerge nel finale”.

Marco Bocci, cinematographe.it
Una scena del film La caccia

Come autore che cosa la ispira, cosa fa nascere in lei la necessità di raccontare una determinata storia?
La curiosità molto spesso, le domande che mi faccio, ci sono delle cose nella vita che mi accadono e che mi danno una sorta di ispirazione. Poi è chiaro che da quell’ispirazione elaboro delle dinamiche conflittuali amplificandole. C’è la volontà di raccontare, quasi come fosse una valvola di sfogo, soprattutto quando mi accadono cose che penso che siano problematiche non solo per me, ma per l’ambiente nel quale viviamo, per la nostra società, mi piace raccontarlo a più persone possibili nella maniera in cui so farlo e quindi attraverso delle storie che si trasformano in questi film”.

E da attore come sceglie i suoi personaggi?
Prima di tutto devo appassionarmi ai personaggi che interpreto al di là del progetto, al di là di che tipo di film o serie sia, deve essere un personaggio che in qualche maniera mi affascina sia nel bene che nel male, può essere un eroe positivo, un eroe negativo, però deve avere una chiave psicologica che mi incuriosisce, che mi dà la forza di inventarlo. Quando si lavora come attore cerchi di trasformare righe, carta, parole, descrizioni in qualcosa di concreto, e per questo va fatto un grande lavoro, se non c’è curiosità, se non c’è stimolo è complicato”.

Marco Bocci: “Romanzo criminale, un successo progressivo”

Dal 2008 al 2010 ha interpretato il commissario Scialoja nella serie di culto Romanzo criminale che possiamo dire che ha cambiato la serialità in Italia, all’epoca come ha vissuto questa rivoluzione e quel grande successo?
Eravamo un gruppo di giovanissimi attori, compreso anche il regista Stefano Sollima, che sentivano che stavano per fare qualcosa di importante ma non c’era un metro di paragone prima. E quindi avevamo la consapevolezza che sarebbe stato qualche cosa di nuovo ma non avevamo minimamente idea se potesse essere apprezzato oppure no. Quello di Romanzo Criminale è stato un successo progressivo, è stata una serie che lentamente poi ha aperto la strada a una nuova serialità italiana. Allora le tv private avevano un canale soltanto, non avevano un battage pubblicitario così importante come adesso, e quindi era un ambiente limitato, fare 250 mila spettatori all’epoca era importante per una tv privata, la generalista si muoveva su milioni di telespettatori. Quindi non c’è stato uno stravolgimento di vita improvviso, è stato progressivo, c’è stato tempo per maturare ogni cosa”.

Marco Bocci, cinematographe.it

Le piacerebbe girare una sua serie?
Sì, mi piacerebbe molto, ci sono molti progetti di serialità ai quali sto pensando, ma ora sto lavorando su altre cose più imminenti.

E dove la vedremo prossimamente?
In una nuova serie per Sky che uscirà a ottobre/novembre che s’intitola Unwanted, girata da Oliver Hirschbiegel, una serie internazionale che mi vede protagonista. E poi per quanto riguarda i miei progetti adesso sto scrivendo e per fine 2024, inizi 2025 cominceremo le riprese del mio nuovo film”.