Ci vuole un fisico: Alessandro Tamburini parla dei suoi antieroi moderni

Uscirà nelle nostre sale il 3 maggio Ci vuole un fisico, opera prima di Alessandro Tamburini che racconta l’avventura di una notte di Alessandro e Anna, due ragazzi che dimostreranno come la bellezza fisica non sia l’unica cosa importante

La bellezza fisica rappresenta, soprattutto nella società dei nostri giorni, un valore assoluto, dal quale dipende ogni aspetto della nostra vita: chi è bello è avvantaggiato nel lavoro, nell’amore, nei rapporti interpersonali. Ma chi non può contare su un fisico atletico, come quello dei modelli che invadono le nostre televisioni con le loro pubblicità di profumi? Con Ci vuole un fisico, Alessandro Tamburini ha provato a raccontare cosa vuol dire essere un “meno bello” oggi e soprattutto cosa succede quando due ragazzi, simpatici e intelligenti ma non bellissimi si incontrano dopo essere stati entrambi scaricati dai rispettivi partner.

Ci vuole un fisico: dal cortometraggio al film

Ci vuole un fisico Cinematographe.it

Il film, opera prima di Tamburini, è prodotta dalla CSC Production, la casa di produzione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e vede quindi la partecipazione di molti neodiplomati del centro stesso, non solo tra gli attori ma anche tra il cast tecnico. Ci vuole un fisico nasce da un cortometraggio scritto e realizzato dallo stesso regista, che ha voluto approfondire la storia trasformandolo in un vero e proprio film:

Abbiamo realizzato questo cortometraggio indipendente nel 2012, in cinque giorni e con una troupe ridottissima. La storia è venuta in mente a me e Ciro Zecca: abbiamo immaginato l’incontro di queste due persone che si sentono un po’ insicure e ci siamo chiesti “e se si incontrassero a questa reciproca buca?”. Tutti e due aspettavano qualcuno, il partner bello, più di loro, che però alla fine non si presenta.

L’idea del film infatti si basa su una buca, le cui vittime sono i due protagonisti Alessandro (interpretato dallo stesso regista) e Anna (Anna Ferraioli Ravel) lasciati da soli ai tavoli di un ristorante del centro dai loro partner, più belli di loro. Un’idea che secondo Tamburini andava approfondita maggiormente, come gli stessi personaggi e, solamente attraverso un lungometraggio, il regista avrebbe avuto il tempo per raccontare meglio la sua storia:

Nel film tutti e due i personaggi hanno un’evoluzione che nel cortometraggio si vede meno, anche ovviamente per questioni di minutaggio. Qui viene fuori qualcosa del loro passato e altre cose che nel corto non ci sono. Era necessario sviluppare questa storia in un lungo perché sono due bei personaggi, attraverso i quali tendi a identificarti, perché tutti in qualche modo ci sentiamo perdenti, inadatti in alcune circostanze.

Il cortometraggio partiva esattamente dallo stessa idea ma, per trasformarlo in un film, Tamburini si è servito dell’aiuto dello sceneggiatore Gianluca Ansanelli, che si è detto molto contento di poter lavorare su un progetto con un tema così attuale:

Io sono entrato su un progetto preesistente e il mio lavoro è stato quello di svilupparlo e di farlo diventare un lungometraggio, con tutte le scansioni e gli appuntamenti che richiede una sceneggiatura che deve reggere per 90 minuti. Ho trovato il tema molto attuale, perché forse mai come nei nostri giorni la bellezza è davvero centrale, dato che viviamo prettamente di immagini.

L’idea dello sceneggiatore e dello stesso Tamburini poi non era quella di cadere nel cliché dei film romantici, dove i protagonisti si innamorano al primo sguardo e finiscono la loro avventura con un bacio appassionato, ma anzi secondo Ansanelli:

Il sentimentalismo si adatta meno a una storia del genere perché questa è una storia che parla di normalità e la normalità è fatta di sentimenti, non di sentimentalismi, senza quell’enfasi da romanzo d’appendice. È una storia normale, di due persone normali che si trovano e ovviamente nel tempo di una sera ti avvicini, non è che ti innamori, come nelle favole.

Ansanelli ha poi concluso con un augurio per il futuro:

Credo che dopo tutta questa centralità della bellezza, seguirà un momento in cui probabilmente non ne potremo più e quindi si tornerà a dare importanza ad altre cose, che sicuramente ne hanno di più.

Uno degli ostacoli che Tamburini ha dovuto affrontare durante la trasformazione di Ci vuole un fisico in un film per le sale è stato il cambiamento fisico della sua protagonista, Anna Ferraioli Ravel. L’attrice infatti è dimagrita e questo, oltre ad aver avuto delle implicazioni sulla sceneggiatura, ha determinato un cambiamento anche sul suo modo di lavorare sul set:

Sicuramente dal punto di vista drammaturgico e narrativo, rispetto al cortometraggio abbiamo dovuto fare delle scelte. Il mio è stato un percorso di consapevolezza che mi ha cambiato anche dal punto di vista attoriale: cambia la percezione fisica, il sentirsi in un corpo diverso e quindi anche in una psicologia diversa, il modo di porsi, di camminare e anche scenicamente ho dovuto fare un lavoro diverso.

Secondo Tamburini però il cambiamento fisico di Anna non è stato assolutamente negativo, ma è piuttosto “un valore aggiunto al film perché lei è insicura non per il peso ma per un altro verso: non c’è più il grasso di mezzo, che ora è prerogativa di Alessandro.”

Gli antieroi moderni e l’importanza della bellezza nella società contemporanea

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Il tema centrale sul quale si basa Ci vuole un fisico è la bellezza, quella fisica e soprattutto quanto oggi essa riesca a influenzare qualsiasi aspetto della nostra vita. Vittime di questa idea moderna che la bellezza possa essere la chiave per aprire tutte le porte e superare qualsiasi ostacolo sono i “bruttini”, quelli considerati meno belli che devono combattere ogni giorno non solo contro gli altri, ma soprattutto contro se stessi e la loro poca autostima. Dei veri e propri antieroi, come li ha definiti Tamburini:

I protagonisti sono due antieroi moderni che rispecchiano i lati deboli di ognuno di noi. Specialmente al giorno d’oggi la società tende a considerare il bello fisicamente come quello più privilegiato, quello che prendono nelle fiction, quello che deve essere per forza avvantaggiato rispetto a uno fisicamente brutto. Noi abbiamo preso il fisico come archetipo del sentirsi brutti e inadatti, l’archetipo per eccellenza: avere un fisico che ti vergogni di portare, una cosa molto dei giorni nostri. Anche a scuola quando sei brutto, tendi a non entrare in un certo gruppo, ad essere escluso, a venir schernito.

I due protagonisti hanno però sicuramente modi diversi di reagire a questa loro “condizione”. Se Alessandro infatti si lascia intimorire e sfruttare dalle ragazze più belle, Anna riesce a prendere in mano la situazione, con tutta la forza di cui è capace:

La cosa che mi ha colpito è il suo atteggiamento profondamente ottimista con cui lei reagisce a questa forma di emarginazione, che in realtà si autoimpone perché sono gli stessi protagonisti che si considerano degli emarginati, ma chi ha detto che devono esserlo? Anna è un personaggio molto attivo rispetto ad una figura maschile molto più sottomessa che si lascia trasportare da questa ragazza vitale.

Ci vuole un fisico racconta una storia normale in cui chiunque si può riconoscere perché tutti nella vita almeno una volta ci siamo sentiti brutti, non all’altezza della situazione e questo film dà voce proprio a  tutte quelle persone.