Bernadette Wegenstein su Devoti tutti: Sant’Agata? “Una storia di Me Too”

Articolo a cura di Fausta Testaj. Agata raccontata come donna e non come icona religiosa da Bernadette Wegenstein e dai montatori di Devoti tutti.

Tra le anteprime del Concorso Documentari dell’OFF15, la regista Bernadette Wegenstein e i montatori Stefan Fauland ed Edoardo Morabito hanno presentato la loro anteprima regionale Devoti Tutti, che vede protagonista Donatella Finocchiaro in qualità di voce narrante. Con loro in quest’intervista abbiamo parlato della genesi del docufilm.

Bernadette, lei è qui all’OFF15, per presentare il suo Docufilm Devoti tutti ma prima di iniziare a parlare del documentario vorrei sapere quali sono le sue origini.
“Io sono di origine austriaca con delle radici italiane diciamo biologiche, perché in Italia non ci ho mai vissuto, la cosa interessante per me in questo docufilm, è stata quella di lavorare con un  montatore italiano E. Morabito e uno austriaco S. Fauland che praticamente rappresentano le 2 parti della mia identità.

Devoti tutti in realtà non racconta Sant’Agata come icona religiosa ma come una donna che ha subito una  violenza.
“A me in realtà piace cambiare il significato delle storie, soprattutto di quelle che abbiamo ascoltato tante volte, e poi volevo dare una voce ad Agata, volevo fare, diciamo, quest’intervento femminista, per trovare la Agata che cercavo io, che è una donna che si ribella alle avances di un uomo potente, in pratica è una storia di Me Too, ho voluto recuperare una voce che chiaramente all’epoca quasi duemila anni fa Agata non aveva, ma l’arte serve anche alla fantasia, alle innovazioni delle storie portandole ad un livello più contemporaneo, quello che ho voluto fare io.”

Quando ha intervistato i catanesi su Sant’Agata per poi trarne il docufilm, cosa l’ha colpita di più?
“Quello che mi ha colpita di più all’inizio, è stata la normalizzazione della violenza con cui si è parlato di questa Santa, lei è stata portata al martirio, le hanno amputato i seni con le tenaglie, di tutta questa violenza i catanesi ne parlavano con una normalità che solo la cultura produce, è la cultura che ci fa vedere delle immagini violente contro la volontà di una donna o di una persona che vuole avere la propria identità, ma nello stesso tempo c’era anche compassione ed identificazione nel racconto che facevano, mi ha colpita molto anche, il fatto che questa brutalità, fatta a questa persona, non è mai stata dimenticata , perché è così, la violenza è una delle cose che non sparisce, e quindi anche se questa donna è morta, questo racconto è rimasto negli anni.

Bernadette, perché hai scelto Stefan Fauland come altro montatore e come avete collaborato dato che tu sei americana, Edoardo vive a Roma e Stefan in Austria?
“Io ho lavorato da sola in America, una volta sono andata a Roma a portare tutto il materiale ad Edoardo, nel frattempo con Stefan, che ho voluto fortemente perché ci avevo lavorato per un anno in un altro film che ho fatto su un Direttore D’Orchestra, e mi ero trovata benissimo, comunicavamo con zoom e poi io essendo originaria di lì, spesso vado a Vienna e per finire il film ci siamo incontrati tutti a Vienna ed è stato interessante vedere come hanno collaborato Edoardo e Stefan, che hanno fatto un grande sforzo perché Stefan capisce l’italiano ma non lo sa parlare, in questa sessione finale ognuno ha dato una propria visione, la mia è il femminismo, la loro mi dicono è lo smorzare un pò il femminismo, chiaramente scherzano. Poi io dall’America ho voluto assistere quando Donatella ha fatto la voce di Agata la seconda volta a Roma, mi sono svegliata alle 4 di mattina per essere presente a sentire e vedere la voce narrante”.

