Intervista a Simone Bozzelli: Patagonia è una ricerca spudorata della sincerità

Patagonia è il primo lungometraggio di Simone Bozzelli, presentato in prima assoluta al Locarno film festival 2023 per la sezione concorso internazionale; disponibile al cinema dal 14 settembre.

L’amore è difficile da contenere, a volte è difficile da raggiungere e comprendere nel suo significato più puro, nel suo naturale e spontaneo gioco di equilibri senza scadere in logiche maniacali, senza barattarlo con atteggiamenti di potere e di possesso sottomettendolo alla legge del più “forte”. Tutto questo è in Patagonia.

Patagonia rappresenta la ricerca estetica e l’onestà cinematografica di Simone Bozzelli

Patagonia;
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Patagonia, nelle sale cinematografiche dal 14 settembre 2023, con la regia di Simone Bozzelli, offre una storia dalla lettura complessa; la sorte di due giovani le cui storie personali divergono e convergono su un filo narrativo teso lungo una linea tracciata dalle contraddizioni di una relazione malata sin dall’inizio, sulla quale si confondono i metri della “libertà”, della fuga, dell’amore. Una storia che brama sotto le lacerazioni di due ragazzi, differenti ma dalla stessa sapidità. Tanto sale in una relazione che si intossica che affonda nel sapere dell’uno e nell’innocenza dell’altro. Il tormento della passione, della sperimentazione corporale di un dolore lancinante quanto esaustivo e liberatorio.

Patagonia è un film crudo, onesto nella sua “disonestà”, passionale e glaciale, tanto “corretto” quanto “scorretto”, un lungometraggio i cui protagonisti sono “santi” e “demoni” che siedono insieme in un “pezzo” di mondo, arcadico, aspro, selvatico. Yuri e Agostino, Andrea Fuorto e Augusto Mario Russi, vivono una relazione che mangia il cuore e consuma il fegato: prevaricazioni, abusi, perimetri asfissianti costruiscono una gabbia che sembra allontanare dal senso di sopravvivenza; sembra saccheggiare un’identità già isolata.. già smarrita nella profondità dell’umanità di un rapporto di dipendenza che assume i contorni di un reciproco tossico, distruttivo.  

Simone Bozzelli denuncia un romanticismo puritano, tratteggiando una narrativa difficile e contrastante. Fatalità e fatalismo sono gli elementi dissacranti in una storia che si suicida sul sipario dell’etica e della moralità. Un film che necessita più punti di vista, ripetute visioni, osservazioni ossessive per delineare la grandezza e la cura impeccabile del lungometraggio che rendono Patagonia un film che affina la sperimentazione cinematografica nell’epoca della sua stessa desertificazione.

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Patagonia è un film che non lascia nulla al caso. Un lungometraggio delicato e violento che contiene le contraddizioni di rapporti deviati da desideri di libertà e dipendenza. Tutto, ogni particolare aiuta la parola ad esprimere ancor meglio lo spessore psicologico e introspettivo tipico del genere. Interessante anche la fotografia, che caratterizza fortemente l’aspetto drammatico della storia e dei suoi personaggi.

È evidente lo studio, la ricerca, l’analisi psicologica dei due protagonisti così come è evidente la “psicologia dei luoghi”. Eppure, tutto appare esplicito, senza veli, reale; è stato semplice, immediato riportare in una sceneggiatura una narrazione certamente non facile dentro la quale convivono conflitti e sentimenti così forti?

Non è stato molto semplice. È giusto considerare che è il mio, il nostro primo lungometraggio, perché la sceneggiatura è stata scritta con Tommaso Favagrossa. La nostra scrittura si è sempre esaurita per cortometraggi con un’annessa consapevolezza temporale che ci rendeva il lavoro ormai semplice da gestire in quelle che sono le condizioni di brevità proprie di un corto, collaudando un vero e proprio metodo ben preciso che funzionava. Per il lungometraggio il lavoro ha determinato nuove condizioni che hanno costruito un progetto basato su un’esperienza completamente diversa.

