Francesca Inaudi su Stato di ebbrezza: la mia visione della vera storia di Maria Rossi

Per il film Stato di ebbrezza, nelle sale da giovedì 24 maggio, tratto dalla storia vera di Maria Rossi, comica emiliana che ha lottato contro la dipendenza dall’alcol, l’intervista al regista e ai protagonisti.

Stato di ebbrezza parla della rinascita di una donna dopo una guerra all’alcolismo. Rinascita che avviene anche per mezzo di un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) e delle persone che la protagonista incontra in questo suo percorso. Questa donna, la comica Maria Rossi, anche autrice del soggetto, risponde alle domande in sala, accanto a: Luca Biglione, regista del film; Claudio Bucci, il produttore; Francesca Inaudi, che nel film interpreta la stessa Rossi; Mietta, che nel film interpreta Rosa, un’altra paziente della clinica; Elisabetta Pellini, che interpreta Luisa, paziente della clinica affetta da dipendenza sessuale; Melania Della Costa, che interpreta Beatrice, altra paziente e compagna di stanza di Maria, ed infine Andrea Roncato, che interpreta il papà di Maria. È stata anche l’occasione per parlare di temi che riguardano l’industria del cinema e, appunto, l’importanza dell’indipendenza.

Come ha vissuto personalmente la visione del film?

Maria Rossi: “Ho riprovato delle emozioni che neanche ricordavo di aver provato. Francesca mi è piaciuta molto, anche se continuava a sottolinea il fatto che fossi ancora in vita, iniziavo a pensare che quasi le dispiacesse (ridono n.d.r.). Rivedersi sono pugnalate, devo dire che non ero preparata.”

La rappresentazione degli altri pazienti in TSO era fedele alla realtà?

Maria Rossi: “Si, assolutamente. I personaggi raccontati sono tutti veri, anche alcune frasi che dicevano ripetutamente, sono tutte riproduzioni molto reali di chi ho incontrato. Sapete, il TSO è solo un passaggio, il vero dramma inizia dopo. Che tu lo voglia o no, una volta fuori i bar sono tutti aperti.”

In che modo è stato costruito il personaggio di Maria?

Francesca Inaudi: “In questo momento vivo tra Roma e Los Angeles, sto studiando recitazione con il metodo americano. Ho visto poco di Maria, qualche filmato d’archivio, un paio di interviste, perché volevo ricostruire una mia visione, non fare una sua imitazione o una copia, ma carpire il cuore delle sue emozioni. Ho studiato materiale sulle dipendenze, sull’alcolismo. Questo film è stato uno strano animale, una strana avventura ma soprattutto, non smetterò mai di ringraziare chi lavora dietro le quinte, la troupe, le maestranze e la produzione, perché è stato un film fatto con poche risorse economiche, quindi è davvero merito dello sforzo e del sudore di tanti.”

L’elemento teatrale del cabaret è poco sfruttato a livello scenico, non sarebbe forse stata una scelta più efficace renderlo più centrale?

Luca Biglione: “No, non credo. Il tema del film è la risalita, non il cabaret in sé per sè. Il fatto che Maria fosse una cabarettista non è certo casuale, i comici portano spesso le loro disgrazie personali sul palco e ci ridono. Qui invece c’è un comico che porta il suo sarcasmo all’interno della vita reale, di un suo personale momento di disperazione,  il procedimento opposto. Chi affronta il TSO non accetta il suo problema fino a che non accetta il fatto di essere come gli altri che sono lì. E questo è il percorso che ha fatto Maria, quello che ci interessava raccontare.”

Perché raccontare proprio questa storia?

Luca Biglione: “Perché è una storia universale. Parla della forza di risalire dopo una difficoltà. E può riguardare tutti.”

Come sono stati preparati i vari personaggi?

Mietta: “Io, come sapete, non faccio propriamente parte di questo settore, non essendo molto esperta, mi sono aiutata in parte osservando le persone intorno a me, ma anche e soprattutto grazie alla consulenza di una psicologa che mi ha dato consigli su tic o movenze da poter adottare per interpretare un personaggio così problematico

Melania Dalla Costa: “A me ha aiutato molto recarmi, per studio, in un vero ospedale psichiatrico, dove ho avuto a che fare con pazienti reali e personale, parlare con loro mi ha ispirato molto. Inoltre ho concordato col regista una sorta di peggioramento estetico, sono ingrassata, e questo ammetto che è stato anche un grande lavoro a livello umano, adesso, non è più un problema per me uscire, per esempio, senza trucco, perché ho lavorato sull’essenziale

Elisabetta Pellini: “C’è sempre ironia nel contesto del film, anche quando siamo nella clinica. Stato di ebbrezza non è solo un riferimento all’alcolismo ma anche allo stato d’animo in cui sono questi personaggi, in un certo senso. Per quanto riguarda la mia preparazione, tolto il trucco, ho dimenticato Elisabetta e ho cercato di capire veramente quali siano i problemi della dipendenza dal sesso,  che è una malattia, ma da parte delle donne c’è vergogna, invece è importante che se ne parli”

Andrea Roncato: “Io non mi preparo! Metto nei personaggi cose della mia vita. Negli anni ho imparato ad usare me stesso come metodo. In questo caso è stato facile, questo personaggio mi ricordava la mia infanzia in campagna, interpreto una persona semplice, in gamba. Grazie alla grande bravura di Francesca, poi è stato davvero facile, era veramente mia figlia! Maria (Rossi n.d.r.) mi aveva detto che suo papà era un mio fan, e questa cosa mi aveva riempito di gioia, mi era sembrato, con la mia interpretazione, di fargli un omaggio.”

Qual è stata l’esperienza dal punto di vista produttivo?

Claudio Bucci: “Questo film è stato assolutamente un lavoro di gruppo, a partire dalla sceneggiatura. L’impegno e l’amore sono sempre un valore aggiunto. Questa produzione è espressione di un cinema veramente indipendente, non siamo scesi a nessun tipo di compromesso con la televisione, con le uscite in sala, e nonostante ciò, per ora, la risposta degli esercenti è buona.”