I 5 migliori film di Yasujiro Ozu

I titoli più essenziali di un grande maestro del cinema giapponese

Uno dei più grandi registi del cinema giapponese, Yasujiro Ozu è stato un maestro della filmografia dal rigore formale e dalla capacità di raccontare il quotidiano. Ancora poco conosciuto in Italia, al netto di alcuni suoi titoli amati da molti cinefili, andiamo a scoprire quelli che potremmo considerare come i 5 film più essenziali per racchiudere il suo cinema.

Yasujiro Ozu: un maestro della quotidianità

Autore di grande compostezza, del rigore formale applicato all’inquadratura, Yasujiro Ozu rappresenta la grazia applicata alla commedia umana della vita.
Riscoperto in Occidente in maniera postuma, praticamente fino agli anni ’90 in Italia era quasi sconosciuto, ma in alcune zone d’Europa, negli anni ’60 (alla fine della sua carriera) riuscì ad essere già notato e approfondito.
Ozu ha, praticamente, per circa 30 anni di carriera scrutato, nel quotidiano, vizi e turbe del giapponese medio e del proprio nucleo famigliare.
Il matrimonio, la genitorialità, sono le due tematiche preferite dal regista di Tokyo.
Temi che ha instillato in decine dei suoi film, potremmo dire in quasi tutti, tra i circa 40 titoli diretti (o poco meno). Scopriamo quali possiamo considerare come i 5 migliori film di Yasujiro Ozu, o quanto meno quei film che rappresentano una visione essenziale per avvicinarsi al suo cinema.

1. Tarda primavera (1949)

Si potrebbe definire Tarda primavera come l’opera che fissa un punto nel cinema di Yasujiro Ozu, avviando una “ciclicità” tematica ed un attenzione specifica al “cambiamento”, quello individuale (in questo caso della giovane Noriko in procinto di distaccarsi dal legame paterno e, viceversa, del genitore in procinto ad avviarsi alla solitudine della terza età) e quello nucleico, come metafora di un paese in mutamento dopo la guerra, tra tradizioni e modernità, tra radici da cui distanziarsi, con osseuquiosa malinconia, per una nuova strada.
Considerato, pertanto, uno dei vertici del cinema del suo autore.

2. Viaggio a Tokyo (1953)

Due coniugi, ormai anziani, partono per Tokyo per rivedere i propri figli: uno fa il medico, l’altra fa la parrucchiera, oltre alla nuora, rimasta vedova da anni.
La breve vacanza si rivela pian piano un’ardua permanenza per i figli troppo indaffarati, ma i vecchi coniugi sapranno accettare con quieta rassegnazione, godendosi quell’ultimo viaggio, prima di un amaro ritorno a casa, dove una malattia fa capolino.
Considerato il capolavoro massimo di Yasujiro Ozu, uno dei massimi esponenti del cinema orientale di sempre, questo Tokyo Monogatari è un malinconico e pacato ritratto di vita, non molto differente da altri lavori del regista giapponese, nel suo mesto realismo, nei suoi temi, sulla famiglia, la solitudine, la genitorialità, la società giapponese e la vita che scorre, ma con uno spessore, forse meno leggero (e in parte anche meno godibile) di altre sue opere, in cui la commedia faceva vagamente capolino.
Un film universale, in cui Ozu, senza sentimentalismi, con una toccante amarezza, ci racconta un microcosmo che può accomunare qualunque uomo nel mondo.

3. Fiori d’equinozio (1958)

Hirayama si atteggia ad uomo moderno se si tratta di parlare delle figlie altrui, ma quando sua figlia Setsuko gli chiede di sposare il ragazzo di cui è innamorata, lui s’impunta.
Le donne sapranno condurlo alla ragione.
Il primo film a colori di Yasujiro Ozu è un’opera che sfrutta al meglio il suo delizioso cromatismo, soprattutto nei piani fissi degli spazi, interni ed esterni, utili a raccordare la storia, eleganti nell’incorniciarla, tra un momento e l’altro. Un canovaccio narrativo che non è molto dissimile da tanto altro cinema ozuiano, per poter poi raccontarci con perizia i suoi personaggi ed i loro “scontri”, quasi sempre ad altezza tatami, nel salotto di casa o davanti ad una tavolata di sakè, in un bar del quartiere o all’interno dell’ufficio del protagonista, un uomo, capo famiglia come tanti ne ha raccontati il regista giapponese.
Ma forse, mai, come in questo caso curiosamente soggiogato e quasi sbeffeggiato dallo scorrere degli eventi, dall’arguzia affabulatrice e ragionante dell’altro sesso e dai tempi che cambiano.

4. L’autunno della famiglia Kohayagawa (1960)

Meno noto di altri suoi grandi film, questo che è uno degli ultimi lasciti è, probabilmente uno dei migliori della filmografia di Yasujiro Ozu. Al centro del racconto le tribolazioni di un vecchio vedovo, proprietario di una distilleria che vorrebbe accasare la nuora, vedova, ed anche la figlia minore che però lo scopre in una relazione amorosa nascosta.
A tutto ciò si aggiungono problemi di salute.
Penultimo film del regista, The end of summer (questo il titolo internazionale) è un dramma con le sue consuete sfumature da commedia agrodolce, in cui si intrecciano le vicende di più personaggi, attorno alla famiglia del titolo.
La consueta grazia delle inquadrature composte, dialoghi dal realismo calibrato, la fotografia che coglie i dettagli, incornicia gli spazi, geometricamente, con colori caldi e vividi, lo rendono un film a tratti sublime.
Pare sia stato il primo film che il regista di Tokyo abbia girato fuori città ed è certamente uno dei suoi titoli più permeati da amarezza, racchiusa al meglio in poche fatali inquadrature, nell’epilogo, in cui ambigui e suggestivi corvi si posano sulle lapidi, mentre il fumo è emanato dalla ciminiera di un forno crematorio.

5. Il gusto del sakè (1962)

L’ultimo film di Yasujiro Ozu è senza dubbio un’opera testamentaria e quindi tra i migliori film del regista.
Un delicato e nostalgico compendio delle sue opere – nello stile e nei temi – tra sottile umorismo e profonda umanità, tra radiosa tranquillità e velata malinconia. Il signor Hirayama, vedovo, vorrebbe che la figlia si sposasse. Intanto l’uomo organizza una festa per un ex insegnante, ora in pensione. Quest’ultimo è diventato un bevitore e gestisce un piccolo ristorante.