Intervista a Daniele Ciprì: “Il Cinema è raccontare l’uomo”

Una lunga e interessante chiacchierata con Daniele Ciprì su ciò che il cinema era ed è e molto altro!

Nato a Palermo, il 17 agosto 1962, Daniele Ciprì è uno di quei professionisti capaci di destreggiarsi tra i mille sentieri e le mille facce del cinema. Con il collega Franco Maresco ha creato il meglio di quello straordinario contenitore post-moderno, metaforico e sperimentale chiamato Blob, il celebre programma di Rai 3 creato da Enrico Ghezzi, per poi stravolgere la storia della televisione italiana con Cinico Tv.

Regista, montatore, sceneggiatore, direttore della fotografia, docente, giurato tra i più “ricercati” dai Festival del nostro paese, Daniele Ciprì si è destreggiato tra il cinema, il teatro e la televisione. Tra le sue opere ricordiamo Era una volta, È stato il figlio, La Buca, Totò che visse due volte, Il Ritorno di Cagliostro e Lo Zio di Brooklyn (gli ultimi tre in collaborazione con Franco Maresco). Si è aggiudicato un David di Donatello per la Miglior Fotografia nel 2010. Costantemente votato alla sperimentazione, così come alla riscoperta del vero cinema, è il Direttore Artistico di Corto Dorico, Festival e concorso internazionale in quel di Ancona, l’unico in Italia che promuova e si interessi solo ed esclusivamente al cortometraggio, così come al cinema di impegno sociale e alle opere prime. Ed è proprio da questo Festival, svoltosi dall’1 al 9 dicembre, che parte la nostra intervista.

Daniele Ciprì cinematographe

Daniele Ciprì, La XIV edizione di Corto Dorico da lei creato, l’unico festival italiano dedicato ai cortometraggi, è arrivata ai titoli di coda. In qualità di Direttore Artistico come valuta quest’edizione?

“Esperienza assolutamente molto positiva, il successo del cortometraggio dipende dagli spettatori, e poche altre volte ho visto sale così stracolme. Risulta palese che c’è un grande interesse da parte della nuova generazione per voler raccontare nuove storie, e ci tengo a precisare che c’è anche una grande qualità, non solo quantità.
Cortometraggi? Io li chiamo piccoli film, per me sono un’occasione assolutamente irripetibile, perché servono a creare un’occasione di confronto, a farsi conoscere, a porre le basi per un futuro nel lungometraggio. Ma lo ripeto: il corto è una cosa a sé. Personalmente ho sempre pensato che dovrebbe esistere il piccolo film e il lungo film. Guardate all’estero, lì c’è una qualità strepitosa, in un’ora e mezza puoi sperimentare una quantità incredibile di esperienze, vivere 3, 4 iter diversi.”

Quest’anno al festival avete avuto ospiti illustri come Elio Germano, Omar Rashidm, Giuseppe Lanci, Ruggero Deodato, Piera Detassis o Liliana Di Donato. In più vi è stata l’anteprima mondiale di A Ciambra, l’altra faccia della storia di Paolo e Jonas Carpignano che concorre agli Oscar come Miglior Film Straniero. Cosa ha significato per Corto Dorico e chi sogna di avere in futuro?

“È importante perché offre al pubblico la possibilità di approfondire molti aspetti, di sentirsi coinvolto in un percorso di analisi. Ma voglio essere chiaro, sono stati gli ospiti a notare questa cosa, a rimanere così colpiti da questo momento di condivisione con il pubblico. Bisogna riconoscere a Elio e agli altri ospiti, di cercare in tutti i modi di far tornare il cinema tra le persone, con le persone, per le persone. Il loro è del resto un cercare di aggiornarsi, di sposare il tutto con la società, con la ricerca della verità…molti professionisti cercano quindi di aiutare a creare attenzione, più che di giocarci in una sorta di circo autoreferenziale. E’ un confronto anche per noi professionisti, non solo per il pubblico.”

La penultima giornata ha visto sul palco lei con Deodato, per parlare dell’immaginario. Cosa ha rappresentato e cosa rappresenta per Daniele Ciprì, all’interno del suo percorso professionale?