Una narrazione lunga ha delle necessità che devono far coincidere gli sviluppi narrativi con quelli psicologici. Ricordo il periodo della sceneggiatura come un periodo molto difficile, molto complesso, molto intenso, considerando anche il lavoro di due teste che possono essere luogo di molteplici idee, di affinità artistiche ma anche di pensieri e ideali creativi ben definiti quanto differenti tra loro. Con Tommaso c’è un grandissimo rapporto di amicizia, proprio per questo, proprio per la stima reciproca, spesso, il diverbio può sopraggiungere ma anche da questo si possono realizzare delle cose importanti che forse è giusto passino dallo scontro per poi successivamente ridimensionarsi in una visione direttiva comune.

Patagonia è la narrazione dell’idea del sentimento che oltrepassa la realtà e attraversa l’onestà più sincera

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Tenendo conto di ciò sei comunque riuscito a rispettare la tua idea originale?
Sai, quando si parla di un’idea originale ci si riferisce ad un incipit, spesso si parte dal finale o lo si ha già ben chiaro, nel caso di Patagonia l’abbiamo dovuto cercare. Ho però sicuramente rispettato l’incipit del sentimento. Pensa che all’inizio la sceneggiatura doveva essere altra: quella di un ragazzo affetto dalla malattia del non dolore, l’incontro con Agostino sarebbe avvenuto ad altre condizioni, da girovago avrebbe sfruttato questa malattia attraverso l’esibizione, il riferimento era lo sfruttamento di un fenomeno, una Donna scimmia di Marco Ferreri per intenderci. Abbiamo cambiato tutto perché ci siamo resi conto dell’importanza del rapporto tra i due personaggi che non potevano sopravvivere a discapito di una sofferenza unilaterale, non avrebbe mai potuto funzionare una trama del genere. Ci siamo tolti questo peso narrativo per espandere l’idea del sentimento.

In questo film mi sembra ci sia una forte componente cinematografica che appartiene alla storia italiana degli ultimi due decenni dello scorso secolo. Amore Tossico di Claudio Caligari, che inserirei come cameo in questa intervista, sento sia vicino alla realtà che caratterizza Patagonia. Confermi? C’è una voluta ricerca di quelle “atmosfere sgranate” e di quella narrativa?
Assolutamente sì. Patagonia non è tanto una ricerca della realtà ma è una ricerca spudorata della sincerità. Con il cinema a cui ti riferisci credo di potermi collegare proprio per l’intento dimostrativo di un racconto sfacciatamente sincero, onesto, più che realistico. La realtà è sempre una costruzione umana, la si può formare e deformare fino all’infinito, la sincerità, invece, si insinua sfuggendo a questo tipo di controllo. Altra cosa che mi piace sia presente nel mio concetto cinematografico è la crudezza; è giusto guardare le cose ad altezza d’uomo senza stare sopra tanto meno sotto, ma a questa misura che nel caso specifico, in questo dialogo, in una stanza metaforica è la macchina da presa.

La disobbedienza verso la manipolazione e la proclamazione di nuovi eroi marginalmente centrati

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Yuri è un ragazzo atipico, vive con le zie in un piccolo paese dell’Abruzzo, il mondo che immagina non lo porta lontano dal perimetro dentro il quale è abituato a vivere. Raccontare una storia del genere, lontana dai ritmi velocizzati di una vita frenetica, può significare, può essere letta come una sorta di evoluzione cinematografica prima, sociale dopo?  Un modo nuovo di raccontare un sogno di libertà partendo da una dimensione indubbiamente fuori dal tempo e dai tempi che viviamo?
Sì, sicuramente Yuri è un personaggio che parte dal margine per poi diventare protagonista. L’attenzione deve essere posta su ciò che accade, una transizione verbale: Yuri non diventa protagonista addirittura si proclama tale. È il personaggio più evolutivo della storia, quello che presenta un vero cambiamento nel corso della narrazione. Fa delle scelte, tra le tante, assunta una nuova consapevolezza, notiamo che la sua scelta più importante è intraprendere il viaggio dell’eroe.

Agostino è invece la scoperta per Yuri, è la sua nuova visione e l’esercizio potenziale di una immaginazione mai praticata. Forse il vero problema?
Personaggi come Agostino non tendono a cambiare. Il suo è un profilo narcisistico, come la vita ci abitua queste sono le persone che hanno più difficoltà a cambiare perché sono predisposti alla manipolazione verso l’altro piuttosto che se stessi. L’altro per il generico Agostino (indicando una chiara categoria umana) è uno specchio, è sempre un mezzo per auto riflettersi senza mai spostare la luce da dosso. La loro rovina? Quando inevitabilmente sono obbligati a conoscere se stessi e a fare i conti con un grande buco nero.