Bernadette, qualcuno l’ha aiutata a scrivere il docufilm?
“Si, Edoardo e Donatella (Finocchiaro) mi hanno aiutata molto, Edoardo ha addirittura scritto determinati pezzi di questo docufilm, perché io non sono di madrelingua italiana e quindi nella scrittura avevo un pò di disagio“.

Hai fatto altri film in Italia?
“No, ho fatto diversi film in America e in Austria, ma questo siciliano è il primo film in Italia, speriamo non l’ultimo.”

Come ha conosciuto Donatella Finocchiaro?
“Me l’ha fatta conoscere uno dei montatori di Devoti tutti, E. Morabito, io avevo visto il suo bellissimo film da regista Il fantasma di San Berillo, su un quartiere di Catania, nel mio docufilm c’è anche una protagonista del suo film, perché Devoti tutti dà voce a varie donne che hanno subito violenza, io contattai Edoardo, cercando dall’America, il suo nome su google , gli chiesi se volevo collaborare a questa mia idea e poi lui mi ha fatto conoscere Donatella”.

Il tuo docufilm è fatto di verità e animazione, perché questa scelta?
“Perché Donatella da sola non poteva rendere quello che io volevo esprimere, cioè che questa persona esiste ancora, ed esiste in tante altre donne, quindi ho creato quest’idea dello rotoscoping che è una tecnica di animazione dove si dipinge sopra le figure, e poi io avevo fatto un ibridismo tra persone vere e questa Santa, è stato compito dei montatori trovare un linguaggio, non tedioso, con il quale si può parlare di femminicidio e violenza, e cosa c’è meglio dell’animazione che noi chiamiamo estetica riparativa”.

Abbiamo chiesto al montatore Edoardo Morabito che apporto ha dato al docufilm la partecipazione della Finocchiaro.
“Donatella, intervenendo come voce narrante, ha tolto al personaggio di Agata la narrazione tediosa e pesante della mistica cattolica, e la resa pop, non nel senso deteriore di semplificazione del linguaggio ma di riattualizzazione del linguaggio in una chiave contemporanea, dandogli la stessa umanità di una delle tante donne che ha subito violenza, questo per me, da non cattolico catanese, è la cosa più divertente, la voce di Donatella ha aiutato a far diventare Agata un personaggio a toglierle il suo ruolo di icona.

Dopo il girato, durante tutto il periodo e tutte le azioni della post-produzione, tra il regista e il montatore c’è una stretta collaborazione, chi ha l’ultima parola nelle scene c’è l’ha sempre il regista, in che percentuale è del montatore ed in che percentuale è del regista il film? Sempre Morabito risponde: “Il film, è sempre del regista, diciamo che nel documentario il confine tra montatore e regista è molto più labile, rispetto alla fiction, perché il momento in cui si scrive veramente il documentario è al montaggio”.

Quindi bisogna avere molta intesa col regista?
“Bisogna andare molto d’accordo, soprattutto ripeto, nel documentario, perché altrimenti ‘non si canta Missa’ come si dice all’estero, e noi abbiamo trovato il punto d’intesa nel levare il folclore di questa festa di Sant’Agata, bellissima per carità, ma non ci interessava, perché toglieva spazio soprattutto alla violenza che la persona di Agata ha subito, anzi la festa diventava quasi il contraltare della violenza, abbiamo deciso di tagliare molte belle immagini della festa, appunto perché abbiamo voluto smitizzare Agata come Santa e raccontarla come persona e in questo il folclore non ci aiutava perché il folclore vuole che una storia rimanga sempre uguale, è anche questo il suo senso”.

A parlare infine è il montatore Stefan Fauland a cui abbiamo chiesto qual è stata la maggiore difficoltà per i montatori: “Per noi la maggiore difficoltà, in questo discorso su Agata, è stata quella di trovare un linguaggio leggero per parlare di violenza subita da queste donne, trovando un linguaggio che potesse parlare di questa violenza, ogni tanto anche ridendo di alcune assurdità e perversioni, perché Bernadette ci ha detto che non ha senso fare vedere la brutalità, se già nel discorso c’è questa brutalità”.