“Ultimamente mi è successo di rifletterci. Ho fatto un percorso nel quale ho avuto la fortuna di collaborare negli anni con personalità del calibro di Roberta Torre, Renato De Maria, Claudio Giovannesi, Matteo Rovere, Sabina Guzzanti, Ascanio Celestini, Marco Bellocchio e tanti altri…è un concetto che ho sviluppato per tutta la mia carriera. Ho presentato al Bobbio Film Festival Surreale Provvisorio, riflessioni sull’immaginare, in collaborazione con gli studenti di Fare Cinema 2015. Io sono convinto che il cinema deve essere più legato all’immaginario, devi comunicare alle altre persone per coinvolgerle nella tua visione.

Come con le fiabe, tu immaginavi, dovevi farlo, non le avevi di fronte. Per immaginare però bisogna basarsi sul vecchio cinema, perché era il migliore nel guardare la realtà per poi modificarla.
Pensiamo per esempio a Cannibal Holocaust. Ok certo, era folle! ma geniale, perché moralizzava, ci parlava della realtà della nostra società, stesso discorso per Don Siegel ed il suo L’Invasione Ultracorpi, la lunga serie Ai cofini della Realtà, ora che ci parla di questo abbiamo Black Mirror.”

Si è parlato molto anche di commistione di generi. Come giudica Daniele Ciprì la recente riscoperta del cinema di genere in Italia? E, aggiungo, qual’è a suo avviso lo stato di salute del cinema del nostro paese?

“Che ben venga Il Primo Re su Romolo e Remo, spero esca, è un modo per provare con una generazione che è ben rappresentata per esempio da Matteo Rovere e il suo Smetto quando voglio. Mi piace anche molto ciò che sta facendo Angius Bonifacio, con il suo Perfidia, o con saGràcia così grottesco e comico. Tutti i grandi del cinema si sono cibati del cinema di genere, basta pensare a Scorsese o Coppola, anche per loro era una parte fondamentale.”

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“Credo che oggi abbiamo bisogno nel cinema di una imprenditoria cinematografica sana, non quella falsa e grassa dei cinepanettoni. Non è cinema quello, non è neppure commedia, è un fast food, televisione da grande schermo. Gli unici che salvo sono Ficarra e Picone, perché rispetto agli altri rivendicano un’identità precisa, in fondo sono sempre due palermitani, come Franco e Ciccio. Che bravi che erano, sopratutto finché hanno collaborato con Lucio Fulci , erano straordinari quando c’era lui.
Ma non basta fare il genere, bisogna costruire un nuovo modo di parlare dell’uomo, delle vite umane, ed è in questo che spesso i produttori hanno una pessima azione sugli autori e attori.

C’è qualcosa che non va. Noi eravamo liberi, volevamo essere liberi, eravamo produttori di noi stessi, la libertà ti fa crescere.”

“Dovremmo partire dalla scuole, non ci sono più i cineclub, le nuove generazioni sono lontane dalla cultura cinematografica, dobbiamo ricreare una nuova ondata di entusiasmo. In fondo alla base del cinema, dell’arte, ci sta lo scambio di idee, sensazioni, di professionalità. Ed è importante garantire la qualità. Pensi che a Corto Dorico, su 500 titoli ne prendiamo 7 e basta. C’è sempre di base quindi una selezione di un certo tipo. Quest’anno ha vinto Il Vangelo secondo Mattei, è un testo coraggioso, un film raccontato in un altro modo, con una sospensione un umorismo mimico ed espressivo, con un Flavio Bucci straordinario.
Ha delle cose molte interessanti. I giovani ed il loro coraggio verso un cinema di riflessione, non solo cinema di spettacolo, il cinema deve avere più anime. Scuole.

Ormai in sala non c’è più confronto, è tutto un usa e getta…”

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Forse che il cinema attraversa un momento di evoluzione? Di cambiamento?

