Intervista a Luigi Cozzi

Abbiamo incontrato al Profondo Rosso Store di Roma, Luigi Cozzi, il quale ci ha gentilmente concesso un’intervista raccontandoci della sua carriera cinematografica con uno sguardo in particolare al cinema di genere.

Luigi Cozzi, regista, scrittore, sceneggiatore, critico cinematografico e musicale (Ciao 2001). Persona poliedrica che ha ricoperto numerosi ruoli durante la sua carriera. Come mai alla fine ha scelto di dedicarsi al cinema?

Io ho sempre fatto cinema fin da ragazzino, mi è sempre piaciuto il cinema e alla fine sono arrivato a fare il regista attraverso numerose esperienze.

Come mai si è dedicato alla fantascienza durante la sua carriera cinematografica?

Non c’è una ragione vera e propria. Potremmo parlare più di una passione spontanea, mi è sempre piaciuta l’immaginazione e la fantasia e quel tipo di cinema la esprimeva al meglio.

Con quali film appartenenti a questo genere è cresciuto?

Son cresciuto con film vecchissimi di allora, Ventimila leghe sotto i mari, I primi film di Quatermass, i primi della Hammer quindi parliamo chiaramente della seconda metà degli anni 50 in avanti.

Se dovesse indicare una figura in particolare di quegli anni che l’ha colpita?

Ce ne sono molte a dire la verità, io ho sempre avuto una grande considerazione dei registi perché speravo appunto di diventarlo, diciamo che mi interessavano molto più i registi che gli attori. All’epoca c’erano molti che mi attiravano, da Hitchcock a Roger Corman ad esempio.

Durante la sua carriera Lei si è dedicato sia a film horror che a pellicole fantascientifiche, a quali dei due generi si sente più legato?

L’horror in realtà non l’ho quasi mai fatto, perché non sono legatissimo all’horror, mi attira di più la fantascienza, da Walt Disney alle saghe galattiche di Guerre Stellari. L’horror mi diverte quando non c’è la fantascienza, l’importante che non ci sia troppo sangue, come ad esempio negli splatter.

Luigi Cozzi

Il regista Luigi Cozzi

Il suo primo film è stato Il tunnel sotto il mondo, una storia che travalica i confini della realtà. Le dispiace raccontarci i dettagli di questa pellicola?

È un film sperimentale fatto da un gruppo di giovani, c’ero io assieme ad Alfredo Castelli che è il diretto di Martyn Mistère, c’era Mario Gomboli che dirige Diabolik. Non eravamo degli sprovveduti, eravamo giovani ma con le idee chiare. Realizzammo questo film che per anni è stato denigrato perché la gente non lo capiva, negli ultimi anni è stato rivalutato ed in Francia è addirittura considerato un cult, visto che anticipa Truman Show e tutte quelle pellicole che trattano dell’invadenza della pubblicità e del consumismo. In Italia non poteva essere compreso nel 68. All’epoca era considerato interessante ma incomprensibile.

Per quale motivo, secondo Lei, i film di Bava, Freda e Margheriti vengono considerati, impropriamente, dei B-movie, alla luce anche delle dichiarazioni entusiastiche di grandi registi come Tim Burton e Quentin Tarantino?

Ma purtroppo sono considerati B-movie in Italia, all’estero li considerano cult o comunque film importanti. Burton ha dichiarato spesso che Bava è il suo maestro. In Italia ancora si parla di Rossellini e altri registi passati ma di fatto siamo fermi al 1946. Con le nuove generazioni si avranno altri idoli e personaggi da ritenere cult.

Dopo Il tunnel sotto il mondo Lei si è trasferito a Roma ed ha incontrato Dario Argento, ci racconta questo legame lavorativo?

All’epoca Dario Argento era esplosivo, nel senso che era al massimo della sua voglia di fare e di strafare ed io rimasi affascinato perché rappresentava tutto quello che io sognavo di fare. Conoscevo anche Margheriti e Bava ma, essendo di un’altra generazione erano molto più compassati. Anche se con Dario ci sono 7 anni di differenza io mi sono riconosciuto nei suoi ideali di cinema, cioè nell’idea di rompere gli schemi. È il mio maestro e continuo a considerarlo tale.

Il suo film preferito di Dario Argento?

Sono molto affezionato a Quattro mosche di velluto grigio perché l’abbiamo fatto insieme, però apprezzo molto anche L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Profondo Rosso, sono tutti grandissimi film, tutt’oggi apprezzati.

C’è stata un’evoluzione del genere horror nel corso degli anni, le Sue impressioni?

Più che un’evoluzione io parlerei di cambiamento del cinema in generale. Il cinema di oggi non è più quello degli anni 60 e 70. C’è stato si un cambiamento tecnico, anche se il 3D e lo stereofonico c’erano già negli anni 70, ma più che a questo livello io parlerei di altre motivazioni. Oggi sono tutti attori giovani, non c’è il Gary Cooper di turno. Il cinema odierno è molto videoclip e tanto videogioco. Del genere horror di oggi mi piacciono soprattutto due registi: James Wan e Rob Zombie, perché più di tutti stanno cercando di portare una ventata di aria fresca nel genere.

 

Alla luce di quanto ci ha raccontato, può esserci secondo Lei un futuro per il genere horror?

Secondo me no, i generi ormai non esistono più, sono stati spazzati via dalla crisi del cinema moderno. Con l’assenza di pubblico sono spariti anche i film di genere.