Brian Yuzna: intervista al regista di Society – The Horror [VIDEO]

Una lunga e interessante chiacchierata con Brian Yuzna.

Tra gli ospiti più graditi ed importanti dell’ultimo Trieste Science + Fiction Festival 2019, vi è stato sicuramente lui: Brian Yuzna, classe 1949, una vita passata nel genere fantastico/horror di cui il Festival ha reso omaggio proiettando la versione restaurata del suo film più famoso: Society – The Horror, tra i più efficaci nello sferzare l’America anni 80 yuppie ed ipocrita, e che quest’anno festeggiava i trent’anni.
Uscito nel 1989, il film aveva nel cast il futuro divo di Baywatch Billy Warlock, nei panni del giovane ed insicuro Bill Whitney, che conduce un’esistenza da privilegiato a Beverly Hills, ma che attorno a sé comincia a vedere segnali sempre più inquietanti, comincia a credere che nulla è ciò che sembra.
In breve tempo il ragazzo si troverà coinvolto in una orrenda e spaventosa macchinazione, che gli farà aprire gli occhi sulla vera natura della sua famiglia e della società di cui fa parte.

Brian Yuzna: intervista video al regista di Society – The Horror

Satira feroce e dissacrante, il film è connesso alla cinematografia di Yuzna che comprende tra gli altri Necronomicon, Il Ritorno dei Morti Viventi 3, Re-Animator 1 e 2, e The Dentist. Il regista è stato Presidente della Giuria che ha assegnato il Premio Asteroide ad Aniara quest’anno e si è lasciato andare, durante l’intervista a noi di Cinematographe.it, ad una profonda riflessione non solo sul suo percorso artistico, sull’importanza di Society – The Horror nell’universo del cinema di genere, ma anche sul futuro dell’arte cinematografica in questo terzo millennio.
Yuzna ha rivendicato l’indipendenza dell’atto creativo, ha parlato di quanto nella sua carriera si sia sovente trovata a doversi adattare e mediare tra la sua volontà creativa e le difficoltà legate a produzione, costi e sceneggiature grezze.
Ma ciò che emerge è anche quanto la precarietà, per chi fa cinema, possa essere un’enorme forma di libertà e quanto oggi come oggi, nell’America del terzo millennio, sopravviva molto di quelle mostruosità che egli metaforicamente ha sempre mostrato nei suo film.
La religione del corpo e del possesso, la mancanza di libertà, l’omologazione, il materialismo, ci spiega il regista filippino, sono ancora oggi ben presenti nella società e nel cinema statunitensi.

Riportiamo di seguito anche un’ultima domanda posta al regista e non presente nel video. Brian Yuzna infatti ha sperimentato molto durante la sua carriera, senza temere le critiche. Gli abbiamo chieste se e come sono cambiate le cose. C’è meno libertà oggi?