“Parlavamo dell’immaginare. Non è un concetto complicato, eppure io credo che oggi manchi. Oggi c’è tutto il cinema è basato su un calcolo monetario e commerciale nel cinema, che per me è da sterminare, perché ha distrutto il cinema europeo, basandoci sul cinema americano che oggi è oggettivamente brutto, fatto di calcoli, di soldi.
Ci stiamo facendo distruggere da qualcosa che non ci appartiene, noi siamo quelli visti da Monicelli, descritti dai film con Sordi, Totò, Federico Fellini. In più abbiamo avuto un cinema europeo pazzesco e dimentichiamo tutto, sembra quasi che non sia mai esistito.
Bisogna che ricominciamo a riflettere prima di fare. Dobbiamo essere più originali anche per vendere, fortunatamente Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore sono Oscar, ma tantissimi film non passano i confini, perché ci siamo appiattiti, imitiamo e basta. Partiamo da noi, dalla nostra vita, da ciò che siamo, dall’oggi senza imitare, raccontare la realtà senza banalizzare.

Pensiamo al mio ultimo lungometraggio: rimproveratissimo dalla critica italiana La Buca. Non è commedia, è una riflessione umana con un truffaldino e un galeotto, la realtà va raccontata in un mio immaginario, in una metafora cinematografica.
Sto crescendo e mi sto legando al raccontare il mondo attraverso l’immaginario, immaginare le cose, perché da sempre è l’unica strada possibile.
Per capire l’importanza del grottesco basta pensare al grande Busterk Keaton,o al cinema di Billy Wilder a come era il loro cinema, a quel non contatto con la materia, al suo volersi concentrare sul raccontare delle storie: Il Cinema è raccontare l’uomo.”

Il suo percorso artistico l’ha vista essere direttore della fotografia, regista, sceneggiatore, montatore, anche compositore. A quale di questi ruoli di sente più legato Daniele Ciprì?

“Sunday Times con Franco Maresco molto tempo fa, fu un esperimento. A me viene molto facile adattarmi ad un’idea, mi piace molto confrontarmi con qualche persona, l’immaginare è valido anche nella professionista. È un immaginare…. Vittorio Storaro diceva che siamo servitori di immaginari.
Io ho cominciato con i video di matrimoni e funerali, fin da ragazzo ho esercitato la tecnica, quando mi sono posto al servizio del film, ho sempre avuto l’amore per confrontarmi con la tecnica, con me stesso, con i colleghi, con le diverse difficoltà.
Ho abbandonato il montaggio perché non riuscivo mai a tagliare, ero capace di intestardirmi con il voler fare film da 4 ore! Quindi avanti a tutta con regia e fotografia, anche per scrivere devo starci attento, perché ho bisogno di qualcuno che mi tagli, mi riporti all’ordine. Sul montaggio mi sento di poter dire che bisogna avere il senso del montaggio già mentre si gira.
È un modo di aver tutto questo dentro. Un fatto di armonia.”

Quali tra i cortometraggi presentati a Corto Dorico l’ha impressionata di più?

“Mi è piaciuto il modo di raccontare l’Alzahimer raccontato in modo particolare, con un piano sequenza, con un racconto del viaggio nel tempo, nel nostro tempo, sperimentato in Peggie, di Rosario Capozzolo e Ludovica Isidori. Molto bello.
Ho apprezzato molto anche Il Vangelo secondo Mattei di Antonio Andrisani e Pascal Zullino.
C’è un cinema nuovo che non esce fuori. Purtroppo sembra che sia rimasto solo un usa e getta ben poco rassicurante.”

Cosa ha nel suo immediato futuro professionale Daniele Ciprì?

“Ho intenzione di concentrarmi di più su fotografia e regia; fino ad adesso sono stato molto occupato in diverse collaborazioni, ma ora avrò tempo per fare un film che sto preparando da due anni, inerente sull’immaginario, con una storia tratta da un libro Stalin + Bianca di Iacopo Barison. Mi è piaciuto molto, mi ha dato un grande input per costruire una storia di adolescenti, ci lavoravo da tempo, ora mi sento carico per potermici dedicare.
Non sono uno di quelli che fa un film all’anno. Mi serve concentrarmi, trovare il giusto equilibrio, la giusta misura.”