Sarebbe interessante a questo punto capire se in Patagonia hai voluto, rischiando anche, mettere in relazione due personalità controverse che magari ti appartengono, si muovono dentro di te, da una parte ti attraggono dall’altra invece le respingi?
Direi di sì. Paradossalmente questo è un film molto personale per me, a partire da alcuni attori, persone che fanno parte della mia vita e con le quali ho una vera frequentazione, ad esempio Alexander Benigni. Persone che hanno saputo esserci durante la realizzazione di Patagonia non solo per definire una storia cinematografica ma per aiutare a definire me in quell’esatto periodo. Gli elementi di Patagonia non mi sono estranei, sono situazioni vissute che hanno avuto il loro carico di dolore nella mia stessa vita. Patagonia è un racconto molto intimo a prescindere dal fine e da tutto.

Una nuova esistenza nelle libertà confinanti di un luogo lontano, lontanissimo

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Perché scegliere la Patagonia come luogo da raggiungere, una terra lontanissima ed immensa, dal fascino selvaggio?
Il titolo poteva essere qualsiasi altro. Patagonia perché, quando ci pensi, pensi ad un posto talmente lontano, talmente irraggiungibile che può essere il posto dell’autoinganno di poter essere persone migliori, con un lavoro migliore senza particolari preoccupazioni se non quelle dell’amore. I luoghi lontani si prestano facilmente all’idealizzazione nel nostro immaginario.

Il film mette in relazione la libertà e la prigionia; è possibile che il ruolo principale sia invece una forma di difesa sia dall’una che dall’altra?
“Esattamente. A me piace pensare che la vera libertà è fatta anche di confini. L’empatia senza confini può trasformarsi unicamente in distruzione. Sembrerà assurdo ma essere consapevoli dei confini, può delineare una sorta di autoprotezione produttiva e non il contrario. Questo credo sia utile in qualsiasi tipo di relazione che sia amore che sia amicizia che sia una conoscenza; circoscrivere un confine e dare una direzione a questa gabbia in cui sostanzialmente sopravviviamo è la cosa migliore, è la potenzialità effettiva della difesa.

Simone Bozzelli: Non posso pensare a Patagonia senza Fassbinder, l’erotismo oscuro dei Depeche mode e la provocazione di Elenoire Ferruzzi

Interessante l’aspetto musicale, molto presente per tutto il film una forte dose elettronica e sperimentale. C’era forse l’intenzione di creare parallelamente anche un progetto sonoro importante?
All’inizio no, non avevo grandi ambizioni nell’intraprendere un impegno significativo dal punto di vista sonoro. Successivamente ho conosciuto Federico Lo Presti che mi ha presentato i due musicisti che poi hanno realizzato l’intera colonna sonora fatta da più tracce creando una sorta di album che è disponibile su Spotify, e mi sono ricreduto sulla necessità di una sperimentazione acustica impattante, indispensabile per la tensione e il coinvolgimento che ho sempre desiderato.

Il tuo esordio è stato attesissimo dalla critica che ha individuato in te un indubbio talento che ti porterà molto lontano. Mi dici tre punti di riferimento, non solo nel cinema, che hanno ispirato prima e poi chiarito la tua identità direttiva e artistica?
La premessa nel risponderti  è che non posso pensare a Patagonia facendo finta che Fassbinder non sia mai esistito. Sicuramente lui, la sua regia, la sua estetica, il suo concetto cinematografico sono presentissimi. Dal punto di vista musicale i Depeche Mode, attraverso loro ho scoperto questo erotismo oscuro e la loro attenzione al visivo attraverso il videoclip e la collaborazione con Anton Corbijn; in ultimo, una personalità differente, Elenoire Ferruzzi, una trans sui generis, provocatrice, geniale e trash contemporaneamente ,che infilo tra i miei punti di riferimento per l’intento di libertà che mantiene nella sua vita.

Patagonia è il primo lungometraggio di Simone Bozzelli; al cinema dal 14 settembre 2023.