“Io credo… Credo di aver fatto quello che volevo fare, quando ne avevo l’opportunità, quando facevo film. In un certo modo non sapevo bene quello che stavo facendo, cercavo solo di andare avanti. Ci sono stati certamente dei film che ho provato a fare e che erano pieni di idee che non sono mai state realizzate e io non avevo budget, non ho mai studiato per fare il filmmaker, quindi quando facevo film li facevo e basta. Ho imparato facendo, sviluppando le mie stesse idee. Ho lavorato raramente con una compagnia e anche quando è successo, oltre alla regia ero anche produttore e magari anche sceneggiatore, che è una cosa rara. Credo che nessuno mi abbia mai assunto per dirigere uno script. Mi sono sempre chiesto il perché, ma poi mi sono risposto: è perché non sono prevedibile! E non è perché io ci provassi a non esserlo, è semplicemente quello che sono. E la gente forse non si fidava di me in quel senso, dandomi i loro di progetti.
Inoltre non sono… Raramente mi è capitato di entrare in un progetto con l’idea di qualcosa che volessi fare assolutamente. Ho sempre lavorato con quello che c’era già.
Ho fatto un sacco di sequel, per esempio. E molta gente, la maggior parte direi, credono che sia un’ambizione minore. Io in realtà sono sempre stato molto felice di farli e questo perché in molti casi il problema del film diveniva più chiaro, quello che cercavo di fare. E in queste costrizioni io spingevo in ogni direzione: era quello che volevo. Ho sempre cercato di servire il fine del progetto a cui lavoravo e questo molto spesso è rappresentato dal lato finanziario. È una cosa di cui parlo sempre quando parlo con la gente dei miei film: c’è la produzione, dove spendi tutti i soldi, ma c’è anche il finanziamento e la ridistribuzione, la distribuzione. Sono tutti più o meno sullo stesso piano. E il film comincia con il finanziamento e in base a quanto viene finanziato, questo indica la maggior parte di ciò che sarà possibile.
Quindi se ti assumono per dirigere un film Marvel o altro, poche persone lo farebbero, o un film di John Silver o un film Dark Castle, il regista spesso ha davvero poco margine per dare forma al film. Perché si tratta di un grosso film, di un grosso prodotto e spesso il regista non può nemmeno fare le storyboard. È un grande prodotto commerciale.
Anche quando stai lavorando per un investitore individuale, quando fai un film per qualcuno che vuole diventare un produttore, dovrai comunque fare quello che vogliono loro, dovrai provare a capire cosa vogliono e darglielo.
Io ho lavorato su tutti i livelli di produzione; quindi, per esempio, quando ho fatto Re-Animator, ho pagato io, l’ho finanziato. Non l’ho diretto, il regista è stato Stuart Gordon, ma io non ho mai… abbiamo convenuto fin dall’inizio, quando abbiamo sviluppato la sceneggiatura, che lo stile sarebbe dovuto essere estremo. Temevo che sarebbe stato… sai ho visto tanti film horror che sono falliti perché non… perché hanno cercato di essere rispettabili. E io ho detto “voglio rientrare dei soldi che abbiamo speso, non voglio essere rispettabile. Dovremmo andare fino in fondo perché se il film non è buono, almeno c’è qualcosa che ti fa capire il valore di aver dato spazio all’horror”.
Poi, ad esempio, quando ho fatto Il ritorno dei morti viventi 3 per la Trimark, che era una compagnia di medie dimensioni allora, una specie di compagnia video, loro hanno acquisito i diritti per quel titolo. C’era Il ritorno dei morti viventi, il film di Dan O’Bannon, che è davvero grandioso, ma il secondo non aveva funzionato. Quindi a quel punto il brand non valeva poi molto. Loro avevano preso il nome e io volevo farlo perché mi era piaciuto Il ritorno dei morti viventi e mi era piaciuto La notte dei morti viventi e ho pensato: “Wow, mi piacerebbe lavorare all’interno di quel mondo”. E molte persone avrebbero pensato: “Non voglio fare Il ritorno dei morti vivente  – Parte 3… Sembra davvero sminuente”. Ma io ho pensato “Wow, è fantastico. È… Ho l’occasione di fare un film che è un quel mondo”. E quando ho chiesto allo Studio, alla Compagnia, ho chiesto al proprietario cosa… Non avevamo uno script! Avevamo solo il titolo e la mia idea era che… volevo, volevo che il personaggio principale fosse… un morto vivente, uno zombie! Questa era la mia intenzione. E ho chiesto alla Compagnia cosa fosse necessario. Gli ho detto: “devo metterci dei personaggi dei film precedenti?”, mi hanno detto di no. Gli ho detto: ”Deve essere divertente?” Perché Il ritorno dei morti viventi è divertente… Mi hanno detto di no. Gli ho detto: “Devo usare gli attori degli altri film?”, mi hanno detto di no. Allora gli ho chiesto: “Di cosa avete bisogno?”. Loro mi hanno risposto: “Beh, abbiamo bisogno del gas triossina, che riporta in vita i morti e vogliamo che si cibino di cervelli”. Tutto qui: questo è quello che volevano fosse inserito. Beh, allora ho fatto un film che usa questi due elementi per fare qualcosa che volevo fare e abbiamo trovato uno sceneggiatore che lo ha scritto e loro erano contenti e io l’ho prodotto e diretto e sviluppato. Quindi il modo in cui io facevo film allora era questo: la Compagnia metteva i soldi… Io creavo una corporation e loro mettevano i soldi sul mio conto. Io li spendevo seguendo il piano di budget (c’era sempre qualcuno che controllava, sai…) ma non ci sono mai stati disaccordi, perché io gli stavo dando quello che mi avevano chiesto e provavo a fare un buon lavoro.
Quindi, non è che io avessi la possibilità di fare quello che volevo, ma ho lavorato in un contesto così e il mio interesse era sul far diventare qualcuno uno zombie! Come funziona e raccontare una storia d’amore.
Quando ho creato la Fantastic Factory, avevo obiettivi completamente diversi, in Spagna. Volevo fare uno Studio Horror che fosse come la Hammer… Ed è questa l’idea che diedi a Filmax. A quel tempo Filmax non aveva produzioni, non aveva vendite. Era una compagnia spagnola che era stata comprata da qualcuno che non era interessato alla produzione di film. E facevano semplicemente realizzazione di video. Il proprietario mi chiese… Comprarono un mio film (non capisco cosa dice) e mi chiesero se potessi fare un film di quel tipo in Spagna. E ho detto: “Penso di sì, perché ho fatto film a Roma, ho fatto film a Vancouver, in Messico… Penso che si possano fare film ovunque!”, ma gli ho detto: “Vorrei che le mie idee compongano un’etichetta, sai, una serie di film” e questa è una cosa che ho provato a fare per tanti anni e non ho mai trovato nessuno che mi finanziasse… Al proprietario di Filmax piacque l’idea, così ricevetti alcuni script e entrammo nel mercato. Andammo da Trimark e provammo a… Ci dissero: “Noi compriamo i diritti americani e poi usando i sussidi spagnoli, possiamo fare questi film”. In quel caso l’obiettivo dei film era completamente diverso. Non era… Non stavo cercando una cosa in particolare che volevo fare, quello che volevo era che i film  componessero una linea come quella di Hammer. Sapevo che avevo bisogno di… non potevano essere tutti film horror. Non potevano essere solo body horror, quindi abbiamo preso un film su un ragno gigante per quelli sono sempre buoni per un’Etichetta, abbiamo fatto un Cinecomic, un film di supereroi, diciamo che era un po’ prima degli altri supereroi, quindi non c’è Computer grafica, si chiamava Faust ed era basato un fumetto davvero forte. Abbiamo fatto i film di Lovecraft, Dagon con Stuart Gordon, che era uno script che avevo da 10 anni…
E abbiamo usato un altro sequel di Re-Animator come uno dei prodotti che avrebbero venduto l’intero pacchetto. Quindi ogni film… Non potevano essere la stessa cosa! Io ho provato… L’obiettivo era completamente diverso da quello che c’era quando mi dicevano: “Ehi, fa un film sul Ritorno dei morti viventi”. O “Fai un sequel di Re-Animator”. Quando ho fatto il primo sequel, Bride of the Re-Animator, l’ho fatto… volevo che fosse davvero come il primo film. Non volevo andare in un’altra direzione. Ho adorato il primo film. Ma volevo che i fan lo riconoscessero come un sequel, ovviamente lo stile è diverso, ma è il mio gusto.
Quando i giapponesi mi hanno chiesto di fare un film basato su un Anime, Guyver, ho guardato l’anime, e ho provato ad assicurarmi che potesse rientrare in quel tipo di obiettivo.
Quindi sai, quello che voglio dire è che non sono il tipo che pensava, facendo un film: “sono un artista, ho qualcosa da dire…”. Iniziavo pensando: “Voglio fare film che mi piacciano allo stesso modo in cui a me piaceva andare al cinema quando ero un bambino e diventando grande…”. Voglio film che mi piacciano, che siano divertenti, spaventosi, eccitanti, cose così. Interessanti… Ma non era perché avevo grandi… Non era perché avevo bisogno che il mondo sapesse cosa pensassi su qualunque cosa… Perché non penso che molte persone abbiano tanto da dire, ma mi è piaciuto il processo del fare film, mi piace ancora. Mi piace la sfida che comporta e mi piace il prodotto. Mi piacciono i film.”